Nubi sul Brasile

Scandali, proteste e crisi economica mettono in crisi il governo Dilma

Domenica 15 marzo centinaia di migliaia di persone (secondo alcune fonti i numeri raggiungerebbero i due milioni) sono scese nelle strade delle principali città brasiliane (e anche in alcune città straniere come New York e Parigi) per protestare contro il Governo Dilma, in quella che, secondo la rivista Veja, è stato la più grande protesta mai vista contro un presidente della Repubblica.

Che il Governo del PT non navigasse in ottime acque era evidente da qualche tempo. Lo scandalo della PetroBras, già sulle pagine dei giornali internazionali da molto prima delle elezioni, è stato utilizzato in campagna elettorale per screditare la figura della presidentessa e del suo partito. Al momento però il fatto non sembrava aver influenzato il voto e i brasiliani alle urne si sono espressi a favore di Dilma.

Ma la spirale di odio politico covata durante l’ultimo mandato e esplosa durante la campagna elettorale non era disposta a dare tregua. E i fatti di questi ultimi giorni lo dimostrano.

Il problema della PetroBras è solo la punta dell’iceberg. Che il Governo fosse all’oscuro dei movimenti loschi dentro il colosso petrolifero è effettivamente troppo fantasioso per essere creduto. D’altro canto è anche vero che la corruzione in Brasile è un fenomeno così capillare e integrato nel sistema che è verosimile che Dilma in prima persona non fosse al corrente di tutto quello che alcuni dei suoi collaboratori stavano facendo.

Il suo coinvolgimento personale, dunque, insieme al fatto che i soldi ottenuti tramite attività illecite siano stati usati nella campagna elettorale del 2010, è tutto da dimostrare. A giudicare dai toni delle manifestazioni, comunque, i risultati delle indagini a Brasilia non sembrano poter influire particolarmente sul clima interno del Paese.

La corruzione non l’ha certo inventata il PT, e la PetroBras è solo un pretesto per chiedere l’impeachment di un presidente la cui vittoria non è andata giù alle ali conservatrici del Paese (la destra, le Chiese e perfino la massoneria). I cartelloni e gli striscioni sbandierati dai manifestanti dagli avversari del Governo parlano chiaro e inquietano molto.

La gente per strada chiede l’intervento dei militari con agghiaccianti slogan che scimmiottano e in alcuni casi copiano quelli del golpe militare del 1964: da “il Brasile non sarà una nuova Cuba” a “Marcia dei cristiani contro il comunismo e per l’intervento costituzionale dei militari”, “Army, navy and air force, please save once again from communism”, “Basta indottrinamento marxista, basta Paulo Freire”, “Signori generali il 31 marzo si avvicina. Ripetiamo il 1964”, “Dite no alla dottrina marxista nelle scuole”, “Sono ricca perché lavoro, non perché rubo i soldi del popolo”. Questi solo alcuni tra gli esempi peggiori.

Non c’è da stupirsi che gli analisti locali e stranieri abbiano evidenziato come principale differenza tra queste manifestazioni e quelle del 2013 che le attuali sono “più bianche, più ricche, più vecchie”. E per forza. La maggior parte dei neri vive nelle favelas, e quelli l’intervento militare lo subiscono tutti i giorni, perché dovrebbero scomodarsi a scendere in piazza per chiederlo?

Sono i ricchi quelli che si sentono menomati per i 120R$ della Bolsa Familia (40€) e perché i figli dei neri e dei poveri hanno accesso “privilegiato” alle università grazie al sistema delle quote. Sono i ricchi quelli che nel 1964 hanno guadagnato dal golpe, quelli che non volevano la riforma agraria, quelli che oggi vogliono più privatizzazioni, quelli che non sopportano che il 12 anni di PT anche i più poveri abbiano ottenuto un miglioramento nelle loro condizioni di vita. E non è un caso che succeda nel momento in cui tutti sono colpiti dalla recessione che il Paese sta attraversando. Il sussidio al tuo vicino pesa di più quando la crisi economica mette le mani sul tuo portafogli.

Come sostiene il filosofo e commentatore politico Mario Sergio Cortella, perfino la reazione allo scandalo PetroBras sarebbe stata diversa se la situazione economica fosse stata migliore. Ma non poteva essere peggiore.

Venti giorni fa l’Economist pubblicava un articolo sul Brasile dal titolo “The crash of a titan” dove esponeva i problemi più pressanti che il Governo brasiliano sta affrontando in questo momento. Crescita stagnante (1,3% come media negli ultimi quattro anni), aumento dell’inflazione (7%), perdita del real sul dollaro, calo delle esportazioni, aumento del debito pubblico e privato, drastico calo degli investimenti (secondo la rivista inglese solo lo scandalo della PetroBras costerà l’1% del GDP in investimenti che non verranno effettuati), aumento del debito estero detenuto in dollari e conseguente drammatico aumento della somma in R$. A tutto ciò si è aggiunto il problema della siccità nel Sudest che ha messo in ginocchio la fornitura di energia elettrica.

Insomma ci sono tutti i presupposti perché questo delicato equilibrio economico e politico si trasformi in un caos dalle fosche tinte. Due le cose da tener presenti.

Forse abbiamo avuto troppa fiducia nel boom economico brasiliano. Del resto la sua storia economica è caratterizzata da forti up and down con picchi di inflazione del 2000% e l’ultimo salvataggio dell’IMF risale solo al 2002. In secondo luogo non dobbiamo mai dimenticare che la democrazia brasiliana è relativamente giovane e che il passaggio dalla dittatura non ha annientato né i responsabili né gli interessi in gioco allora. In poche parole non è avvenuto quel radicale cambiamento sociale necessario per metterci al riparo da scherzi totalitari poco divertenti.

Quando penso a crescita economica e transizione democratica mi viene sempre in mente un alcolista in processo di riabilitazione. Camminiamo tutti sul filo del rasoio e dobbiamo vigilare attentamente su quello che ci succede intorno perché ricascarci è un attimo. Oggi siamo al sicuro, con i nostri conti in banca più o meno cospicui e con i nostri diritti garantiti, ma il mantenimento (e perché no, il miglioramento) di questa condizione dipende anche in gran parte da noi, dal nostro impegno sociale e politico.

 

 

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1



Lascia un commento