Cercando protezione

Appunti per un documentario sullo Sprar di Barcellona
gestito dalla cooperativa I girasoli

Cosa è uno Sprar? Scrive Stefano Liberti su Internazionale: «…è così che si presenta oggi l’accoglienza made in Italia. Una cipolla a più strati: i Cas, parcheggi in cui il migrante vive in una dimensione d’indeterminatezza e di servizi scarsi o inesistenti. I Cara, luoghi in cui i richiedenti asilo dovrebbero stare fino a 35 giorni in attesa che la loro pratica sia esaminata dalla commissione territoriale competente e dove invece rimangono in media tra i 9 e i 12 mesi.

E i centri dello Sprar, che sono considerati il fiore all’occhiello di un sistema altrimenti del tutto deficitario».

A costituire un affare, spiega Liberti, sono i Cas e i Cara, mentre gli Sprar, che teoricamente dovrebbero offrire servizi più adeguati, costruire percorsi di integrazione nel territorio di accoglienza, vengono scarsamente finanziati.

Le storie che i richiedenti asilo raccontano allo Sprar di Barcellona sono difficilmente verificabili, oppure lo sono solo in parte. Sono però tutte drammaticamente verosimili: vite sbalestrate dall’altra parte del mare dalle guerre, dall’odio religioso, dalla miseria, dalla ferocia di un dittatore o dei terroristi e approdate per caso in questo angolo della Sicilia.

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La cooperativa che gestisce lo Sprar di Barcellona ospita uomini e donne, presto forse anche dei minori, tutti provenienti da parti del mondo dove la fuga verso il Mediterraneo è l’estremo azzardo: Somalia, Mali, Eritrea, Tunisia, Pakistan, Nigeria. Anche presso lo Sprar di Barcellona il tempo dell’attesa è – per gli ospiti e per chiunque – incomprensibilmente lungo.

Un lungo tempo sospeso quello che Tanat vive nelle palazzine di questo grosso centro del messinese, un ponte non si capisce quanto lungo fra la sua fuga dalla Somalia e un futuro vago, con poche certezze e molte speranze.

Fra la le prime c’è quella di lasciare Barcellona quando la sua domanda verrà accolta. Vorrebbe andare a vivere a Milano, in una grande città del nord. Fra le speranze quella di riprendere in Italia la sua professione di giornalista a causa della quale nel suo paese racconta di essere stato imprigionato e torturato.

Tanat ha fatto un po’ da mediatore linguistico con il suo italiano pensato e cercato, collaborando alle riprese, alle interviste in inglese, raccontando la sua storia. È amico un po’ di tutti, ma fuori si sente osservato. Si sente respinto. Sono razzisti, dice.

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Il paese guarda con diffidenza gli ospiti dello Sprar, non distingue, non sa che sono richiedenti asilo e neppure chi siano i richiedenti asilo, mentre la generica solidarietà verso chi sta peggio non abita qui a Barcellona più che a Vigevano. Proprio sul rapporto con il contesto sociale e culturale esterno il personale dello Sprar concentra il suo lavoro. L’autorizzazione alle riprese, che si sono integrate facilmente nella quotidianità del centro, esprime la voglia di apertura, di proiezione esterna anche attraverso l’informazione, degli operatori della cooperativa.

Le difficoltà sono quelle di un territorio che stenta ad elaborare una cultura dell’accoglienza anche a fronte delle emergenze attuali: indifferenza, egoismo, diffidenza alimentati dalla crisi.

«Ho accompagnato un ragazzo del Mali ad una visita specialistica», racconta Antonella, insegnante e operatrice a tutto campo. «In attesa del nostro turno abbiamo dovuto ascoltare i soliti commenti: questi qui vengono da noi, gli pagano pure le visite, gli danno i nostri soldi. Ad alta voce, davanti quel ragazzo. È stato molto spiacevole».

Non si direbbe andando in giro. La gente si muove senza fretta nella discreta agitazione della vigilia natalizia. A pochi chilometri c’è Milazzo, con le sue raffinerie, il suo decoro urbano, il magnifico castello, i resti della sua stagione liberty, le sopportabili offese degli anni ’60, le Eolie disegnate sul mare. Milazzo con le sue minacciose raffinerie è ricca, perfino elegante, Barcellona sembra una sua ingombrante e impacciata periferia.

Tanat e i suoi casuali compagni di avventura galleggiano su questo presente dilatato, in un paese di cui molti non conoscono la lingua, fra gente che non sorride, cercando di decifrare questa periferia della grande Europa toccata loro in sorte. Aspettano mesi, e non sempre la richiesta viene accolta. Qualcuno sparisce prima.

 

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