Per la quarta volta nel giro di una manciata di mesi l’imam Selvedin Beganović del villaggio di Trnovi vicino a Velika Kladuša, all’estremo nord ovest della Bosnia Erzegovina a pochi passi dal confine locale, è stato assalito da uno sconosciuto. In tutti i casi gli aggressori non sono stati identificati ma secondo la testimonianza della vittima si tratterebbe di personaggi legato al mondo wahabita.
Beganović si è più volte espresso contro il reclutamento di giovani bosniaci verso il teatro di guerra siriano e ripetutamente ha espresso una condanna per gli intermediari, sottolineando sempre di poggiare sulla posizione ufficiale della Comunità Islamica bosniaca.
Nel 2013 l’imam bosniaco aveva scritto una lettera aperta a Bilal Bosnić, capo informale della comunità wahabita, accusandolo di effettuare un lavaggio del cervello ai giovani bosniaci inviati come carne da macello in Siria.
“La nostra jihad, in Bosnia, con 500mila disoccupati [su una popolazione che non raggkunge i 3.800.000 abitanti] è creare posti di lavoro” ha dichiarato Beganović alla stampa. Secondo Al Jazeera, che cita fonti di polizia locali, una trentina di persone dalla sola Velika Kladuša avrebbero raggiunto la Siria.
Che la municipalità sia in prima linea per il numero di partenze verso la Siria è stato sottolineato dallo stesso Beganović prima dell’ultimo attacco. Nelle sue vicinanze si trova Bosanska Bojna, un villaggio al confine con la Croazia nel quale personaggi vicini all’ambiente wahabita avrebbero iniziato ad acquistare case dagli abitanti serbi, fino all’arresto di Bilal Bosnić, che avrebbe bloccato temporaneamente il progetto di insediamento.
Bilal Bosnić, che nell’agosto 2014 è stato intervistato dal quotidiano La Repubblica, è stato arrestato all’inizio del mese successivo insieme ad altre quindici persone – alcune delle quali sarebbero tornate dalla Siria – in Bosnia Erzegovina con le accuse di organizzazione di attività terroristiche, finanziamento e invio di combattenti in Siria.
Nell’azione denominata “Damasco” e condotta in contemporanea in diverse città bosniache sono stati sequestrati materiale propagandistico, computer e una grande quantità di armi. Rimesso in libertà dopo tre mesi, è stato nuovamente arrestato nel dicembre 2014 perché sospettato di pianificare una fuga, di inquinare le prove e di recidiva.
Il suo processo è iniziato a Sarajevo con l’accusa di aver invitato i suoi seguaci ad andare a combattere in Siria, della quale Bosnić si dichiara innocente, mentre il suo avvocato definisce il procedimento un “processo politico” per un “delitto verbale”.
La Bosnia Erzegovina ha introdotto un capo di imputazione per coloro che si recano a combattere in teatri di guerra stranieri, i cui organizzatori possono essere puniti con pene detentive fino a dieci anni.
Il terrorismo era già rimbalzato sui titoli dei giornali a inizio febbraio, per una vicenda più ricca di immagini che di contenuto. Le foto scattate da un giornalista olandese di una bandiera dell’ISIS che sventolava su una delle case abbandonate di Gornja Maoča, un villaggio da tempo al centro delle cronache per ospitare una comunità votatasi all’Islam radicale, ha fatto il giro dei media della regione, creando una sorta di isteria collettiva. Quando il giorno successivo la polizia bosniaca ha fatto irruzione nel villaggio della bandiera non c’era più traccia.
Alcuni abitanti del villaggio hanno rilasciato interviste a un media locale, negando di sostenere l’ideologia dell’ISIS e affermando di vivere di agricoltura e di scambiare i prodotti dei campi nei vicini mercati.
Tuttavia il nome del villaggio nonché quello del capo della sua comunità, Nusret Imamović, che oggi si troverebbe in Siria, sono emersi in numerose inchieste legate al terrorismo internazionale.
E intanto si intensificano i controlli alle frontiere con i paesi vicini, a partire dalla Croazia che nel mese di luglio 2015 farà richiesta formale di ingresso nella zona Schengen. E il muro intorno alla Bosnia Erzegovina rischia di inspessirsi.