Si tratta del conflitto più duro in Europa tra la cultura del bene comune e quella delle privatizzazioni. Più precisamente la cultura che definisce gli istituti pubblici di informazione e comunicazione fondamentali per la democrazia sociale, civile, politica e per la libera convivenza, cultura oggi incarnata dagli scioperanti, e la cultura che vorrebbe ridurre l’informazione e comunicazione a merce. Una merce che, come tutte le altre, deve essere prodotta da aziende organizzate e guidate secondo il criterio del profitto e non del bene pubblico, tantomeno della pubblica utilità.
La questione è sempre la stessa. Il servizio radiofonico pubblico costa oggi circa 660 milioni di euro, incassandone negli ultimi anni 610, per la riduzione drastica di alcune voci d’incasso, per esempio la pubblicità nonostante il numero degli ascoltatori non sia diminuito, anzi.
Così, essendosi esaurite le riserve, il bilancio del 2015 dovrebbe chiudersi per la prima volta con una perdita di 21.3 milioni. Subito è intervenuta la Corte dei Conti, quasi intimando di “risanare” la situazione per riportare i conti in pareggio, tanto più che in nome dell’austerità e dei vincoli europei il governo non può o non vuole per ora intervenire con un contributo che sani il debito.
Manco a dirlo immediatamente il PDG (Presidente Direttore Generale – non c’è l’Amministratore Delegato) Mathieu Gallet ha proposto un piano di dismissioni e licenziamenti che dovrebbe riguardare trai 300 e i 380 lavoratori. Altrettanto immediatamente i lavoratori sono scesi in sciopero.
Uno sciopero che viene ogni mattina ricondotto al giorno dopo dall’assemblea generale, con l’appoggio di tutti i sindacati. Uno sciopero a scacchiera, ovvero in media sciopera tra il 7 e 10% dei lavoratori a rotazione bloccando i gangli vitali, talchè nessuna trasmissione arriva a essere mandata in onda. Uno sciopero dove i lavoratori hanno messo quindi in campo tutta la loro intelligenza del processo produttivo e dell’organizzazione del lavoro, la loro maitrise della complessità di un sistema di informazione e comunicazione, per ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, mandando letteralmente nel pallone il PDG e i suoi più stretti collaboratori.
Da noi, dove non a caso i media o tacciono o al massimo accennano, qualcuno lo chiamerebbe sciopero “selvaggio”, che invece selvaggio non è, bensì altamente qualificato nel campo ICT, Information Communication Technology. Se non sbaglio si tratta del primo sciopero che vede compatti e insieme e in così gran numero i lavoratori cognitivi a diversi livelli, dai tecnici del suono ai direttori di rete, dai giovani giornalisti precari agli inviati speciali, dai coristi e musicisti delle due orchestre ai periti informatici. Intanto nella società si manifesta la solidarietà dei cittadini con la costituzione di una cassa di solidarietà per gli scioperanti, che al 23 marzo, cioè pochi giorni dopo l’inizio della lotta, superava già i 50000 (cinquantamila) euro, una raccolta di firme e quel che più forse conta, la circolazione sul web delle assemblee generali dei lavoratori, con picchi altissimi di visione e ascolto.
Per dire il clima, proprio oggi uno dei delegati degli scioperanti ha detto: la gréve ne fait que commencer, lo sciopero è appena iniziato. Tornando alla ristruttrazione sub specie d’austerità proposta baldanzosamente da Mathieu Gallet, e così duramente rispedita al mittente dai lavoratori, questa sconta anche l’antipatica scelta del PDG di rifare il suo ufficio, il restyling come dicono quelli che se ne intendono, spendendo, proprio mentre faceva i conti in tasca ai lavoratori, oltre 100.000 (centomila) euro. Sul piano di quel che Gallet vorrebbe chiudere, o fortemente ridimensionare, stanno France Culture e France Musique, nonchè le due orchestre, attività radiofoniche troppo poco redditizie e, per così dire, troppo “estetiche”, da estirpare quindi perchè nella competizione per il profitto non c’è tempo e spazio oggi per la bellezza, l’austerità ha da essere anche brutta.
A livello sindacale difficile dire come andrà a finire. Altra strada non sembra esserci, se non un contributo straordinario dello Stato, oppure un lungo conflitto che potrebbe allargarsi a altre categorie di lavoratori. Politicamente invece questo sciopero è fin d’ora devastante per i piani d’austerità di Hollande e Valls, tra l’altro apparendo assai indecisi per cui la ministra della cultura Fleur Pellerin per ora preferisce non intervenire, neppure come mediatore, temendo probabilmente di bruciarsi.
Tra l’altro siamo di fronte a un processo europeo.
Quel che sembrava dovuto alla particolare condizione tragica della Grecia, cioè la chiusura da un giorno all’altro del servizio pubblico d’informazione e comunicazione pubblico, sta diventando, seppure in modo meno drammatico e violento, una tendenza. In Gran Bretagna la mitica BBC si trova con un forte deficit e a rischio di forti riduzioni, lo stesso dicasi per Portogallo e Spagna, mentre i governi e gli stati invocano l’austerità per non contribuire alla vita del servizio pubblico d’informazione e comunicazione. Staremo a vedere, intanto però proprio oggi – 9 aprile – è cominciato in Francia lo sciopero a oltranza dei controllori di volo, un’altra categoria di lavoratori a alta intensità tecnologica e qualificazione professionale. Se una rondine non fa primavera, magari due..
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