Foxcatcher

Una vicenda nera, disturbante, in cui il regista sa andare oltre i fatti per scavare nella complessità delle psicologie dei protagonisti

Di Irene Merli

FOXCATCHER, di Bennett Miller, con Steve Carrell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Sienna Miller, Vanessa Redgrave. Nelle sale dal 12 marzo.

Quando si vede la scritta “ispirato a fatti realmente accaduti” all’inizio di un film, non si sa se aspettarsi una ricostruzione fantasiosa, distorta o al contrario così fedele da sembrare piatta, cronachistica. Non è il caso di “Foxcatcher”, amarissima storia vera di un miliardario senza qualità che si trasforma nell’aguzzino di un giovane atleta, riuscendo a distruggerlo e a togliergli l’affetto più grande.

Una vicenda nera, disturbante, squisitamente americana – con i soldi si può avere e fare di tutto .  In cui il regista sa andare oltre i fatti per scavare nella complessità delle psicologie dei protagonisti e soprattutto nell’ossessione, nel delirio di onnipotenza.

California. Il campione olimpico di lotta Mark Schultz, mentre si sta allenando duramente per toccare risultati ancora migliori, viene contattato da emissari del magnate multimilionario John Eleuthère du Pont, erede di una famiglia dell’East Cost che ha costruito la sua fortuna dai tempi della Guerra di Secessione.

Du Pont vuole costruire un team di lottatori che portino alla vittoria gli Usa alle Olimpiadi di Seul del 1988: lui ne sarà il finanziatore, ma anche il coach. E vuole i fratelli Schultz : l’altro, David, appena più grande e con famiglia, è anche lui un campionissimo.

Accetterà solo Mark, perché si tratta di trasferirsi nella tenuta di du Pont, in Pennsylvania, e sottoporsi al suo ferreo controllo. Che si rivelerà malsano patriottismo, paternalismo alienato, bisogno di esercitare potere sugli altri. “Eagle”, infatti, come lo chiamano i suoi simili, ha l’ossessione della lotta e non solo. Soffre di seri problemi psicologici causati dalla totale dipendenza da un’anziana madre, che non lo ho mai approvato e anzi gli rimprovera la sua passione per uno sport tanto “basso”.

 

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Du Pont è un uomo fragile e pericoloso, ma anche Mark ha le sue debolezze: sembra un grosso automa, ha lo sguardo vuoto e allarmato, ama il fratello ma vuole affrancarsene. Ha finito gli studi grazie ai meriti sportivi e appena sbaglia gli crolla il mondo addosso: mettersi al servizio di chi gli prospetta un grande futuro lo farà sentire riconosciuto e rassicurato.

Peccato che il rapporto tra lui e du Pont sia destinato a diventare morboso: il ragazzo deve conquistare i trofei che John, onnipotente, la vita ha negato.

Anche se questo significa iniziarlo alla cocaina e sopraffarlo a botte di violenza psicologica. Quando poi Du Pont, davanti ai primi insuccessi di Mark, convince il fratello David a raggiungerli nella sua tenuta per farlo allenare, tra i tre si crea una miscela esplosiva che li porterà nel baratro. Il miliardario inizia a stancarsi dei suoi giocattoli, soprattutto di quello su cui aveva puntato tutto per avere finalmente ammirazione e autorita’. E quando perde la madre perde anche il senno. Finendo per uccidere in un attacco di paranoia l’unico uomo felice del triangolo, Dave.

Bennett Miller, già autore di “Truman Capote. A sangue freddo” e di “L’arte di vincere”, con “Foxcatcher” ci consegna la storia durissima di una tragica lotta di classe, ben più insidiosa di quella che si affronta in palestra. E compie autentici miracoli con i tre protagonisti: Channing Tatum, inespressivo eroe da blockbuster, qui recita con tutto se stesso al punto da sembrare un altro per gran parte del film.

Steve Carrell, noto attore comico, con un naso finto e lo sguardo sempre sfuggente è irriconoscibile e di una bravura impagabile. E anche Mark Ruffalo è in stato di grazia, con l’andatura ciondolante tipica dei wrestler e la semplicità mentale dipinta nello sguiardo e nei sorrisi sin dalle prime scene. Tanto è vero che sia lui, che Carrell e Miller erano candidati all’Oscar (con lo sceneggiatore e il truccatore). Per un mucchio di buone ragioni.

 

 

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