Il destino degli ebrei sopravvissuti ai campi e transitati per l’Italia, in una ricerca e un piccolo museo
Trentaquattro campi profughi in tutta Italia per accogliere gli ebrei sopravvissuti ai campi, o in fuga attraverso la penisola nel tentativo di raggiungere Israele. Nacquero tra il 1943 e il 1948 nelle grandi città come Milano, Torino e Napoli, ma anche in piccoli centri, con una particolare concentrazione sulle coste pugliesi.
A fare luce su una storia dimenticata, quella del destino degli ebrei dopo la liberazione dei lager, è la tesi di laurea di una giovane ricercatrice, Federica Di Padova, che si è concentrata sul “dopo” i lager per ricostruire la storia sociale dei campi profughi italiani per le “Jews displaced persons”, come venivano definiti i fuggiaschi in transito.
Accanto alla sua ricerca, conserva la memoria di queste vicende un piccolo museo a Santa Maria al Bagno, frazione di Nardò, sulla costa ionica a poco meno di trenta chilometri da Lecce.
La ricerca di Federica Di Padova sarà presentata sabato 31 gennaio a Modena, per le iniziative legate al Giorno della Memoria. La conferenza si svolge all’interno di un percorso espositivo che ripropone, in un nuovo allestimento, la prima mostra allestita in Italia sui lager nazisti, “Immagini dal silenzio”.
Con i suoi 40mila visitatori (tra i quali anche Primo Levi), la mostra scosse la società italiana, sollevando il velo sul fenomeno allora rimosso della deportazione. Il nuovo allestimento curato da Istituto storico di Modena e Fondazione ex Campo Fossoli si può visitare a Modena, fino a domenica 8 febbraio, in via Sant’Orsola 52.
“All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale – spiega Federica Di Padova – circolavano in Europa circa sessanta milioni di profughi che, a causa dei progetti egemonici della Germania nazista, si trovavano “spostati” fuori dai propri confini nazionali. La “crisi dei profughi” fu uno dei prioritari problemi con cui l’Europa dovette confrontarsi nell’immediato dopoguerra”.
Ad accoglierli furono specifiche strutture sorte tra Germania, Austria e Italia, ma fu nel nostro paese che la gestione dei profughi ebrei, in particolare, assunse caratteristiche peculiari.
Dal 1945 al 1948 più di 40mila ebrei raggiunsero clandestinamente le coste italiane, nella speranza di effettuare l’Aliyah Beth, cioè poter sbarcare in Israele, sempre clandestinamente. Nell’attesa della partenza, attesa che poteva durare anche cinque anni, vissero in kibbutzim, haskharot e campi profughi.
Nell’Italia meridionale, il problema dei profughi si pose già dall’autunno 1943, mentre le truppe angloamericane risalivano dalla Sicilia. La Puglia, in particolare, si trasformò in un crocevia di esuli di varia nazionalità, accogliendo ebrei italiani e stranieri che si erano nascosti per sfuggire alla deportazione, ebrei internati nei campi dell’Italia meridionale, ebrei jugoslavi in fuga dalla penisola balcanica. Fondamentale fu il ruolo della Comunità ebraica di Bari.
Tarvisio e Brennero, porte d’accesso
Dopo il 1945, le principali porte d’accesso all’Italia per i fuggiaschi diventarono il valico di Tarvisio, dove operava la Brigata Ebraica, e il Passo del Brennero. “Giunti in Italia i profughi potevano contare su una rete di centri di prima accoglienza, per esempio Merano, Pontebba, Milano e Brescia – racconta Di Padova dai quali sarebbero poi stati trasferiti verso altre strutture programmate per una permanenza più duratura: kibbutzim, haksharot o, più frequentemente, campi gestiti dalla United Nations Relief and Rehabilitation Adminitstration, nota con la sigla Unrra”.
Dal 1943 al 1948, trentaquattro località italiane accolsero i profughi, spesso all’interno di ex campi di internamento fascista, ex campi di concentramento, scuole, caserme, edifici pubblici. Fu allestito un campo perfino negli studi cinematografici di Cinecittà.
Alla gestione dei profughi collaborarono, oltre a Unrra e International Refugee Organization, le agenzie internazionali ebraiche, in particolare l’American Joint Distribution Comittee e l’ Organization of the Jewis Refugees in Italy.
Nacquero presto, nei campi, asili nido, scuole, mense, biblioteche, attività commerciali, uffici postali e sinagoghe, con attività gestite attraverso la collaborazione dei profughi e divise per età: scuole per bambini e adolescenti, corsi di falegnameria, maglieria, sartoria, scrittura a macchina, meccanica o pesca per gli adulti.
“L’obiettivo – riprende Di Padova – era formare una nuova generazione di ebrei e di futuri cittadini di Israele, per questo motivo i bambini erano il fulcro delle attività organizzate. Molto tempo veniva dedicato anche alle attività ludiche, allo sport, alla formazione militare e all’azione politica, con produzione di giornali in lingua yiddish, alle attività artistiche come teatro, scultura e letteratura. Nonostante tutto, stando alle testimonianze – prosegue la ricercatrice – i profughi serbano un buon ricordo della loro permanenza in Italia, ma a oggi non siamo in grado di dire con precisione che rapporti ci fossero con la popolazione italiana, se ci siano stati scontri o incidenti”.
Un museo dell’accoglienza
Le testimonianze della vicenda rimaste nel nostro paese sono pochissime. Nella maggior parte dei casi, i luoghi adibiti a campi non conservano alcuna memoria o sono stati completamente distrutti.
Fa eccezione la Puglia, dove i campi furono numerosissimi, in particolare nel tratto di costa che si estende da Nardò fino all’Adriatico: Santa Maria al Bagno, Tricase, Tricase Porto, Santa Caterina di Nardò, Santa Maria di Leuca e Santa Cesarea Terme.
Sono strutture che ospitavano soprattutto ebrei askenaziti, e che grazie alla loro posizione sul mare consentirono ai profughi di rinfrancarsi e riprendere forze prima di proseguire il loro viaggio verso Israele.
Al ricordo di queste vicende, alle tracce lasciate dagli ebrei transitati dal Salento, al rapporto con la popolazione salentina, è dedicato il Museo della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria al Bagno, che custodisce un’ampia raccolta fotografica e tre murales realizzati dal profugo ebreo Zvi Miller durante il suo soggiorno a Nardò.
Passarono da Nardò anche futuri protagonisti delle vicende politiche dello Stato d’Israele, come Dov Shilanski, deputato al Parlamento d’Israele (Knesset) dal 1977 al 1996, poi Presidente dal 1988 al 1992.
A Santa Maria al Bagno era stata allestita una Sinagoga, funzionavano la mensa e il centro di preghiera per bambini e orfani, l’ospedale e il servizio postale. Gli ebrei arrivarono soprattutto dal centro Europ, dopo l’apertura dei campi di concentramento e di sterminio: polacchi, austriaci, tedeschi, ungheresi, rumeni, albanesi, slovacchi, russi, macedoni e greci.