«Volevamo partire dal Corno d’Africa, dall’umiliazione di quel colonialismo crudele e straccione, perché di fatto era in quel passato che si annidava la xenofobia del presente. Si doveva disinnescare il meccanismo della violenza, del razzismo, per poter sognare davvero di essere felici». […] «Per questo io e Rino Bianchi abbiamo mappato la città, l’abbiamo guardata come si guarda qualcosa di nuovo e di inaspettato».
E lo hanno fatto. Igiaba Scego, scrittrice e attivista, e il fotografo Rino Bianchi. Hanno camminato, attraversato, guardato, fotografato angoli della capitale che ne raccontano un rimosso collettivo: quello dell’Impero pezzente di Mussolini e del fascismo (ma che aveva i suoi prodromi nell’Italia postunitaria), pietre sporche del sangue di etiopi, eritrei, somali e libici. Dimenticati.
Il libro Roma negata, Ediesse editore, è un tributo e un monito. Da un lato racconta, attraverso tre protagonisti di pietra, gli anni dell’Impero, dall’altro denuncia come non abbiamo fatto i conti con il nostro passato.
L’obelisco di Axum, la stele di Dogali e il cinema Impero. Quartieri differenti, storie lontane, ma vive nell’identità di tutti coloro che, per forza e per occupazione, alla fine si sono sentiti parti di una storia comune, italiani, in fondo. Ma dimenticati.
Dai nomi delle vie di una zona di Roma, fino a l’obelisco rubato durante la campagna d’Etiopia e restituito con un criminale ritardo solo qualche anno fa. La stele che racconta di un massacro, monito di future vendette ‘civilizzatrici’, che nega il fatto più immediato: gli invasori eravamo noi, i patrioti gli altri. E infine un vecchio cinema, uguale a uno di Asmara, a raccontarci un vissuto condiviso, seppur nel sangue e nel dolore. Ma che diventa nuova e rinnovata violenza nella rimozione del nostro passato coloniale.
Quello in cui, è bene ricordarlo, il fascismo aveva stretto attorno a sé il massimo consenso. E che ancora oggi, con gli stereotipi da operetta, continua a nutrire un razzismo volgare. I conti non tornano quando si rimuove.
Questo libro ci indica una strada della storia, una geopoetica dei monumenti, che deve ispirare il confronto e non la rimozione. Perché una pietra, se non tiene vivo un ricordo, non vale nulla.
Un Paese intero, che non studia a scuola la sua Storia, ha semplicemente dimenticato gli anni del colonialismo, i crimini di guerra e contro l’umanità.
Tre luoghi, tre simboli, un itinerario nella storia d’Italia e del Corno d’Africa. Manca la Libia, ma come spiegano gli autori solo per questione di attualità. I volti dei ritratti di Rino Bianchi, davanti a quei simboli, facendo posare gli eredi di quella storia, sembrano scattati allo specchio: sono un altro noi, un nuovo noi.
Dovrebbero ricordarcelo i profughi, in fuga dalle guerre e dagli sconvolgimenti che ci riguardano da vicino: somali, etiopi, eritrei. Ma non solo non li guardiamo come parte della nostro comune patrimonio storico – identitario, finiamo anche per lasciarli annegare in mare. Commuovendoci un po’, quando sono troppi, come il 3 ottobre 2013. Passando subito oltre, però, fino a permettere che si eriga un monumento al criminale di guerra Rodolfo Graziani.
Prima o poi i conti con la storia li faremo, grazie agli italiani come Igiaba, che porta nelle sue mani la storia che abbiamo condiviso. E che ci divide ancora, perché un popolo che non affronta il suo passato è destinato a ripetere i suoi errori. Fare i conti con quel che è stato, non è solo dovuto verso chi lo ha pagato, ma è anche necessario per gli italiani, per diventare grandi.
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