Pakistan: nuovo attacco alla comunità sciita, nel Paese dove si vive sul filo del rasoio
Il progetto Shi’at Alì 2003-2004/2013-2014 – Viaggio nel decennio del rinascimento sciita, a cura di Christian Elia, continua. Seguiranno reportage vecchi e nuovi, interviste, contributi, testimonianze e narrazioni di sé.
Il venerdì, giorno di preghiera, diventa un inferno. Questa volta il tributo di sangue alle geometrie politiche spacciate per conflitto interconfessionale colpiscono in Pakistan, nel distretto della città di Shikarpur, nella regione del Sindh.
Almeno 55 le vittime, colpite dall’esplosione di un attentatore suicida, appena hanno iniziato a sciamare fuori dalla moschea degli sciiti della città. Coloro che non sono morti nelle vicinanze dell’uomo con la cintura esplosiva si sono aggiunti quelli uccisi dal collasso del tetto della struttura. A rivendicare l’attacco Fahad Marwat, portavoce del gruppo integralista sunnita Jundallah, legato al Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), che un anno fa si è proclamato affiliato a Daesh, che vuole farsi chiamare Stato Islamico.
Quello di venerdì 30 gennaio è solo l‘ultimo attacco subito dalla minoranza sciita in Pakistan.
Dal 2010, nella stessa zona, sono almeno cinque. Lo stesso gruppo Jundallah, attivo anche in Iran, è responsabile del massacro di 18 pellegrini sciiti nel 2012 nella regione del Kohistan, massacrati mentre si recavano in pullman in Iran per una festività religiosa.
Jundallah è uno dei gruppi della galassia talebana pakistana che, un anno fa, ha scelto il sentiero inaugurato dai miliziani in Siria e Iraq, mollando al-Qaeda.
Gli sciiti in Pakistan rappresentano un quinto della popolazione. Solo dal 2012 a oggi, sono ottocento le vittime degli attacchi subiti dalla comunità, che governo di Islamabad, esercito e servizi segreti pakistani rassicurano invano, non riuscendo o non volendo proteggerli. Anche per la percezione, vera o presunta, che gli sciiti debbano essere ovunque una quinta colonna iraniana.
Le organizzazioni Majlis Wahdat-e-Muslimeen Pakistan e Consiglio sciita ulema, che rappresentano i musulmani sciiti in Pakistan, hanno annunciato tre giorni di lutto in tutto il Paese per l’attacco. Ma la tensione è sempre alta, anche perché è stato scelto proprio il giorno della visita del premier pakistano Nawaz Sharif a Karachi, capoluogo regionale. Una sorta di atto di forza degli integralisti, che mostrano come lo stato di Islamabad sia nudo di fronte alla violenza.
In generale è proprio lo Stato che in Pakistan è assente. Il generale Musharraf è fuori dai giochi, almeno ufficialmente. Al potere dal 1999 (con un colpo di Stato) al 2008, quando si è dovuto dimettere per le pressioni seguite all’omicidio di Benazir Bhutto, del quale è stato ritenuto mandante. Dal 2013, condannato per alto tradimento, langue ai domiciliari, ma sempre potente e oggi rinvigorito dall’ingovernabilità del Pakistan dopo la sua dittatura.
Il premier Sharif e il principale leader dell’opposizione ed ex campione di cricket Imran Khan sono sostanzialmente collusi con i gruppi talebani e integralisti. Quest’ultimo è ritenuto un pupazzo di Hamid Gul, potente ex capo dei servizi segreti pakistani.
Trattano con tutti, nella speranza di tenerli a bada. Ma è impossibile. Gli Stati Uniti continuano a colpire con i droni, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il Pakistan è una polveriera che, dalla fine degli anni Novanta, ha anche testate atomiche. Per Islamabad si tratta di rompere con gli integralisti locali, ma questo non accadrà mai, perché sono strumento troppo utile per la geopolitica degli equilibri con i vicini: Iran, Afghanistan, India.
Un altro tavolo dove si gioca la scriteriata partita della tensione interconfessionale tra sunniti e sciiti, uno Stato che fatica a garantire anche luce e acqua ai suoi cittadini, con milioni di profughi dall’Afghanistan. Con un futuro poco promettente.