Sud America Coast to Coast/4

Tappa ad Asuncion, tra esercito del pueblo paraguayano, di proprietari terrieri e di espropri campesini

Vista da lontano Asuncion mi ricorda una piccola Manhattan, con il suo ammasso di grandi grattacieli che si stagliano contro il cielo, gli uni accanto agli altri, un’immagine inaspettata per la capitale del Paraguay.

Avvicinandosi al centro però emergono le differenze: Asuncion è una città molto più colorata, caotica e disordinata di quanto possa essere New York. Nascosti dai palazzi più grandi il centro città nasconde un’architettura liberty, palazzine con colonne, piante rampicanti e finestre ad arco, Asuncion ha colori variopinti praticamente ovunque, c’è confusione, polvere, movimento lento. Quando la attraverso a piedi mi dico che in effetti assomiglia molto di più alle foto che ho visto de l’Avana.

Arriviamo al tramonto a casa di Alejandro, diciannovenne studente di psicologia al primo anno: siamo i suoi primi ospiti con Couchsurfing ed è stressato. La casa dove vive è piccola, ci vivono in sei con solo due camere da letto. La nonna perennemente in cucina e lo studio da notaio di sua sorella nell’ingresso.

Per aiutarlo a rilassarsi gli proponiamo di uscire e andare alla Costanera, la passeggiata panoramica sulla baia di Asuncion del Rio Paraguay. Da qua, tra il fiume e il centro città c’è la comunità di San Felipe, altrimenti detta anche favela.

Le abitazioni sono tutte di legno, pannelli di compensato e tetti di eternit, seminascoste tra le palme e la boscaglia, qualche antenna satellitare che spunta, vista da fuori si direbbe quasi un bel posto dove vivere, ma in verità oltre alla povertà dilagante ci sono zone controllate dai narcotrafficanti dove ne la polizia ne i cittadini di Asuncion si rischiano ad entrare.

Dopo il tramonto ci perdiamo tra le strade colorate del centro, anche il palazzo presidenziale sembra volersi adattare all’atmosfera cromatica della città e di notte è illuminato con luci rosse, gialle e verdi. Un effetto alquanto eclettico per una sede istituzionale.

L'anniversario della fine della dittatura @Samuel  Bregolin

Dopo la stazione dei treni abbandonata di Aregua il mio interesse per la rete ferroviaria paraguaiana continua, scopro che il Paraguay è il solo paese del Sud America a non aver nessun servizio su rotaia, passeggeri o merci che sia. Eppure fu uno dei più all’avanguardia a metà del diciannovesimo secolo, quando acquistò le sue prime venti locomotrici dalla Francia di Napoleone III.

“Il governo sta discutendo alcune riforme, il voto sul ripristino della rete ferroviaria e sulle concessioni a privati sarà durante il 2015, forse già dal 2016 cominceranno i lavori” afferma convinto il responsabile del museo del ferrocarril. Le sue però mi sembrano un po’ frasi fatte: la linea ormai è abbandonata da anni, i binari coperti di erba e terra, là dove non sono completamente in rovina, arrugginiti e deformati.

Il museo altro non è che la vecchia stazione dei treni centrale di Asuncion, la più importante del paese. All’interno qualche materiale dell’epoca, una locomotrice, un vagone ristorante e le vestigia di uno splendore che sembra lontano nel tempo. Interrotto dalla guerra della triplice alleanza.

L’evento che cambiò per sempre la storia del Paraguay fu la Guerra della triplice alleanza, combattuta dal 1864 al 1870 dal Paraguay contro Argentina, Brasile e Uruguay. Le cause del conflitto furono molteplici: dai problemi territoriali legati alla transizione del post-colonialismo all’invasione dell’impero del Brasile in Uruguay (considerata un’attentato alla stabilità delle repubbliche del Rio della Plata), oltre che ai divergenti interessi tra Partito Blanco e Partito Colorado. Il Paraguay era all’epoca il solo paese dell’America Latina dove tutta la popolazione sapeva leggere e scrivere, che non aveva debiti all’estero e dove non esisteva il latifondo: le conseguenze della sua sconfitta furono terribili.

Il paese perse il 90 per cento dei maschi adulti, passando da una popolazione di 525mila persone a sole 221mila dopo la guerra. I territori di Santa Caterina e del Mato Grosso furono annessi al Brasile, le Provincie di Missiones e del Chaco meridionale all’Argentina. Il Paraguay rimase sotto occupazione brasiliana fino al 1876 e si instaurò al potere il Partito Colorado, che lascerà la presidenza solo nel 1954, con l’avvento della dittatura di Alfredo Stroessner. Per più di un secolo i guaranì in Paraguay furono vittime di violenze e repressione.

L’argomento delle condizioni di vita dei popoli indigeni mi interessa, prendo appuntamento con uno degli avvocati di Terra Viva, una ONG che sostiene giuridicamente gli espropri dei terreni da parte degli indigeni del Chaco. Il Chaco è la regione settentrionale del Paraguay, rappresenta praticamente la metà del paese, fu il centro della guerra tra Bolivia e Paraguay nel 1932 -1935, ha un clima desertico particolarmente rigido e arido, per questo motivo ancora oggi è bassamente popolato, ma il suo possibile sfruttamento per la produzione di sorgo da biocombustibile sta risvegliando vecchi problemi mai risolti.

Quando incontro Ireneo Tellez alla sede di Terra Viva mi sembra tutto tranne che un avvocato: ha la pelle scottata dal sole, l’aria meditabonda e pacifica, porta con sé il thermos con l’acqua per il Tereré, indossa una camicia beige e un cappello marrone. Affissa al muro dietro di lui una grande cartina del Paraguay.

La residenza presidenziale a Asuncion @Samuel  Bregolin

“Dopo la guerra della triplice alleanza le conseguenze furono spaventose per il paese” mi dice introducendomi all’argomento, “l’esercito brasiliano rimase anni di istanza ad Asuncion per controllare la ricostruzione. Il nuovo governo liquidò a prezzi stracciati praticamente tutta la regione del Chaco a grandi proprietari terrieri stranieri. I nuovi investitori economici pensarono di sfruttare queste terre per l’allevamento del bestiame, nessuno si preoccupò delle popolazioni indigene che vivevano sul posto e che furono vendute tutt’uno con i terreni.

Popolazioni che vivevano sul territorio da migliaia di anni si ritrovarono a non avere più nessun diritto se non quello di lavorare come manovalanza gratuita.” Gli chiedo quali siano le differenze tra queste popolazioni indigene, anche per capire se la loro lotta possa essere unica e coesa. Mi risponde che la maggior differenza è a livello linguistico: “Esistono cinque famiglie linguistiche indigene in Paraguay e in particolare nella regione del Chaco: i Guaranì, la Lengua Maskoi, i Mataco Mataguayo, i Zamucu e i Guaicuru, quest’ultimi oramai in via di estinzione”.

La prima proposta di riconoscenza del Guaranì venne formulata nel 1988 e resa esecutiva con la riforma della costituzione nel 1992, il Paraguay fu il primo paese dell’America latina a rendere ufficiale un idioma. “Fu una grande rivoluzione, fino ad allora gli indigeni erano visti di cattivo occhio, nelle scuole delle comunità indigene bambini che in famiglia parlavano solo guaranì si ritrovavano a dover studiare su libri di testo in spagnolo, lingua che spesso neppure il maestro conosceva bene, una situazione surreale”

Ufficializzare una lingua indigena però è una scelta facile e soprattutto che non tocca gli interessi economici di nessuno, gli chiedo come è continuata la storia dei terreni nel Chaco. “Con la riforma del 1992 la nuova costituzione dice che tutti i terreni che furono privatizzati dopo la fine della guerra della triplice alleanza debbano ritornare ai popoli indigeni che, come è stato dimostrato, vivevano lì da migliaia di anni. Lo stato paraguaiano quindi si impegna a riacquistare i terreni dai privati che li possiedono ora per farne dono agli indigeni”.

Mi chiedo come possa uno stato come quello paraguaiano, che non ha fondi a sufficienza neppure per rimettere in sesto la rete ferroviaria, riacquistare migliaia di terreni ai competitivi prezzi del mercato immobiliare.
La situazione del Chaco è oggi molto complicata, lo Stato non ha abbastanza soldi, però con questa riforma si impegna a sostenere, almeno nominalmente, gli espropri dei terreni da parte della popolazione locale “Terra Viva si occupa di dare sostegno giuridico alle cause di esproprio” continua Ireneo “Io ho studiato legge però i miei genitori sono campesinos e conosco bene i problemi di chi vive nel Chaco.”

Il rapporto tra campesinos che vorrebbero indietro le loro terre e i ganaderos, i proprietari terrieri e allevatori è tesa fin dalla prima metà degli anni novanta, ma negli ultimi anni è aumentata anche la violenza, che è culminata nel massacro di Curuguaty. Nell’aprile 2012 un gruppo di un centinaio di campesinos occupò alcuni terreni di proprietà di Blas N.Riquelme, ex presidente del partito Colorado, per protestare contro il latifondismo paraguaiano. Dopo alcune settimane di tensione gli scontri più violenti tra polizia e campesinos causarono 17 morti (11 campesionos e 6 poliziotti).

Il massacro fu la morte politica di Fernando Lugo, il primo presidente paraguaiano non del Partito Colorado, che diede le dimissioni. Sembra che tra i manifestanti campesinos fossero presenti alcuni membri del gruppo terroristico dell’EPP (Ejercito del Pueblo Paraguayo), un’organizzazione di ideologia marxista-leninista attiva fin dal 2008.

Solo pochi giorni fa, nella notte tra mercoledì 28 e giovedì 29 gennaio scorsi l’EPP ha ucciso Robert Natto ed Erika Reiser, due cittadini di origine tedesca, proprietari di un’azienda zootecnica nella regione di San Pedro. L’EPP ha lasciato affisso sulla porta dell’amministrazione dell’azienda agricola un messaggio: promette che le violenze continueranno se lo stato non paga la somma di 300’000 dollari e se la richiesta di redistribuire i pascoli di sei comunità tra Conception e Asuncion non verrà accolta.

L’EPP aveva già dato fuoco a due macchine agricole di un’azienda agricola della stessa zona il 25 di gennaio, la stessa che fu attaccata una prima volta il 30 dicembre del 2014. Le tensioni e gli scontri sembrano destinati a continuare. Io cerco in ogni modo di aggiungere una deviazione sul nostro percorso per andare a vedere che aria si respira nella regione di San Pedro.

Il mattino seguente io e Alessia lasciamo la capitale per andare in direzione di Sapucai e di Villarrica. L’autobus che ci accompagna fuori dalla città è un piccolo mezzo pubblico, con le porte perennemente aperte, si ferma ogni dieci metri a causa del traffico e degli ingorghi stradali, ne approfittano per saltare a bordo decine di venditori ambulanti di qualsiasi cosa, dalle borse di pomodori o peperoni verdi e le bibite ghiacciate alle chipas calientes (piccoli pani fatti con amido di mandioca, farina, formaggio duro, uova e latte) che le donne tengono dentro a grandi cesti di vimini, coperti da tovaglioli in tessuto bianco e tenuti in equilibrio sulla testa.

Altri venditori propongono merci improbabili: rasoi di plastica, tagliaunghie, penne usb, occhiali da sole, fazzoletti, quotidiani, gratta e vinci, sigarette, dentifricio e spazzolini per i denti, sapone vegetale, calzini e mutande. Nell’autobus c’è un via vai di venditori e acquirenti, mi sembra di essere al mercato. Poi ad un certo punto i passeggeri in piedi diventano troppi, alcuni si aggrappano all’esterno delle porte percorrendo così molti chilometri.

Arriviamo nel pomeriggio al vivace mercato di Paraguarì per spostarci verso lo snodo tecnico di quella che fu la linea ferroviaria gestita dagli inglesi a Sapucai. Da qua continuiamo verso Villarrica dove stasera ci aspetta il secondo più grande carnevale del paese, ma visto l’affollamento dei mezzi pubblici decidiamo di andare in autostop, ancora una volta l’attesa è di pochi minuti prima che una jeep ci faccia salire nel cassone posteriore.

Lì, con il vento che ci scompiglia i capelli progettiamo di aggiungere chilometri al già lungo percorso di viaggio per poterci allungare fino alla Patagonia meridionale. Decidiamo di rinviare la decisione a dopo la Bolivia, continuo a pensare alla copia (digitale) de In Patagonia di Bruce Chatwin che ho nello zaino.

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