Istanbul, il buio oltre Gezi

Assalto alla procura, ucciso assieme ai sequestratori un giudice del caso Berkin

L’11 Marzo di un anno fa moriva dopo 269 giorni di coma Berkin Elvan, 15 anni. La sua colpa fu quella di trovarsi nel posto sbagliato durante le proteste di Gezi, quando fu colpito alla testa da un proiettile lacrimogeno, mentre attraversava la strada per comprare il pane alla madre.

Il giorno della sua morte migliaia di persone scesero nelle strade di Okmeydani e Taksim a Istanbul ed in tutta la Turchia per protestare e ricordare la morte di Berkin, ultimo simbolo contro la violenza indiscriminata con cui furono terminate le ormai famose giornate di Gezi.

Ad aspettare i manifestanti gli stessi toma e la stessa intransigenza che avevano conosciuto qualche mese prima, ci furono cariche, arresti e nuovi feriti. Dopo una notte e qualche giorno di guerriglia urbana tra i manifestanti e la polizia, l’ordine fu ristabilito ancora una volta a lacrimogeni e acqua orticante. L’affaire Berkin lasciò la strada per entrare nei tribunali, dove l’inchiesta continua a rilento.

Tuttavia, coloro che pensavano che la questione fosse stata archiviata si sbagliavano. Perché ieri, 31 marzo 2015, un anno e venti giorni dopo la morta di Berkin, un commando armato é entrato nel nuovo tribunale di Istanbul dove ha sequestrato il magistrato Mehmet Selim Kiraz, pubblico ministero coinvolto nell’inchiesta relativa alla morte di Berkan Elvan.

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Kiraz é morto dopo il blitz dei corpi speciali turchi, assieme ai suoi due sequestratori. Questi, in particolare, chiedevano una confessione in diretta dei poliziotti sospettati di essere responsabili della morta di Berkin, la loro consegna a un tribunale popolare e l’assoluzione dei tanti che sono ormai sotto processo per aver preso parte alle manifestazioni di sostegno a Berkin.

In una foto del sequestro diffusa in rete si vede alle spalle del magistrato la bandiera del DHKP-C, un gruppo di estrema sinistra di cui si é già molto parlato ultimamente, in particolare in seguito al loro tentativo di attentanto contro i militari di fronte al Palazzo Dolmabaçhe avvenuto questo gennaio.

Sulla questione, nelle ore del sequestro e della trattativa, é sceso un buio mediatico ordinato dal primo ministro Akdoğan che, come previsto dai suoi poteri nei casi relativi alla sicurezza nazionale ed all’ordine pubblico, ha vietato ai media locali di coprire temporaneamente la notizia.

I fatti di oggi, qualsiasi sia il risvolto nelle prossime ore, sono sintomatici di un malessere che non riguarda solo dei gruppi estremisti isolati, ma una gran parte della popolazione turca.

Se il ricorso alla violenza e al sequestro é un gesto estremo e non condiviso, tanto che il padre di Berkan Elvan si é subito dissociato dai sequestratori, twittando di non volere che una goccia di sangue sia versata in nome di suo figlio e che tutto cio’ che desidera é un processo giusto, l’opinione pubblica é stata da sempre desiderosa di vedere giustizia sul caso Berkin.

Il sistema giudiziario turco sembra viaggiare infatti a due velocità : una é riservata ai manifestanti, ai giornalisti, agli artisti e più in generale a chiunque sia così incosciente da esprimere un malcontento o una critica contro chi é al potere (é giusto di settimana scorsa la condanna pecuniaria contro due vignettisti del popolare giornale satirico Penguen per aver disegnato Erdoğan formare un cerchio con le dita, una gestualità diffusa in Turchia che richiama un insulto verso gli omosessuali).

L’altra é quella al rallentore dedicata ai poliziotti e a tutte le questioni dove lo Stato é implicato. Il caso del giovane Berkin é esemplare di questa situazione tanto che l’apertura di un processo sembra ancora lontana e le indagini sono arenate alle deposizioni di quattro polizziotti interpellati sui fatti, che hanno negato qualsiasi coinvolgimento. Molto di piu non é stato ancora fatto.

Per chi si domanda che cosa resta dell’esperienza di Gezi, sembra chiaro che si tratta di una questione in sospeso e la morte senza nessun colpevole di Berkin Elvan lo ricorda. Ma la deriva di oggi, con i sequestro al tribunale di Istanbul, non rappresenta né lo spirito né la volontà di chi scese in piazza nella primavera 2013 in maniera solidale e non violenta.

Sembra essere piuttosto la risposta estrema di un gruppo isolato, ma attraverso la quale si mette luce su una frustrazione e senso di non giustizia che non é propria solo degli estremisti, ma anche di una buona fetta della popolazione turca.

Intanto oggi, 40 province della Turchia, tra cui Istanbul e Ankara, sono rimaste senza corrente elettrica da questa mattina in quello che é il piu grande blackout nazionale degli utlimi 15 anni. Mente questa lunga giornata va verso la fine, ci si prepara ad una notte particolarmente buia a meno che non torni, improvvisamente, un po’ di luce.



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