“Per una posizione da comandante di un’area militare […] mettiamo che uno lo corrompesse con 10 milioni di yuan [oltre 1 milione e 500mila euro al cambio attuale, ndr]; se però poi arrivava un altro e gli offriva tangenti per 20 milioni, lui faceva fuori il primo, quello dei 10 milioni”. Così, il generale in pensione Yang Chunchang ha raccontato alla governativa Phoenix Tv l’andazzo nell’Esercito Popolare di Liberazione ai tempi del disgraziato Xu Caihou, già vicepresidente della Commissione Militare Centrale ai tempi di Hu Jintao, tra il 2004 e il 2012, e morto domenica per cancro. Ma altre fonti anonime hanno raccontato al Wall Street Journal che anche l’arruolamento come semplice soldato semplice poteva costare circa 10mila yuan (più di 1500 euro).
Xu era uno dei 30 generali finiti nel maglio del giro di vite anticorruzione all’interno delle forze armate cinesi, che – dicono insider ed esperti – sarebbero percorse da un tale livello di malaffare da non essere probabilmente in grado di combattere; considerando anche che non lo fanno sul serio da oltre trent’anni.
Specialmente nell’ultimo decennio, la compravendita di gradi militari sarebbe divenuta così diffusa da spiegare l’esistenza di veri e propri listini prezzi. Gli ufficiali arrestati di recente spaziano dall’esercito alla marina, passando per il Secondo Corpo d’Artiglieria, quello che ha in carico i missili nucleari della Cina.
Xu Caihou aveva confessato a ottobre di avere preso tangenti “molto grandi” per assegnare promozioni. Si parla di circa 40 milioni di yuan (oltre sei milioni di euro) da un solo protegé, il generale Gu Junshan. Le accuse sono state stralciate dopo la sua morte, comunica ora l’agenzia Nuova Cina.
Nell’ultima tornata di decapitazioni eccellenti, pochi giorni fa, sono stati 14 i generali messi sotto inchiesta. Tra questi, Guo Zhenggang, figlio del generale Guo Boxiong, altro vicepresidente della Commissione Militare Centrale tra il 2002 e il 2012.
In una Cina che guarda sovente alla propria storia, alcuni osservatori hanno paragonato la situazione attuale al declino dell’ultima dinastia Qing, sostenendo che la corruzione nell’esercito fu uno dei motivi principali delle sconfitte rovinose con gli inglesi, ai tempi delle guerre dell’oppio, e poi con il Giappone.
Il 4 luglio del 1840, la flotta inglese ci mise nove minuti d’orologio per spazzare via a cannonate la guarnigione cinese sull’isola di Zhoushan, in quello che fu il primo atto dell’aggressione coloniale alla Cina e del “secolo dell’umiliazione”. La storica britannica Julia Lovell parla nel suo The Opium War di deficienze cinesi in termini di “materiali e difese; organizzazione; qualità individuale delle truppe”. Gli 800mila uomini sotto le armi a quell’epoca se la filavano puntualmente di fronte ai 7mila del corpo di spedizione britannico, abbandonando forti che cadevano a pezzi, mal riforniti, armati con cannoni primitivi. Alcuni capi militari cercavano di accordarsi con gli inglesi per inventare scaramucce fittizie e quindi mandare a Pechino trionfalistici rapporti di improbabili vittorie. In una parola, non ce ne era una che funzionasse. “Corruzione”, fubai, rimbomba nelle teste cinesi da 175 anni.
L’attuale offensiva di Xi Jinping non sarebbe però finalizzata solo a rendere l’EPL un esercito “vero”, bensì a rimuovere ogni residua influenza di Jiang Zemin – l’”Andreotti cinese” – l’uomo che nel dopo-Deng ha tenuto in pugno le redini del Paese per vent’anni.
Una fonte anonima ha rivelato al South China Morning Post che Hu Jintao – il presidente che ha preceduto Xi – nel decennio sotto il proprio comando non fosse in realtà al comando di un bel niente. Per quanto riguarda le faccende militari, veniva regolarmente scavalcato da Jiang – formalmente già in pensione – che controllerebbe quindi gli uomini che hanno corrotto l’esercito.
L’esempio che viene citato è il volo di prova del “caccia invisibile” cinese, il Jian-20, nel 2011 a Chengdu. Quando Hu ne venne informato, mentre si trovava a colloquio con l’allora ministro della Difesa Usa Robert Gates a Pechino, rimase inebetito. Non lo sapeva.
A quel volo di prova assisteva però Xi Jinping, che probabilmente prese nota di come tutto avvenisse sotto il naso del teorico numero uno. E oggi agisce di conseguenza. Bisogna riportare l’esercito sotto il controllo del potere civile.
Che la situazione sia tesa lo rivela però il fatto che nei giorni scorsi il presidente cinese avrebbe rivoltato come un guanto l’Ufficio centrale per la sicurezza, cioè l’entità che si occupa della sua incolumità personale. Meglio non fidarsi: c’è del marcio nell’esercito e c’è del marcio a Zhongnanhai (la residenza dei leader cinesi).
[Scritto per il Fatto Quotidiano]
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