Parole per una strage / 1

L’ultima notizia racconta che Charlie Hebdò sarà in edicola il 25 febbraio, cercando di fare fronte ai troppi morti, al troppo dolore, alla troppa violenza.

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Nel mentre gli scampati vivono come reclusi. Luz, colui che ha disegnato la maravigliosa copertina “tout est pardonné”, è obbligato a tenere le persiane di casa chiuse notte e giorno, anche andare a fare la spesa è diventata una corvè di guerra, essi i sopravvissuti devono muoversi come fossero in territorio nemico. Più precisamente, come se da ogni angolo potesse spuntare un nemico mortale. Nessuno più prende in giro Charb per quella frase che pareva un po’ retorica, “Je préfère mourir debout que vivre à genoux” preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio, e se non puoi prendere in giro il tuo direttore, perché è morto ucciso, che satira puoi fare. La tentazione è di rispondere: nessuna. Ovvero quale spazio rimane per lo sberleffo e la libera ironia dopo un tale massacro dei tuoi amici e sconvolgimento del tuo mondo. Sono nei guai quelli che si sono salvati, e noi con loro, perché je suis Charlie, un po’ di Charlie c’è in ognuno, anche in quelli che si dibattono per dire je ne suis pas Charlie, e questo piccolo Charlie quasi decapitato, certamente stremato per disperazione, non avrà vita facile. In ognuno c’è un po’ di Charlie salvo in quelli che pretendono di essere la polizia del pensiero, come già accadde da noi ai tempi dell’Inquisizione, i neri fascisti fanatici della Jihad, nemici dell’umanità come i loro predecessori nazisti che portavano nelle fibie dei cinturoni il motto Gott mit uns, Dio è con noi, inciso sotto la croce uncinata.

Da noi la fondazione per il carnevale di Viareggio, la tradizionale sfilata dei carri, ha deciso che non ci saranno carri riferiti alla vicenda e all’eccidio dei redattori di Charlie Hebdò, e nemmeno in ricordo dei morti, per motivi di ordine pubblico ha aggiunto, se non sbaglio, il Prefetto o altra autorità preposta. Insomma a Viareggio faranno finta di niente, nada de nada, come se nulla fosse avvenuto.

Ho sentito qualcuno affermare che si tratta di una misura di buon senso. Si può anche dire: misura di viltà, che è una brutta malattia oscurante la ragione, la pietas per gli assassinati, l’ethica e la libertà. Del resto Panini editore di Topolino non è da meno rinunciando alla copertina dove i personaggi tengono in mano una matita, che qualcuno non la prenda per una provocazione, ahimè essi ben conoscono la via della fuga. Ma la realtà, durissima, rimane. Ci sono state venti persone uccise, non certamente uguali nemmeno nella morte, ma tutti francesi. Questa comune nazionalità, pur nella diversità di opinioni, religioni, comportamenti interroga ognuno di noi. La nostra coscienza individuale e collettiva, diciamo sociale, è chiamata in causa, gli assassini sono dei concittadini, francesi e europei, non si può sfuggire all’imperativo di sciogliere questo nodo, pena rimanerne strangolati. Ai concittadini omicidi, e a noi stessi, dobbiamo porre la domanda dell’antico ateniese durante una delle tante devastanti guerre civili. Egli fa un passo avanti dalle linee dei democratici e chiede all’esercito dei concittadini avversari: perché ci uccidete, voi che condividete con noi la città? Da questa domanda cruciale – che equivale anche a chiedersi perché la maggioranza del popolo tedesco votò prima e appoggiò poi Hitler, il nazismo, la guerra d’aggressione e la politica del genocidio – prende avvio il tentativo di mettere insieme un personale zibaldino di parole, espressioni, frasi pensate, lette, dette, ascoltate durante la sequenza degli eventi, dall’eccidio del 7 gennaio alla pubblicazione del numero speciale di Charlie Hebdò, spesso cambiando significato da un giorno all’altro se non da una pagina all’altra a seconda degli accadimenti, del contesto e di chi le pronunciava. Con l’intenzione di fornire un patchwork aperto, una sorta di work in progress cui ciascuno possa contribuire – e ovviamente criticare perché je suis Charlie, ma dicendola con Rosella Simone “per evitare sviste fanatiche, sempre possibili anche tra gli atei, è sempre meglio essere eretici”.

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L’orizzonte degli eventi.
E’ la superficie che separa un Buco Nero dal resto dell’Universo. Il Buco Nero ha una attrazione gravitazionale tale da trattenere al suo interno persino i raggi di luce (i fotoni). In questo modo le patologie che racchiude, materia di densità infinita per esempio oppure curve di tipo tempo chiuse, cioè senza distinzione tra presente passato e futuro, rimangono intrappolate dentro l’orizzonte degli eventi senza contaminare il normale spaziotempo cosmico, quello dove noi viviamo. Ma poi Hawking ha spiegato che, per complicati effetti quantici, il buco non è proprio nero ma piuttosto grigio potendo emettere radiazione, e quindi le sue patologie arrivandoci addosso assolutamente inaspettate possono influire sul nostro laboratorio, e sui fenomeni che in esso sperimentiamo e studiamo, stravolgendo le usuali coordinate conoscitive e operative. E’ successo il 7 gennaio 2015. Due uomini con armi lunghe e in divisa nera d’ordinanza eruttano dal buco nero jihadista in pieno centro a Parigi, entrano nella redazione di Charlie Hebdò, compiendo una strage. Vogliono prima di tutto sapere chi è Charb, quindi fucilano i presenti uccidendone dieci, escono, colpiscono ferendolo un poliziotto della brigata ciclistica sopraggiunto, poi lo finiscono riverso sul selciato. Rimontano in macchina, partono sparando contro un’auto della polizia che nel confronto impari tra pistole e kalashnikov si ritira, per fuggire fin fuori Parigi senza essere intercettati. La rosa molto concentrata dei colpi sul parabrezza dell’auto della polizia sta lì a certificare l’abilità dei tiratori. La fuga senza rimanere imbottigliati nel traffico parigino, e il cambio macchina poi armi in pugno definisce una preparazione preventiva accurata, nonché una alta flessibilità operativa con notevole capacità di adattamento alle circostanze. Nessuno se l’aspettava. Il primo effetto guardando le immagini che si susseguono in televisione è di spaesamento, non sei a Parigi ma da qualche parte tra Mossul e Kobane. Nell’immaginario e nell’intelligenza più o meno di tutti la guerra jihadista si collocava in un altro universo rispetto a quello parigino, un altro spaziotempo confinato tra il Tigri e L’Eufrate.

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Tutt’al più potevano filtrare tra i due mondi atti di normale terrorismo, dalle bombe all’omicidio singolo, quando il terrorista – kamikaze o meno che sia – si confonde con la folla e uccide tra la folla, mentre qui siamo in presenza di una azione militare coniugata con la propaganda armata che addirittura si amplierà nei giorni successivi estendendosi a una intera regione di Francia. Qualcuno pensa che i Buchi Neri evaporanti di Hawking aprano una porta di comunicazione – i cosidetti Wormholes – tra universi altrimenti separati, e quando te li trovi di fronte rimani sconvolto, il tuo usuale spaziotempo viene sottoposto a una torsione così forte che rischia di frantumarsi. In altro linguaggio, lo specchio in cui eravamo abituati a rifletterci, riconoscendo la nostra immagine, va in frantumi lasciandoci spezzati: non sappiamo più chi siamo nè dove siamo. E’ successo a tutti noi quel 7 gennaio del 2015 vedendo scorrere sotto i nostri occhi il film di una vera e propria operazione politico militare d’annientamento contro un intero gruppo di persone assunte come nemiche col pretesto che tenevano in mano penna e matita in un modo considerato offensivo, provocatorio, sgradito ai fanatici fascisti religiosi. Un pretesto risibile ma che, in certo qual modo ha funzionato, persino tra insospettabili amici miei. Con questo pretesto il fucile ha voluto uccidere la matita.
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La matita e il fucile. Una grande matita portata a spalla nella manifestazione dei due milioni a Parigi recita  I am not afraid, io non ho paura. Un’altra matita è stata posta a Caen, capitale della Normandia,  sul monumento che ricorda la vittoria contro il nazismo, non a caso. Scrive Stefano Benni in versi. Disse la matita al fucile/ “Oggi sono importante/ Anche se mi spari, tanti e tante/ Stanno dalla mia parte/ Sfiliamo in piazza, ben strette/ Milioni di baionette”/ Rispose alla matita il fucile/ “Tu sei un’arma geniale/ Ma l’uomo è uno strano animale/ Che dimentica in fretta/ Per un buon industriale/ Rendono più i carri armati/ Che i lapis colorati/ Vediamo chi tra noi/ Lasciò il segno/ Più profondo/ Se il tuo durerà un solo giorno/ Domani sarò di nuovo io/ A disegnare il mondo”/ Sorrise la matita/ “Forse son sfavorita/ Ma ancora non è finita.

 

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La matita perdona, il fucile no. La prima pagina di Charlie numero 1178, speciale dopo la fucilazione di dieci di loro, maravigliosa, nel senso letterale che desta maraviglia. Una scritta campeggia “Tout est pardonné”. Tutto è perdonato. L’unica parola di perdono comparsa nell’intera vicenda è stata scritta dalle vittime, laiche, atee, mangiapreti. Ma il Papa cristiano a nome Francesco, forse frastornato dall’altezza, era in aereo, o preda di un in/conscio totalitarismo monoteistico, non l’ha vista, non se ne è accorto. Anzi il Santo Padre, ahimè, si è esibito in un gag di particolare cattivo gusto, se si pensa ai morti di Charlie Hebdò, recitando ad usum delle telecamere, “io se offendi la mia mamma ti tiro un pugno”, mimando il pugno, ma la sua mamma non è la religione, nemmeno cattolica. Quindi ha ripetuto che non si possono offendere le religioni, forse riferendosi alla figura disegnata con turbante, barba e quella lacrima solitaria sulla guancia, col cartello in mano Je suis Charlie. Charlie il martire – dieci martiri – e il Papa ben dovrebbe conoscere il martirio, almeno per sentito dire quando si inginocchia sull’altare. Seppure io non veda l’offesa, la dico in modo benevolo: forse Francesco ha pensato alla blasfemia.

 

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La blasfemia. Molti più che dirlo esplicitamente, accennano: gli scalmanati irresponsabili di Charlie avrebbero a più riprese praticato con vignette e parole la blasfemia, incorrendo in un reato e/o peccato di lesa religione che magari non giustifica la morte ma però. Per l’intanto il reato di blasfemia fu cancellato in Francia nel 1789, lì quando fecero la Rivoluzione, e da allora cancellato rimase. In Pakistan invece il reato di blasfemia può comportare la pena di morte. In questo momento una donna cristiana Asia Bibi è in carcere dal 2009 condannata a morte nel 2010 per blasfemia verso Allah. Anche Gesù Cristo fu condannato per blasfemia e crocefisso. Quella crocefissione del figlio di Dio decretata da un tribunale ebraico, è la premessa, o almeno una delle premesse, per l’antisemitismo praticato lungo i secoli dai cristiani, con mille persecuzioni nei confronti degli ebrei appunto accusati di deicidio. Qualche anno fa girovagando per l’antico ghetto di Bologna mi capitò di incontrare una scolaresca cui la professoressa stava dicendo: ecco qua abitavano gli ebrei, quelli che hanno assassinato il figlio di Dio con la crocifissione. Al mio urlo scandalizzato ebbe a dire, ma come, non è forse vero?

 

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L’antisemitismo. Scoperte il pomeriggio del 7 l’identità e le fattezze dei due assassini jihadisti in fuga, Said e Cherif Kouachi nati in Francia, viene attivato un dispositivo di ricerca enorme con oltre ottantamila (80.000) agenti delle forze di polizia e reparti dell’esercito. Si tratta di uno spiegamento di uomini e donne in armi quale non si era mai visto in tempo di pace, che mettono in stato d‘assedio una intera regione per quasi tre giorni. Intanto un altro jihadista Amedy Coulibaly, anch’egli cittadino francese, apre a sorpresa un nuovo fronte uccidendo a Montrouge, periferia di Parigi, il brigadiere della polizia municipale Clarissa Jean- Philippe, e ferendo un altro agente. Lo stesso Coulibaly in un video postumo dichiara che lui e i Kouachi agivano in sincronia. E siamo a giovedì 8 gennaio. Quindi il 9, mentre i fratelli Kouachi si barricano dentro una tipografia situata a Dammartin – en- Goele, preparandosi allo scontro finale, Coulibaly entra nell’Hyper Cacher di Porte de Vincennes a Parigi – un negozio kosher frequentato essenzialmente da ebrei – prendendo in ostaggio almeno dieci (10) persone, quattro delle quali fucilate quasi subito. Così il ciclo nazifascista si completa: dopo la strage degli intellettuali atei libertari e comunisti che con disegni e parole offendono i fedelissimi di Allah e Maometto, arriva l’uccisione degli ebrei, colpevoli di essere per l’appunto ebrei. Per fortuna altre persone presenti nell’ipermercato vengono messe in salvo da Lassana Bathily, un giovane commesso musulmano. Lassana otterrà poi la cittadinanza francese di cui aveva fatto richiesta. Infine le forze di polizia attaccano i due luoghi, uccidendo sia i fratelli Kouachi che Coulibaly. Durante questa battaglia campale ingaggiata dai Kouachi e da Coulibaly con lo stato francese, i tre uomini curano anche il rapporto coi media, telefonando a un paio di televisioni, inoltre qualcuno posta un video dove Coulibaly presenta l’azione dichiarandone l’origine e tratteggiando l’organizzazione fino a dirne i costi. Se i fratelli si dichiarano militanti di Al Qaeda in versione yemenita, Coulibaly si proclama un soldato dell’Isis, il sedicente Califfato, o Daesh nella dizione araba. Sembra che le due organizzazioni competano al di là del Mediterraneo, ma stando a questa esperienza parigina pare proprio che in Europa collaborino strettamente.

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Ma l’antisemitismo non è soltanto innervato negli attacchi dei jihadisti, bensì circola nella società, minoritario certo, ma non trascurabile. Può addirittura capitare di incontrarlo negli annunci economici, dove per una richiesta di lavoro si specifica che gli ebrei non sono graditi, oppure in certi padroni di casa che, mascherandolo in vari modi, cercano di non affittare gli appartamenti a persone che si chiamino Levi, Cohen, Bloom, Weil. Gioca anche la paura di andare incontro a guai, dalle scritte insultanti in ascensore o nell’atrio, a quelle sui muri, fino al danneggiamento quando non sia il piccolo attentato, o neppure tanto piccolo. Così molti ebrei francesi migrano in Israele. Secondo i dati dell’agenzia ebraica nel 2014 hanno abbandonato la Francia in 7231, contro i 3293 nel 2013. E’ facile prevedere che dopo gli attentati di gennaio 2015 il flusso migratorio aumenterà. Per finire l’antisemitismo sta innervato nella metafisica di Heidegger, filosofo tedesco omaggiato e ripreso da molti anche in Italia. Seppure fu rettore dell’Università di Friburgo nel 1933 nonchè iscritto al partito nazista, dicendo per esempio in un discorso agli studenti “Non teoremi e idee siano le regole del vostro vivere.

Il Fuhrer stesso e solo lui è la realtà tedesca dell’oggi e del domani e la sua legge”, questi furono da molti intellettuali europei considerati peccati veniali, dovuti più a opportunismo che a reale convinzione. Adesso sono venuti alla stampa i suoi diari, veri e propri “Quaderni neri”, dove il suo antisemitismo appare nitido e senza scampo, un antisemitismo non accidentale ma organico alla sua metafisica (si veda per esempio Heidegger e gli ebrei. I “ quaderni neri”- Donatella Di Cesare – Bollati Boringhieri 2014). Se ne è discusso proprio a Parigi in un convegno “Heidegger et les juifs” dal 22 al 25 gennaio. Un modo anche questo di contrastare l’antisemitismo nelle sue radici teoriche più profonde, che stanno tutte dentro la filosofia “occidentale” almeno in versione heideggeriana. Così Coulibaly ammazza gli ebrei, ma Allah non sembra entrarci molto, assai meno di un professore tedesco assurto a grande filosofo, senza che per decenni nessuno, o quasi, si chiedesse se la sua filosofia, insegnata e omaggiata ovunque, avesse qualcosa a che fare con la sua adesione al nazismo. Dopo la seconda guerra mondiale i suoi colleghi intellettuali, non solo tedeschi, finsero che da una parte ci fosse la sua densa e profonda filosofia, dall’altra una sorta di stordimento politico, passeggero come un’influenza di stagione, peccato fosse la stagione nazista. Scrive Paul Celan: lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco/ lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria/ e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti.



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