Una rubrica per non dimenticare il valore del patrimonio narrativo mondiale, tra fantasia e attualità.
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
La stanza segreta
Ayaz era un giovane bello e intelligente, onesto e puro e per questo la vita gli aveva voluto bene. Seppur di umili radici, attorniato da una famiglia che oltre a molto amore aveva ben poco da offrirgli, Ayaz era diventato il favorito del Re, il quale amava la sua compagnia, i suoi consigli e la sua saggezza. Per quanto non fosse ricco e nobile, infatti, Ayaz sapeva farsi voler bene e per quanto il galateo non gli appartenesse, l’impegno che ci metteva per stare a corte era sicuramente più apprezzabile dei modi ipocriti e corrotti, per quanto perfettamente in linea con le apparenze richieste, degli altri cortigiani.
Così il Re, che guardava oltre la forma e più s’interessava ai fatti e al contenuto, preferiva sempre il parere di Ayaz a quello degli altri e si fidava di lui più di chiunque altro. E per dimostrare all’amico la sua gratitudine, gli donò moltissime ricchezze, dei bei vestiti e una stanza del palazzo, che Ayaz avrebbe potuto usare a proprio piacimento.
Lor lettori possono ben immaginare le ire e le gelosie che questo scatenò negli altri cortigiani che, avidi e impauriti di perdere il loro posto, vendendo che il Re non dava più retta ai loro viscidi consigli, si accanirono contro Ayaz in tutti i modi, screditandolo quanto più potevano.
Convinsero il popolo che il povero giovane era disonesto, pericoloso e aggressivo, aiutati dalla credenza ormai diffusa nel regno che chiunque fosse, almeno un po’, disonesto, senza possibilità di salvarsi da maldicerie di ogni genere. La sfiducia, infatti, s’era impossessata di tutto e tutti, e l’unica cosa che sembrava dare un po’ di sicurezza era una compatta e patinata superficialità.
Forti di ciò, i cortigiani non perdevano occasione per dargli contro e, appresso a loro, il popolo, troppo pigro per pensar con la propria testa.
Così, tutti cominciarono a muovergli contro una spietata propaganda, che però sembrava non toccare mai i dubbi del Re, che tranquillo continuava a fidarsi del suo amico, rendendo ancora più irosi gli altri cortigiani, che non sapevano più come diffamarlo.
Così un mattino, notando che Ayaz si chiudeva ogni giorno nella sua piccola stanza a palazzo e passava lì copiose ore, senza mai farvi entrare nessun altro, i cortigiani pensarono di aver finalmente trovato uno scheletro nell’armadio, o meglio, nella stanza, a cui attaccarsi per disfarsi del giovane una volta per tutte. Sicuramente Ayaz nascondeva lì dentro qualcosa di terribile e vergognoso e loro l’avrebbero dimostrato.
I cortigiani, quindi, si precipitarono dal Re e lo supplicarono di seguirli e smascherare Ayaz il traditore facendo irruzione in quella stanza.
E il Re, ormai stanco di quel meschino comportamento e assolutamente sicuro dell’onestà del suo amico, decise di porre fine a quella storia una volta per tutte. Chiamato Ayaz al suo fianco, si diresse insieme a tutti gli sghignazzanti cortigiani verso la stanza segreta. Chiamò delle guardie e ordinò loro di buttar giù la porta.
Il ghigno dei cortigiani si tramutò, improvvisamente, in un rossore di profonda vergogna e sgomento, mentre la loro ipocrisia veniva a galla per l’ennesima e puntuale volta, insieme alla cecità del popolo.
Ciò che gli si parò davanti fu, infatti, una stanza vuota, con al centro un paio di sandali e una vecchia tunica bucata e bisunta.
Il Re, soddisfatto ma incuriosito, chiese allora al suo amico perché tenesse lì quegli indumenti.
“Mio Re, ogni giorno io vengo qui e mi spoglio delle belle vesti che voi m’avete donato, per indossare quelle vecchie e ricordarmi da dove vengo e quanto sia importante la compassione per chi è oggi come io ero un tempo. Per ricordarmi di non commettere gli errori del passato. Per ricordarmi di non perdere mai la mia umanità. Per ricordarmi che il popolo sono anche io. La memoria di ciò che era è fondamentale se non si vuol cadere nei tranelli di chi basa tutto su illazioni infondate e inganni basati sulla superficialità delle cose per arricchire se stesso”.
Racconto Sufi
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