Aggiornamento: è di poco fa la notizia del rinvio del voto parlamentare sul riconoscimento dello Stato di Palestina. Pubblichiamo comunque, e nella sua versione originale, l’editoriale del direttore Christian Elia
Il Parlamento di Roma e il voto per il riconoscimento di quello che già deve essere
Domani, al Parlamento italiano, è di passaggio una storia importante. Perché verranno discusse quattro mozioni per chiedere il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Con grave ritardo, questo è chiaro, visto che nel mondo sono già più di 130 i Paesi che riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina.
L’ultimo di questi Paesi, in ordine temporale, è stato la Svezia: unico Stato membro dell’Ue. Altri stati membri dell’UE, come Polonia e Ungheria, hanno riconosciuto in passato la Palestina, però prima di unirsi al blocco europeo.
La presa di posizione di Stoccolma ha spinto l’Europa a confrontarsi con un’inaccettabile assenza: quella del diritto. Proprio nel continente che del diritto ha fatto, da tempo, il suo cardine identitario. Non a caso, venuto meno il velo ipocrita dell’unanimità, sono piovute risoluzioni – non vincolanti – approvate da molti parlamenti europei.
Francia, Spagna, Gran Bretagna, Irlanda e lo stesso Parlamento europeo, con un richiamo esplicito al ritorno al tavolo delle trattative. E questi sono due punti interessanti: il primo è quello delle precondizioni, il secondo è quello del buon senso.
Perché per il riconoscimento dello Stato d’Israele nessuno ha posto precondizioni, ma ha solo dato corso alle risoluzioni delle Nazioni Unite, prima su tutte la Risoluzione 181, del 1948, che prevedeva la nascita di Israele e della Palestina, con Gerusalemme capitale condivisa e sotto l’amministrazione Onu.
Ribadita dalla Risoluzione 1397, del 2002, che sostiene i due stati, all’interno di frontiere sicure e riconosciute. E ancora la Risoluzione 1515, del 2003, fino alla Risoluzione 19/67 del 2012, con la quale l’Assemblea delle Nazioni Unite riconosce allo Stato di Palestina il ruolo di osservatore permanente. Questo è il primo punto: non ci sono precondizioni.
Non esistono, non sono previste. Sono solo volute. Perché, sempre considerando un’altra montagna di risoluzioni dell’Onu e di norme del diritto internazionale, sarebbe la Palestina che dovrebbe porre condizioni di rispetto del diritto internazionale: rientro di Israele nei confini pre occupazione del 1967, cessazione immediata degli insediamenti illegali, abbattimento del muro di separazione che sconfina ben al di là della linea di separazione e mille altre ancora.
Al punto che in tanti non sono soddisfatti di questo riconoscimento (potenziale). Perché le violazioni sul terreno sono tante, troppe, quotidiane. E sarebbe la Palestina a non dover chiedere il riconoscimento di nessuno, perché gli spetta di diritto, come gli spetterebbe che venissero sanate le violazioni quotidiane che subisce. Però bisogna ricominciare a parlare di diritto.
Inchiodare il governo israeliano, perché nella società civile israeliana ci sono eccome le voci (molte le firme di un appello in questo senso) che spingono in questo senso, a una realtà chiara: la Palestina ha diritto a uno Stato. Questo non è una precondizione. Questo è un diritto.
La pace ha un senso tra contendenti che si siedono a un tavolo con pari dignità. Qui casca la strategia diplomatica di Israele, che continua a minacciare tutte le cancellerie del mondo rispetto al non compiere questo passo. Con che diritto? In che modo non riconoscere un diritto può andare nella direzione di una pace. L’assurda tesi di Tel Aviv è che il riconoscimento del legittimo diritto palestinese allontani la pace.
Il voto di oggi non sarebbe vincolante, ma sarebbe importante. Perché i palestinesi debbono poter sedersi al tavolo delle trattative da Stato quale la Palestina è, di fronte a Israele che a sua volta è Stato. Questa, a un alieno, parrebbe pura tautologia. Ma sulla Terra, nel 2015, è ancora quasi un’utopia. L’Italia oggi ha l’occasione per mettersi al passo delle democrazie che questo diritto lo hanno già riconosciuto. Grazie Palestina, perché ci offri l’opportunità importante di essere coerenti.
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