Da Parigi.
Il 23 febbraio alla cena annuale del CRIF – il Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche di Francia – cui di solito partecipano i più alti rappresentanti della Republique a cominciare dal Presidente, e i rappresentanti delle altre religioni, mancano i musulmani riuniti nel CFCM (Consiglio Francese del Culto Musulmano), rompendo così l’union sacrée celebrata nella manifestazione dell’11 Gennaio. Il presidente del CRIF Roger Cukierman alla vigilia aveva rilasciato una dichiarazione giudicata irricevibile se non islamofoba dal CFCM. A una domanda sul voto al FN Cukierman risponde: “E’ estremamente minoritario. Siamo tutti coscienti nel mondo ebraico che dietro Marine Le Pen, personalmente irreprensibile, ci sono tutti i negazionisti, i nostalgici del governo di Vichy e del maresciallo Petain (collaborazionista coi nazisti n.d.r), e dunque per noi il FN è un partito da evitare. Il FN è un partito per cui non voterei mai, ma è un partito che oggi non commette più violenze. Tutte le violenze oggi, bisogna dire le cose come stanno, sono commesse da giovani musulmani. Certamente si tratta di una piccola minoranza della comunità musulmana ma fanno un male considerevole(..).” Si capisce quindi perchè il presidente musulmano del CFMC Dalil Boubakeur non si sia presentato alla cena. Poi Hollande ha provato a metterci una pezza, invitandoli entrambi all’Eliseo, con gran strette di mano sulla scalinata del Palazzo per eccellenza a uso e consumo di fotografi e operatori televisivi, i protagonisti però essendo alieni da ogni cordialità, fosse pure quella diplomatica.
D’altra parte a Parigi la discussione su razzismo, islamofobia e antisemitismo la si incontra ovunque dalle aule universitarie ai bistrot, luoghi di lavoro e sedi di partito, giornali e palcoscenici televisivi, marciapiedi e piazze.
Si tratta di un dibattito pubblico molto vivace, bruciante in una società dai nervi scoperti appena colpita da una strage e ancora segnata dalla dominazione coloniale e dalla sconfitta che subì nella guerra d’Algeria da parte del FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), nonché dall’esperienza di Vichy collaborando il governo Petain e la polizia francese coi nazisti nei rastrellamenti di ebrei da mandare nei campi di concentramento e sterminio.
Una sorta di passato oscuro che si voleva se non risolto almeno rimosso, e invece ancor oggi pesa sull’inconscio e l’immaginario collettivi, una specie di coccodrillo che si muove sul fondo melmoso ma sempre pronto a salire fino a pelo d’acqua azzannando, salvo poi versare le classiche lacrime, post mortem delle vittime. Seguendo una delle tante trasmissioni televisive che procede su binari piuttosto scontati – la Republique, in tutte le sue istituzioni e articolazioni sociali e politiche, laiche e religiose, per definizione non può essere razzista non può essere antisemita non può essere islamofobica, seppure qui con un po’ di ritardo e una qualche balbuzia – mi imbatto in Michèle Sibony, leader degli ebrei per la pace annuncia il presentatore.
Madame Sibony scompagina i luoghi comuni proponendo un diverso punto di vista, tra l’altro incrociando il ferro con il responsabile isareliano dei ritorni (Alyah, letteralmente “la salita”) per gli ebrei francesi che vogliano andare a vivere in Israele – i quattro uccisi all’ipermercato kosher il 9 gennaio sono stati sepolti colà.
Cerco allora un’amica ebrea e di sinistra che infatti la conosce, e prendiamo un appuntamento. “Sei andato quasi a colpo sicuro, noi ebrei di sinistra non siamo tanti, ancor meno per la pace – la pace tra israeliani e palestinesi – qui a Parigi” ride l’amica mentre saliamo in ascensore verso l’appartamento di Michèle Sibony. La stanza dove c’accoglie è illuminata dal sole, per la prima volta da una settimana non piove, e dalle ampie finestre sotto di noi splende Parigi. Buon posto per discutere, bevendo thè e caffè forti e profumati. Michéle Sibony, che ha studiato letteratura in Israele per oltre quattro anni, si presenta come la portavocedell’UJFP (Union juive française pour la paix), un’associazione che conta 400 iscritti, e che non vi paian pochi sembra ammonirmi. Noi proponiamo un giudaismo laico e non sionista, quando ci vuole antisionista, insomma sionismo e ebraismo non sono la stessa cosa. Il faut tourner la page, bisogna girar pagina ripete più volte. Se dovessi definirmi, più che antisionista direi piuttosto post sionista. C’è una nuova storia che deve essere cominciata. La questione della sovranità ebraica e della sicurezza è diventata una questione esistenziale. Questa sovranità li protegge proprio individualmente. Io provo a convincerli che la sovranità si può condividere. S’intende che parla degli ebrei d’Israele ma anche di Francia. Questo è un punto critico, la comunità ebraica di Francia appare essere una propaggine della comunità israeliana, se non tout court dello stato d’Israele. Il CRIF – che nacque nel 1943 con lo scopo di organizzare l’espatrio degli ebrei per sfuggire alle deportazioni naziste e vichiste – è oggi di fatto una emanazione israeliana, sostenendone la politica. I giovani ebrei francesi possono andare a fare il servizio militare nell’esercito israeliano, per esempio partecipare all’operazione Piombo Fuso contro Gaza, tornando poi a studiare lavorare e vivere in Francia come se nulla fosse, mentre lo stesso non è vero per i giovani di origine araba e /o musulmana. Anzi durante l’ultimo intervento militare israeliano, il governo socialista ha vietato le manifestazioni a favore della resistenza palestinese – una cosa mai vista in Francia dove la libertà di manifestare è sacra, o almeno così si dice. Manifestazioni vietate semplicemente perchè erano contro la politica di Israele.
In qualche modo il conflitto isarelo palestinese viene importato in Francia, producendo fratture che non sono nostre ma vengono da là. Si tratta di un’operazione politica, che espone gli ebrei francesi quasi fossero in prima linea e responsabili loro, francesi, delle azioni di guerra contro i palestinesi. Per di più in questa importazione del conflitto tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania nonchè a Gaza, trasmigrando dal sud del Mediterraneo fino a Parigi ha una perversa torsione che trasforma un conflitto politico-militare per la sovranità e i diritti di due popoli in un conflitto religioso, tra ebrei e musulmani, tra l’altro cancellando di fatto coloro che, in un campo come nell’altro, sono laici. In Israele la torsione si ha quando irrompe il nazionalismo religioso. Una delle giustificazioni al nuovo colonialismo ebraico nei territori occupati è che quelle terre sono state date agli ebrei daYahweh, Dio in ebraico, come sta scritto sulla Torah. Insomma la Bibbia e non i trattati o i diritti sarebbero il fondamento di legittimità per la politica di occupazione israeliana. Non per tutti certo, ma per molti i confini e la fondazione di Eretz Israel sono esattamente quelli disegnati nella Torah, una concezione devastante per la convivenza civile umana mi vien da dire. Così da noi in Francia il conflitto tra israeliani e palestinesi muta in conflitto sempre a fior di pelle tra comunità religiose, musulmana e ebraica, da cui l’antisemitismo e l’islamofobia che si nutrono a vicenda, due facce della stessa medaglia. Se gli ebrei francesi sono assimilati a Israele, alla sua politica coloniale verso gli arabi e i palestinesi, come fa il CRIF e come ha fatto Netanyhau quando è arrivato qua l’11 gennaio, si favorisce l’antisemitismo. Se gli ebrei francesi vengono messi in vetrina e sovraesposti come responsabili della colonizzazione dei territori occupati si favorisce l’antisemitismo.Ogni volta che esponi gli ebrei come “israeliani” indichi/costruisci anche il nemico antisemita. Ripete il concetto più volte Michéle – a questo punto possiamo chiamarci per nome – quasi nemmeno lei credesse a una politica tanto cinica da esportare il modello amico nemico da una situazione di quasi guerra, quando non guerra dispiegata, per importarlo come conflitto religioso in una società civile dove vige la pace, per ora. Inoltre continuando nella sua analisi, non per caso verso la Francia. Due sono i bacini d’immigrazione per Israele, la Francia e l’Argentina, quindi c’è una decisione politica di usare l’antisemitismo in Francia per forzare l’ Alyah, i ritorni in Israele di cittadini ebrei francesi.
Adesso, in un discorso già complesso, Sibony introduce la dimensione coloniale. Gli ebrei francesi sono in larga misura ebrei sefarditi originari del Maghreb. Il popolo ebraico è uno dei popoli di base del Nord Africa, un popolo fin dai tempi più remoti costituente – direi io – le popolazioni di quelle terre. Quando in Algeria il governo francese concede loro la cittadinanza francese a pieno titolo, quella di serie A, come ai cittadini di origine franco francese, e non quella di serie B, di cittadino indigeno – stava scritto sulla cartà d’identità – come agli altri abitanti maghrebini, esplode loro la testa, proprio così dice Michéle, esplode loro la testa. Questa decisione rompe l’unità tra loro e la loro terra d’origine, nonchè l’unità e la fratellanza tra loro e gli altri popoli colonizzati, diciamo gli arabi musulmani. Nel Maghreb non esisteva l’antisemitismo, neanche sapevano cosa volesse dire. A tal punto la cosa è esplosiva che quando il FLN algerino vince la guerra e gli abitanti d’Algeria di origine francese, i pieds noirs, devono andarsene, tornando nella madrepatria cosidetta (saranno oltre un milione), anche gli ebrei sefarditi maghrebini sono obbligati a seguire lo stesso destino, che da colonizzati sono diventati loro malgrado colonizzatori. Un altro capolavoro di perversione colonial colonialista. Ora di nuovo li si vuol fare migrare al di là del Mediterraneo nel ruolo di coloni colonizzatori, di fatto truppe d’occupazione. In questo tourbillon e continui scarti d’identità non c’è da stupirsi se spesso sono i più violenti. Inoltre, e qui torniamo a pieno titolo in Francia, di fronte a una crisi economico sociale di dimensioni mai viste cui non si riesce – o non si vuole – a metter mano, si vogliono trasformare le contraddizioni di classe (tra sfruttati e sfruttatori) in conflitto razziale e/o religioso. Si tenta se non di stravolgere, almeno di oscurare la natura sociale del disagio, deviando la rabbia su falsi bersagli e capri espiatori, e cosa di meglio dell’antisemitismo, la Germania tra le due guerre ancora insegna. Aggiungiamo poi l’azione politico culturale di associazioni come il Cercle de l’Oratoire, un think thank neoconservatore, che predica il conflitto tra l’asse del bene e l’asse del male, tra civiltà giudaico cristiana e civiltà islamica con la pretesa invasione islamica della Francia, e cominciamo a capire donde viene l’islamofobia. Insomma concorrono tre elementi allo sviluppo della coppia strettamente legata di antisemitismo e islamofobia: la politica neoconsevatrice di molti circoli francesi, la torsione della questione sociale in contraddizioni razziali e/o religiose e nella politica del capro espiatorio, l’azione del governo sionista israeliano col concorso del nazionalismo religioso. Ma ancora non so se e in che misura, al di là delle strategie politiche, si può parlare di antisemitismo diffuso in Francia e di islamofobia. Interviene la mia amica, che a lungo ha insegnato in un liceo di Saint Denis, banlieue alle porte di Parigi, un tempo rossa e operaia, oggi densa di beurs (i figli francesi degli immigrati maghrebini) e persone di cultura musulmana, adesso docente in un altro liceo nel XX arrondisment, anche questo assai multietnico con una forte prevalenza tra i ragazzi di cognomi arabi. Io con un cognome palesemente ebreo (di quelli importanti e che tutti conoscono aggiungo io) non ho mai sentito in ventanni d’insegnamento ostilità nei miei confronti, nè da parte degli allievi nè dei loro genitori. Anche dopo la strage di Charlie Hebdò, su cui ho pianto per due giorni, io con Cabu sono cresciuta, le discussioni in classe, specie in terminale, l’ultimo anno, sono state assai accanite ma mai aggressive, e dire che io sono molto molto Charlie. Poi per esempio a Rue Petit ci sono moltissimi ebrei tradizionalisti (e una scuola privata Loubavitch con 2000 allievi) con le loro botteghe, i loro usi e costumi senza che nessuno, almeno finora, li abbia mai pubblicamente disturbati o biasimati. (la mia amica abita all’angolo). Eppure intorno c’è anche pieno di arabi. Questo giudizio è sostanzialemnte condiviso da Michéle. Ci sono delle azioni contro gli ebrei, anche violentissime come gli ultimi omicidi, ma non mi pare ci sia un clima globalmente antisemita. Anzi l’immagine dell’ebreo non è forse mai stata così buona, mai così considerata come integrata, parte della Republique. Invece l’immagine dei musulmani si degrada ogni giorno di più. C’è una vera e propria battaglia in Francia contro l’Islam.
Prendi la legge per l’interdizione del velo nelle scuole e negli impieghi pubblici, la prima legge del dopoguerra discriminatoria verso una parte dei cittadini. Non s’era mai visto. Tra l’altro il 90% delle aggressioni fisiche a musulmani sono contro donne velate. Il peggio del peggio. Se non ho capito male si prepara anche una legge dello stato su come bisogna essere musulmano in Francia! Poi c’è il controllo che dopo la strage a Charlie si sta stabilendo nelle scuole sugli studenti, e sulle famiglie, diciamo di cultura musulmana. (qua c’è una continua difficoltà linguistica tra musulmano, islamista, arabo – è pieno di arabi laici- maghrebino , di cultura musulmana eccetera). Si mettono in campo i Presidi con funzioni di controllo rischiando una restrizione della libertà dei bambini e dei ragazzi nella discussione. Per ora sono rischi e tendenze. Ma se si arrivasse a scuola, e tramite la scuola, a un controllo di massa delle opinioni religiose e politiche dei ragazzi, sub specie di lotta al terrorismo, sarebbe gravissimo. Ho paura di una Republique con una testa solo bianca che rifiuta la diversità. L’union sacrèe dell’11 gennaio (si riferisce alla grande manifesatzione con due milioni di cittadini in piazza a Parigi e tutti i capi di stato europei e non) non vorrei diventasse l’ipotesi di una Repubblica tutta omogenea, senza più alcun dissenso. Tornando ai gesti antisemiti, certo che crescendo il razzismo, siccome non è un salame che puoi affettare, tirando da parte le fette che non ti piacciono, gli atti d’intolleranza e fanatismo colpiscono un po’ tutti, ebrei e musulmani. Quando hai innescato il maccanismo dell’agnello sacrificale che prima cercavo di descrivere, poi quello va da sè. A questo punto è ora che ce ne andiamo, seppur si potrebbe continuare per altre tre ore, tanto Michéle Sibony ha cose da dire e raccontare che le vengono dalla sua lunga esperienza correndo tra Israele e Parigi, tra i militanti palestinesi e gli ebrei altrettanto militanti. Quindi le chiedo come l’attività sua, e dell’associazione degli ebrei francesi per la pace, venga percepita. Ho perso molti amici in Francia, molti ne ho trovati in Israele, tutto sommato sono contenta. Nella comunità siamo chiamati spesso “ ebrei che hanno in odio se stessi”, però lavoriamo con e nella comunità facendo crescere la nostra voce, già oggi sono spesso obbligati a starci a sentire, anche i dirigenti sionisti. Direi che non possono prescindere da noi. Già la comunità, perchè non i cittadini. E’ normale che i giovani musulmani si rivolgano alla loro comunità perchè è l’unico luogo in cui si sentono riconosciuti. In un certo senso è vero anche per gli ebrei, ma in modo diverso, diciamo nel loro legame con Israele come ho provato a spiegare. Qualcuno opera perchè si sentano monchi senza questo legame. Noi lavoriamo esattamente per l’opposto, invece di essere ebrei “israeliani” di Francia che importano i codici della guerra,vogliamo essere ebrei francesi che importano in Israele i codici della pace. E cerchiamo di costruire un fronte comune antirazzista tra ebrei e musulmani. Senza mai dimenticare che la questione palestinese è insieme la sorgente di molte fratture che qui viviamo e il bersaglio di molti attacchi che subiamo.
Ci alziamo per andarcene, e sulla soglia chiedo se non abbia paura, in mezzo a tentare la pace mentre tutti sembrano prepararsi alla guerra. Paura no, ma sono prudente faccio attenzione. Poi scoppia a ridere. Un bel sorriso, fiero.