Ad una prima visione questo film, candidato all’Oscar, può risultare anche leggermente molesto perché toglie qualsiasi patina di romanticismo ai film di genere musicale pieni di lieti happy end e mostra la musica vista come mezzo di riscatto sociale, psicologico e dunque metafora della vita e come la vita può costare lacrime e sangue.
Più vicino ai vari Rocky o Karate Kid, ci racconta della musica e in particolare lo strumento più fisico che ci sia la “Batteria” e ci mostra come il sogno americano e il successo dei vari “grandi domani artistici” nascondano i più reconditi e oscuri risvolti dell’animo umano, dal sacrificare i propri sentimenti, alle varie frustrazioni che dovrà mettere in conto, chi intraprende la strada di questo mestiere deve pensare di diventare il migliore . “Nella vita il pareggio non esiste” dice il grande Pele , “Ero lì per spingere le persone oltre le loro aspettative “ dice Terence Fletcher uno straordinario J.K.Simmons (vincitore del Globe come miglior attore per questa interpretazione), Maestro Direttore della Big Band Jazz del Conservatorio di Manhattan. Con questa frase ad effetto si presenta agli allievi dei suoi corsi vessandoli in tutti i modi, in particolare Andrew, studente di batteria pieno di ambizione ed anche un po’ “stronzetto”per nulla simpatico, anche se a sua discolpa è stato abbandonato dalla madre e vive con un padre frustrato.
E proprio su questi due personaggi, che sono poi la stessa faccia della medaglia, regge tutto questo straordinario film girato da un giovane regista, Damien Chazelle, non a caso anche lui mancato batterista.
Il film è pieno di citazioni, per il godimento dei jazzofili ma anche dei cinefili, a cominciare dalla scena in cui il Nazi-maestro lancia un piatto ad Andrew rischiando di decapitarlo e che è uno degli anneddoti più famosi della vita del grande Charlie Parker: si racconta che, alla fine di una jamsession particolarmente autocentrata da parte di Bird, il batterista Jo Jones gli lanciò un piatto della batteria – per fortuna lo mancò, se lo avesse colpito non avremmo avuto la svolta rivoluzionaria del Be Bop.
Questo episodio, che apriva il film di Clint Eastwood proprio su Charlie Parcker, segnerà la sua carriera e non solo. L’episodio viene ripreso e portato ad esempio dal nostro maestro, farà capire da subito al nostro mancato eroe con chi ha a che fare. Il sangue che viene mostrato abbondantemente uscire copioso dalle dita del nostro aspirante batterista non è un’espediente registico ma un effetto di chi passa ore ed ore con due bacchette tra le dita cercando di imitare Buddy Rich, uno dei più grandi e mai raggiunti maestri di questo strumento (e che campeggia in un manifesto nella stanza di Andrew).
La musica la fa da grande a cominciare dal titolo Whiplesh, un brano molto difficile in 7/4 reso famoso dalla Big Band di Don Ellis all’immortale Caravan di Duke Ellington che segue durante tutto il faticoso apprendistato tecnico la Big Band del sadico maestro. Esempio ne è la scena della ricerca di chi non è intonato nell’orchestra e che fa sì che si capisca subito da che parti cinematografiche siamo: “palla di lardo”, epiteto con cui il sergente Hartman in Full Metal Jacket apostrofava un soldato sovrappeso che finirà con il suicidarsi. Non è il caso di Andrew, che si prenderà la sua vendetta in un finale davvero avvincente e non sarà una vendetta solo musicale. Nella realtà dobbiamo ringraziare il vero maestro del regista che ci fece perdere un batterista scarsamente motivato ma ci ha fatto guadagnare un ottimo regista candidato all’Oscar.
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