Stato di Palestina, perché?

Intervista a Grazia Careccia, esperta di diritto internazionale e Medio Oriente.

Qual è oggi lo status giuridico di un palestinese? Qual è la sua cittadinanza?

È difficile dire chi sia un palestinese. Per esempio, quelli della diaspora, nati e cresciuti all’estero, sono considerati tali e rappresentati dall’OLP. I palestinesi cittadini di Israele sono anch’essi palestinesi. Alcuni palestinesi, soprattutto a Gerusalemme, hanno un passaporto e nazionalità giordana, pur risiedendo in territorio occupato.

Se parliamo dei palestinesi che vivono in territorio occupato possiamo dire che essi sono di fatto cittadini dello Stato di Palestina così com’è stato riconosciuto dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 Novembre 2012. Sulla base degli Accordi di Oslo, dal 1995 l’Autorità Palestinese ha la facoltà di emettere il passaporto per i palestinesi nati in territorio occupato. Benché emessi dall’Autorità Palestinese, i passaporti palestinesi necessitano del nullaosta israeliano.

Israele, in quanto potenza occupante, esercita il controllo sull’anagrafe dei territori occupati e senza l’approvazione israeliana i documenti di identità e i passaporti non possono essere emessi. Il passaporto palestinese non indica la nazionalità del possessore, ma solo luogo e data di nascita.

Anche tra i palestinesi che vivono in territorio occupato ci sono differenze importanti. Non esiste uno stato giuridico unico per i palestinesi che vivono nei territori occupati. Alcuni di loro, in particolare quelli che vivono a Gerusalemme Est, hanno un passaporto giordano e nazionalità giordana, ma possono risiedere in Giordania solo per tre mesi. Alcuni palestinesi di Gerusalemme hanno invece accettato di avere un passaporto israeliano, con il quale possono viaggiare più liberamente senza dover avvalersi dell’unico varco di confine della Cisgiordania, Allenby/King Hussein Bridge, con la Giordania.
Ancora diversa è la situazione per i residenti della Striscia di Gaza, che hanno il documento di viaggio rilasciato dall’Autorità Palestinese a Gaza, quindi dal 2007 è Hamas ad emettere passaporti, il cui rinnovo o re-emissione è però spesso alla mercé delle divisioni interne e di Israele.

Che valenza ha il passaporto palestinese in uno stato che non riconosce lo Stato di Palestina?

I Paesi, come gli Stati Uniti, che non riconoscono la Palestina come stato, non attribuiscono al passaporto palestinese il valore di documento che attesta la nazionalità di chi lo detiene. Anche tra gli stati che hanno riconosciuto la Palestina non è sempre automatico il riconoscimento del passaporto palestinese come documento che attesta la nazionalità del possessore. Il riconoscimento del passaporto palestinese in alcuni casi deriva da dichiarazioni specifiche rilasciate dai singoli stati. Per esempio, nel 2007 il Giappone ha dichiarato di riconoscere la cittadinanza palestinese e il passaporto. Altri Paesi, pur senza aver fatto specifiche dichiarazioni di fatto, considerano i passaporti palestinesi come quelli di qualsiasi altro stato.
Il riconoscimento formale dello Stato di Palestina e dello status di ambasciata delle rappresentanze palestinesi all’estero consente alla Palestina e ai palestinesi di beneficiare di protezione diplomatica e avvalersi dei servizi diplomatici riconosciuti dal diritto internazionale.

In Europa per ora solo la Svezia ha un’ambasciata Palestinese, aperta in seguito al riconoscimento della Palestina da parte del governo svedese. Con il riconoscimento formale gli ambasciatori palestinesi avranno gli stessi diritti e doveri riconosciuti al corpo diplomatico dal diritto internazionale, inclusa l’immunità diplomatica per il personale e le sedi delle ambasciate.

Che effetti può avere il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del Governo italiano?

Il riconoscimento da parte del Governo italiano rappresenterebbe un ulteriore passo avanti per consentire alla Palestina di godere dei benefici (e rispondere dei doveri) riconosciuti agli Stati in quanto entità giuridiche disciplinate dal diritto internazionale. Con il riconoscimento da parte del Governo italiano, l’Italia e la Palestina potranno stabilire rapporti bilaterali paritetici e interagire sullo stesso piano giuridico. I due Paesi potranno concludere accordi bilaterali per disciplinare i propri rapporti non solo politici e diplomatici, ma anche di natura economica, culturale e commerciale.

Il riconoscimento è solo un atto simbolico?

Il riconoscimento da parte del parlamento è indice della volontà politica del Paese e dovrebbe favorire il successivo riconoscimento formale da parte del governo, in quanto organo preposto alla gestione della politica estera e rapporti internazionali.

Il riconoscimento formale da parte del governo non è un atto puramente simbolico, è un atto politico importate che crea effetti giuridici.

Benché il riconoscimento da parte del governo non abbia valore costitutivo (lo Stato di Palestina esiste a prescindere dal riconoscimento da parte di altri governi) è un atto politico necessario per il regolare svolgimento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi sia in campo politico e diplomatico che commerciale, finanziario e culturale.

Perché il riconoscimento abbia davvero peso, che elementi deve considerare? E quali vincoli deve o non deve avere?

La creazione degli stati è uno tra gli argomenti più complessi del diritto internazionale, proprio perché si è cercato di trovare aspetti normativi in quello che è un processo prettamente politico. Il diritto internazionale non stabilisce delle regole precise circa la creazione degli stati, che rimane principalmente un processo politico. La teoria prevalente, e un po’ tautologica, è che uno stato diviene tale perché dichiara di essere uno stato a seguito di un processo politico che consente a questa entità politica di acquisire valore giuridico. Il riconoscimento da parte di altri stati ha valore puramente dichiarativo e lo stato che si è dichiarato tale esiste a prescindere dal riconoscimento da parte di altri.

Altri giuristi invece sostengono che il riconoscimento da parte di altri stati sia essenziale affinché uno stato possa essere creato. Secondo questa teoria il riconoscimento ha valore costitutivo e determina la statualità di un’entità politica che risponda a determinati criteri riconosciuti come aventi valore normativo.
Una prima elaborazione di questi criteri si trova nella Dichiarazione di Montevideo sui Diritti e Doveri degli Stati adottata dalla Conferenza degli Stati Americani nel Dicembre del 1933. In questo documento vengono identificati quattro criteri per la statualità: l’esistenza di una popolazione permanente in un territorio definito su cui vengono esercitati poteri di governo e che l’entità sia in grado di intrattenere relazioni con altri stati.

Successivamente altri giuristi hanno individuato ulteriori criteri tra cui la necessità che il nuovo stato non sia stato creato in violazione del diritto all’autodeterminazione o tramite l’uso illegale della forza. Tuttavia esistono stati, come la Bosnia Erzegovina, che al momento del loro riconoscimento non rispettavano questi quattro criteri a riprova che la creazione degli stati resta prevalentemente un processo politico.

Per concludere, il riconoscimento, in quanto atto politico, non deve essere necessariamente basato su l’esistenza di tutti i criteri identificati nelle varie dichiarazioni sulla statualità. Quest’ultima rimane un fenomeno principalmente politico con importanti conseguenze giuridiche.

Pensi sia un passo importante per permettere alla Palestina una crescita anche economica?

Sicuramente il riconoscimento formale che potrà essere adottato in seguito al riconoscimento da parte del parlamento, faciliterà lo sviluppo di rapporti commerciali e finanziari sulla base di accordi bilaterali paritetici che potranno essere stipulati tra i due stati. Questo dipenderà fondamentalmente dalla volontà politica dell’Italia e della Palestina.

È però innegabile che la Palestina in quanto stato che potrà interagire con gli altri stati in maniera paritaria, almeno dal punto di vista giuridico, avrà maggiori opportunità anche economiche.

Muro e insediamenti: cosa succederebbe se l’intera comunità internazionale riconoscesse lo Stato di Palestina? Se ne vedrebbe la fine?

La decisione della Palestina di diventare stato membro delle Nazioni Unite e di accedere ad una serie di trattati internazionali renderà possibile il ricorso a meccanismi, anche di giustizia internazionale, che potranno fermare le violazioni di diritto internazionale da parte di Israele. Non sarà un percorso né facile né rapido tuttavia il rafforzamento della Palestina sul piano giuridico internazionale offre nuove opportunità per rivendicare i diritti lesi del popolo palestinese. Gli strumenti giuridici per essere effettivamente utilizzati però necessitano di essere sostenuti da un’onesta volontà politica.

Il popolo palestinese sente la mancanza di un riconoscimento internazionale o è una questione, per il momento, ancora solo politica?

Ad oggi gli stati membri delle Nazioni Unite che hanno riconosciuto la Palestina sono 135, quindi la grande maggioranza degli stati esistenti in questo momento. Tuttavia i grandi assenti sono gli stati europei, ad eccezione della Svezia, gli Stati Uniti e il Canada.

È importante notare la differenza tra il riconoscimento da parte dei parlamenti, o meglio, le mozioni con cui una serie di parlamenti europei hanno espresso parere favorevole al riconoscimento della Palestina, e il riconoscimento formale che deve essere fatto dal governo. In Europa, per ora, solo il governo svedese ha riconosciuto la Palestina.

Il fatto che un numero crescente di parlamenti europei si sia espresso a favore del riconoscimento è un segnale importante di supporto politico da parte dei cittadini di questi paesi. È però necessario che queste espressioni di appoggio politico trovino un riscontro positivo nell’adozione di nuove politiche da parte dei governi di questi paesi, a partire dal riconoscimento formale dello Stato di Palestina, seguendo l’esempio svedese. Fino a che gli stati continueranno a sostenere la Palestina solo a parole ma senza un cambiamento sostanziale delle proprie politiche, in particolare nei confronti d’Israele, il popolo palestinese continuerà a vedersi negato il proprio diritto all’autodeterminazione.

Le mozioni e gli atti presentati si basano sulla soluzione dei “due Stati”. Il quadro reale sul terreno, con la colonizzazione israeliana e, di fatto, l’assenza di continuità territoriale, è davvero possibile immaginare uno Stato di Palestina?

La mancanza di continuità territoriale, le politiche coloniali in Cisgiordania, il controllo delle risorse naturali, dei confini e i continui attacchi militari da parte di Israele hanno svuotato di contenuti importanti la soluzione a due Stati, che langue da lungo tempo in uno stato comatoso. In questo momento è altrettanto difficile però pensare che l’alternativa immediata possa essere un unico stato bi-nazionale, a meno che non si accetti l’idea di uno stato in cui i palestinesi siano ancora di più le vittime di discriminazione e apartheid.

La risposta alla domanda due stati o uno stato deve necessariamente tener conto di quelle che sono le aspirazioni del popolo palestinese per la propria autodeterminazione. Non possono essere di nuovo gli stati, come ai tempi della Lega delle Nazioni, a stabilire i confini degli stati.

Se la comunità internazionale fosse veramente interessata a sostenere il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione non dovrebbe far altro che appoggiare le loro aspirazioni utilizzando gli strumenti del diritto internazionale esistenti.

In altri conflitti è stato possibile creare la pressione necessaria per far cessare situazioni d’illegalità, un esempio tra tanti l’occupazione della Namibia da parte del Sudafrica. Un primo passo potrebbe essere il riconoscimento dell’illegalità dell’occupazione israeliana dei territori occupati, visto che viola i principi fondamentali del diritto dell’occupazione militare e altro non è che un regime coloniale e di apartheid.

Sarebbe politicamente disonesto da parte della comunità internazionale arrogarsi il potere di decidere nuovamente per i palestinesi quale dovrebbe essere il loro status, quando nulla è stato fatto per dare pratica attuazione alle espressioni di condanna nei confronti delle continue violazioni commesse da Israele. Se questo paradigma di dichiarazioni di facciata non seguite da azioni concrete potesse essere ribaltato la soluzione a due stati, come voluta dal popolo palestinese, potrebbe avere ancora qualche speranza di vita. Riconoscere la statualità della Palestina nonostante la mancanza di continuità territoriale e le politiche israeliane che limitano fortemente i poteri sovrani del popolo palestinese è però un passo necessario per rafforzare il profilo giuridico e il potere negoziale dei palestinesi anche in vista di una possibile soluzione a uno stato in futuro.

 

 



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