«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
I vestiti nuovi dell’Imperatore
C’era una volta un Bel Imperatore, che avrebbe potuto avere grandi possibilità, se solo avesse voluto. Aveva davvero tutto a disposizione per essere saggio e glorioso: ricchezza, terre prospere e, più in generale, un Regno noto in tutto il mondo per il suo lucente passato, culla di alcune tra le culture e le menti più brillanti che la storia avesse mai incontrato.
Ma tutto questo non era rimasto che un mero potenziale abbandonato all’incuria. E l’Imperatore non era che una povera marionetta, trasandata e pigra, incapace di volersi bene e valorizzarsi, di darsi dignità e giustizia e, di riflesso, di darla al suo Regno.
Adagiato ormai su un modus vivendi fatto di favoritismi, scorciatoie, conoscenze e pressappochismo, era convinto che quella fosse l’unica realtà esistente, rifiutando anche la sola idea che si potesse cambiare, che ci potesse essere un’alternativa.
Aveva completamente perso il parametro di ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Confondeva i problemi con le soluzioni. E ogni volta che una possibilità di miglioramento gli si parava davanti, un po’ per incapacità, un po’ per codardia, un po’ per paura, non faceva che scansarla e annientarla, ormai troppo assuefatto dal disfattismo.
Per non pensare, si rifugiava nel grande schermo al plasma che riempiva la sala del suo trono, nei pettegolezzi di corte, nelle festicciole sempre più grottesche, negli oggetti che possedeva e nell’aspetto che aveva. Curava con immensa dedizione tutto ciò che riguardasse l’apparenza, tralasciando la più nascosta e “invisibile” sostanza.
Ma quell’enorme schermo al plasma e tutti quei pettegolezzi e quelle festicciole, insieme a quel conseguente curar così tanto la propria superficialità, non erano che il subdolo architettare di due sarti, se così possono chiamarsi, e di tutta la loro cricca di scagnozzi, il cui piano era preciso e lampante, se solo si fosse prestata attenzione: approfittare di ogni ricchezza e concessione dell’Imperatore e del suo Regno per potersi godere la loro vita tra ricchezze e spasso senza limite. Portarlo a termine fu un gioco da ragazzi.
I due sarti arrivarono a corte un soleggiato e insospettabile giorno di primavera.
Il primo era un vecchio dallo spiccato accento delle zone industriali del Nord del Regno. Nonostante sembrasse una mummia di botulino, s’atteggiava come un ragazzino e mascherava il suo viscidume con un comportamento assolutamente studiato. E ciò che lasciava assolutamente allibiti, al punto da annullare lo stupore stesso agli occhi degli abitanti del Regno, era la sua assoluta naturalezza. Non si vergognava di nulla di ciò che faceva e mai lo sfiorava il dubbio di poter apparire ridicolo.
Il secondo era più giovane e, nonostante la faccia un po’ da tontolone, lo salvava la sua spiccata verve e quel suo accento così comico e accattivante delle zone collinose centrali del Regno. Aveva la capacità di rendere tutto una pubblicità, un’occasione giovane e dinamica, qualcosa di accessibile a tutti. Sapeva far sentire tutti alla moda, tutti parte del suo show, senza che poi nessuno si rendesse conto che era, appunto, uno show.
La loro tecnica era il bombardamento, non lasciare che nessuno mai si fermasse a riflettere su ciò che dicevano e facevano. La distrazione, il tramutare i loro prodotti e i loro obiettivi in bisogni e desideri altrui.
Tenere sempre tutti nel punto più superficiale possibile: nessuna profondità, nessuna riflessione, nessuna reale percezione di quale fossero le priorità.
«È la stoffa più preziosa e più pregiata che si sia mai vista. Di una rarità assoluta. Ne ammiri i ghirigori, le cuciture, le rifiniture. Ne ammiri l’incredibile bellezza. I colori così intensi e sgargianti. E al tatto, che dire, così soffice. La guardi, la osservi, la ammiri! Con indosso un vestito realizzato con questa stoffa, nessuno le resisterà più. Tutti cadranno ai suoi piedi. Sarà un vero Imperatore!». «Ne voglio due!», asserì l’Imperatore con fare trionfante.
E poco importava che quei due, nel maneggiare quella bellissima stoffa, in realtà non maneggiassero che l’aria, il vuoto. Il nulla.
E chi s’azzardò a far notare all’Imperatore che quelli non erano altro che truffatori, venne allontanato e calunniato, licenziato e bandito dal Regno, tacciato lui stesso di truffa.
Dopo che i due sarti per giorni lavorarono senza sosta ai vestiti che l’Imperatore aveva loro commissionato e presero la loro ricompensa, che consisteva in quasi tutti i tesori del Regno e nell’immunità di fronte alle sue leggi, ciò che di più triste accadde fu la parata che venne indetta per celebrare i nuovi vestiti dell’Imperatore.
Sfilò nudo, l’Imperatore, per le strade del Regno. Ma questo non suscitò ilarità, pena o preoccupazione, ma grande plauso e approvazione. Tutti volevano quel suo bellissimo vestito.
Alla fine di questa fiaba non ci è dato sapere se l’Imperatore si renderà mai conto dell’inesistenza di quel suo vestito così prezioso. Se mai troverà il coraggio di ammettere di aver sbagliato, di essersi fatto imbrogliare come uno sciocco, di prendersi le sue responsabilità e cambiare atteggiamento.
Non ci è dato sapere se una lista delle priorità verrà mai fatta, o tutti continueranno a rimanere sulla superficie, assuefatti da problemi assolutamente secondari, se non inutili.
Quello che possiamo fare è cominciare dalle piccole cose: dalle proprie vite, dalle proprie priorità, dai propri intenti e dai propri propositi. A partire da noi stessi. Impegnandoci uno alla volta a svuotare i nostri armadi da tutti i vestiti inesistenti e cominciare a riempirli di stoffe non tanto belle, né pregiate, ma forti, durature e capaci di resistere alle intemperie.
Hans Christian Andersen
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