Ecco perché sono contrario all’assistenza sessuale per disabili
In articoli precedenti in cui ho trattato il tema sesso, affettività e disabilità, ho cercato di rimarcare due modi errati di pensare di cui una fetta di societa è affetta: 1) i disabili sono assessuati; 2) è piu natutarale che i disabili si fidanzino solo tra loro. Di questo, purtroppo, sono convinte anche alcune persone con handicap.
In questo articolo tratterò un altro pericolo che si insinua in merito alla disabilità, anche sul tema sesso e disabilità. Lo farò partendo dal libro di Giorgia Wurth, L’accarezzatrice, libro che mi darà modo di spiegare anche la mia diffidenza e contrarietà all’assistente sessuale, nonostante diversi disabili per la loro gravità fisica ne abbiano bisogno.
Vorrei trattare, soprattutto con voi, una questione che nessuno scrittore, organizzatore di convegni, sceneggiatore, si è mai posto sul tema sesso e disabilità. Tutte queste figure della societa che ho citato, in buona fede ,sono solo occupati di sensibilizzare, informare, più o meno bene, una buona fetta di persone senza handicap perché, ancora troppo, su questo tema, vige una profonda ignoranza.
Non viene mai affrontato però il tema che vede spesso i disabili doversi mettere a nudo, essere dei libri aperti, anche su aspetti molto intimi della loro vita. Raccontare la loro vita sessuale e affettiva, spesso nei minimi particolari a degli estranei come ad esempio un’assistente sessuale. Ecco un altro motivo per cui penso che essere disabili sia solo una iattura, una disgrazia.
Nessuno sottolinea mai la fatica, la sfortuna di doversi continuamente raccontare, anche in merito al proprio modo di sentire, fare sesso o vivere l’affettività a figure estranee per il bisogno di essere aiutati. Niente per cui vergognarsi, ovviamente.
E’ solo che la disabilità infame ci toglie la privacy, l’indipendenza, la vita intima.
E’ quello che succede ai due protagonisti del libro della Wurth. Rosaria e Salvatore, siciliani, marito e moglie che vivono a Bellinzona, affetti da sclerosi multipla, cercano e assumono una assistente sessuale per cominciare a raccontarle la rava e la fava della loro vita sessuale, i problemi connessi ad essa, problemi, ovviamente, causati dalla malattia, del loro amore e di dove si sono conosciuti. Nel giro di pochi minuti, la loro vita è messa lì, davanti ad una estranea. La signora Rosaria racconta che vuole l’assistente sessuale per dare quel piacere fisico al marito che lei, causa sclerosi, non può dare. Ecco allora che in un nano secondo questi due hanno perso totalmente la dimensione del privato che tutti abbiamo e difendiamo.
Questo è l’ulteriore dramma dell’essere disabili. Con questo non voglio dire che l’assistente sessuale sia una cosa negativa, sebbene io sia contrario. So che per diverse persone è utile, come nel caso della signora Rosaria e del signor Salvatore, come in altri casi. Sto dicendo che la disabilità, la malattia (la malattia è il caso che il romanzo tratta e, ovviamente, saranno diversi i casi di disabilità provocata dalla malattia) ti costringe a raccontare tutto di te. E quando racconti ad amici, ancora ancora, ma quando lo devi fare anche con estranei, è veramente iella.
La Wurth, come anche molti che scrivono di disabilità, cade in irrefrenabile voglia di retorica, dà all’assistente sessuale il nome Gioia, volendo già rimandare che sarà l’assistente sessuale di un disabile. E racconta che la donna, 30enne, è un’infermiera che ha perso il lavoro, giustamente preoccupata per il padre malato, il fidanzato l’ha lasciata, che per tanto tempo ha tribolato perché segnali di un lavoro nuovo nessuno, finché sulla strada nnn arrivano Rosaria e Salvatore. E da qui la Wurth parte con la sua retorica “Gioia farà un’esperienza straordinaria” laddove straordinaria è usato per indicare due malati di sclerosi a cui fara l’assistente sessuale e “imparerà ciò che nella vita conta davvero”, insomma la solita tiritera del disabili che diventano maestri di vita per tante persone senza handicap.
Osservazione che rispetto, ma che trovo anche quando qualcuno lo ha detto a me. “Tu in quanto disabile mi dai molto, mi sei di esempio, mi arrichisci”. Io credo che di esempi ci siano anche tante persone senza handicap. Menomale che ad un certo punto la retorica lascia spazio ad un sentimento piu logico della retorica. Gioia prova senso di inadeguatezza davanti alla condizione grave del signor Salvatore. Ma poi la retorica torna, immancabilmente.
E questa retorica la trasferisce anche sulla signora Rosaria che dice: “ho accettato la mia malattia e la ringrazio perché mi ha fatto conoscere la persona che amo, Salvatore”. L’ha conosciuto in ospedale mentre cercavamo di curarci la sclerosi multipla. Voi pensate che culo. Invece di conoscersi in discoteca, si conoscono in ospedale!
Il mio, voglio subito chiarire, non è voler mancare di rispetto , ma rompere la troppa retorica intorno alla disabilità. Io credo che si possa conoscere la persona che si amerà anche da sani e non in un ospedale. Eppure, inspiegabilmente, ci sono anche nella vita reale della persone che ringraziano la disabilità. Mamme che si sentono più mature grazie al figlio disabile o disabili stessi che dicono “la mia disabilità mi ha fatto capire tante cose”. Pur nel rispetto di questa opinione, per me è pura follia.
Io convivo bene con la mia disabilità proprio perché le sputo in faccia ogni giorno, perché mi derido, la derido, perché sono ironico ed autoironico su di essa e sui suoi buffi effetti e conseguenze.
Io non ringrazierò mai la mia disabilità.
E tanto è che anche la signora Rosaria alla fine ha una reazione molto più normale. Chiama la sclerosi multipla infame malattia. Capisce che essa ha condizionato drammaticamente il suo quotidiano, la sua vita sessuale e affettiva e di Salvatore, suo marito, a tal punto da doversi prendere un’assistente sessuale, raccontarle tutto e che la sostituisca nel dare piacere fisico al marito. Quindi capisce anche che da ringraziare la sclerosi non c’è un tubo.
Il tema dell’assistente sessuale divide e spacca molto, disabili e non disabili. Io sono contrario ma anche contento per chi la vuole e per chi ne ha bisogno, perché riesce a soddisfare il piacere fisico. Sono contrario perché il disabile è gia circondato da figure professionali, assistente sociale, fisioterapista, medico, l’operatore del centro diurno, anche l’assistente sessuale. Il disabile rischia di essere sempre più ghettizzato e perdere sempre più la sua sfera intima dovendo dire tutte le sue esigenze. Rappresenta la vittoria della disabilita sui bisogni piu naturali, ma intimi.
Ci sono articoli che sottolineano come qualche prostituta rifiuti clienti disabili particolarmente gravi fisicamente perché si sentono impreparate. Altre, per fortuna, si impegnano a dare il meglio e cercare di capire come fare senza fare troppe domande. Fatemi dire un’ultima cosa. Ringrazio Dio di potere fare a meno dell’assistente sessuale, riesco a trovare altri modi. E poi preferirei la prostituta all’assistente sessuale. La prostitta è per tutti, l’altra è specifica per noi, il “ghetto sesso”.
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