Un uomo mite, un uomo impegnato, un uomo che non si è mai arreso, un uomo che ha ridato significato all’utopia. Eduardo Galeano ha plasmato la narrazione dei vinti di tutte le latitudini. Uomini, donne, schiavi, contadini, rivoluzionari vincenti e perdenti. Con le Vene Aperte del 1971 si scrisse per la prima volta la storia di sopraffazione e violenze del colonialismo in America, con la trilogia delle Memorie del Fuoco, le lotte anonime e i sogni delle persone spintonate dalla storia divennero epica.
Eduardo, uruguayano oriundo ligure e svizzero, confermò il ruolo della letteratura, se di qualità, come strumento in mano ai popoli.
Quei popoli che difese con il suo impegno decennale, lui che era scappato al massacro delle dittature uruguayana e argentina per regalarci poesie scritte durante quei “giorni e notti di amore e di guerra”. Malgrado Eduardo, i suoi libri divennero best seller ed entrarono nella biblioteca di Bill Clinton e Obama. Letteratura, racconto, storia romanzata, poesia un tutt’uno che non basta per raccontare la sua figura. Voglio ricordarlo una sera di primavera a Santiago del Cile, appena dopo la sconfitta di Pinochet nel referendum per perpetuarsi. Uno stadio chiuso che vibrava con le sue parole, perché Eduardo parlava di speranza, di quella dimensione umana che guai se ci abbandona. Nell’universo di Galeano i popoli sono lotta, pensiero, azione, cultura e, se non perdono la speranza, marciatori sulla strada che porta all’utopia.
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