Un libro di ritagli fatto ristampare a furor di popolo perché introvabile. Tutta colpa di quella che veniva chiamata “La ditta” composta da Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Tutta colpa dalle lezioni della loro scuola sparse negli scritti tra archivi, postfazioni, prefazioni e dimenticati angoli della posta.
Tanti indizi che F&L hanno sparso nella loro carriera che Domenico Scarpa, consulente letterario-editoriale del Centro studi Primo Levi di Torino, ha raccolto ritagliando le pagine dei giornali o delle riviste dove scrivevano e poi ne ha fatto un manuale non solo per chi vuole scrivere, ma forse è ancora più utile a chi vuole leggere e smascherare ciò che legge. Parodia, dialogo, traduzione, fantascienza, Ghost Story, scoop, fumetti: tante forme letterarie trattate e talvolta smascherate attraverso l’ironia appuntita di due maestri che dal 1964 fino al 1985 avevano curato la collana di fantascienza Urania per Mondadori di cui in particolare Fruttero scrisse: “tutta la fantascienza, ha avuto la funzione (si potrebbe dire il merito?) di far pervenire ai suoi lettori un rintocco in assonanza con quello celebre del poeta John Donne, «per chi suona la campana». Nessuno è al sicuro, nessuno si salva, la nostra civiltà è fragilissima e può crollare in ogni momento, anche nel modo brutale, figurativamente rozzo, di un aereo dirottato che centra un grattacielo, di una mano guantata che infila una busta velenosa in una cassetta postale”.
I ferri del mestiere, pubblicato nel 2003 e ristampato nel 2007 era praticamente scomparso. Poi nel 2013 è diventato “una ristampa 2.0” dopo le richieste fatte su twitter e successivamente è diventato un blog ideato da Alessandro Bonino, Marco Manicardi e Diego Viarengo http://prosadomenica.altervista.org/i-ferri-del-mestiere-la-ristampa/ e una serie di reading. Quella che segue è una “lezione” di scrittura fatta all’indomani dell’alluvione di Firenze.
Siamo a Milano, il 10 dicembre del 1966. A Firenze, il 4 novembre, la piena dell’Arno ha provocato la nota alluvione. Fruttero e Lucentini, che per Arnoldo Mondadori Editore curano la collana “Presadiretta”, hanno ricevuto un dattiloscritto da valutare per la pubblicazione, quella che segue è la loro risposta.
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Caro Sereni,
abbiamo ricevuto ieri da Franchi il dattiloscritto di Gerosa sull’inondazione di Firenze; ma intanto – ci informa Franchi – una copia di esso è già a Verona, in composizione per “Presadiretta”, e tutto è disposto, per l’uscita del volume. A noi, in pratica, si chiede soltanto un consenso in extremis.
Ora, se a questo punto dicessimo che il libro non ci piace e che non lo vogliamo, verremmo a trovarci nell’odiosa posizione del prefetto che fa spietatamente demolire la casa, più o meno popolare, abusivamente costruita. D’altra parte, siamo i primi a comprendere il punto di vista dell’editore, che si può riassumere cinicamente così: «per una volta che ho sottomano una catastrofe di risonanza mondiale, un mio giornalista che ci scrive sopra un libro, e una collana di alta cronaca dove infilarlo di corsa, precedendo probabilmente tutti gli altri editori, sarebbe follia non approfittarne». Il piacere (divino) di “organizzare” delle coincidenze, è così raro che non ci sentiamo di fare i guastafeste: ed è perciò su questo piano, quello dello scambio di cortesia, che non diremo di no al libro di Gerosa. […]
Ma sul piano professionale, dobbiamo dire che il volume sarà uno dei più incongrui della collana, in primo luogo perché trabocca letteralmente della più melensa retorica, a tutto svantaggio – come sempre in questi casi – della fattualità, dell’esattezza, nonché della lingua italiana. A ogni riga galleggia qualche cliché nauseabondo: «la nostra splendida gioventù», «un manipolo di eroi della civiltà», «la speranza sbocciata dal fango», «ironia della sorte», «crudeltà del destino», «questi magnifici ragazzi», ecc.; è una vera alluvione di tutto l’immenso ciarpame del “journalese” neonazionale, non senza imbarazzanti echi di genuina semantica littoria. I dialoghi che dovrebbero perlomeno tentare di riprodurre la presumibile drammaticità di quei momenti sono un capolavoro di inverosimiglianza. Le autorità sono tutte infaticabili, ardimentose, energiche, e granitiche nello spirito di sacrificio e di dedizione, come ai bei tempi: dal sindaco Bargellini («Firenze si stringe intorno al suo sindaco, vivente personificazione del suo spirito indomito») alla duchessa d’Aosta (che «ha indossato una uniforme da crocerossina ed è andata giù in Lungarno Soderini»; ma a quando la partenza per il fronte dell’Epiro?), da Saragat al generale, dal prefetto al ministro, tutti ci fanno la più splendida e leccata figura.
Ciò che questa retorica copre è, come al solito, una larga approssimatività dell’informazione anche semplicemente turistica; il «corridoio vasariano», per esempio, non è (p.37) «il collegamento tra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti» ma tra gli Uffizi e Pitti, e in luogo della vaga espressione «a cavallo dell’Arno», era elementare precisare che passa sulle botteghe del Ponte Vecchio; e del crocifisso di Cimabue a Santas Croce, il Vasari non ha evidentemente mai (p.42) «scritto che segna l’atto di nascita della pittura occidentale (era chiaro a priori e abbiamo fatto presto a verificarlo); non ha senso presentare il Professor Cesare Gnudi – il misterioso «uomo in gambali» che a p. 95 qualcuno riconosce «lanciando un grido di speranza» – come «un grande esperto del restauro di Bologna», quando Gnudi a Bologna, è innanzitutto il notissimo sovrintendente alle gallerie .
Sappiamo bene che Gerosa aveva fretta, e che in ogni caso questo è il livello normale, ahimé, del giornalismo italiano; ma “Presadiretta” era nata, fra l’altro, anche per suggerire un certo stile di scrittura cronachistica, per avviare il gusto a un certo modo di raccontare i fatti veri.
Allora? Allora pazienza. Il guscio, almeno quello, indubbiamente c’è, ed è allettante. Un libro tempestivo, di un italiano, su una grossa “storia” italiana. Chiudiamo gli occhi, e facciamolo senza rimuginare troppo su quel che c’è dentro. Del resto, non lo toccheremo. sono quelle tipiche cose che, o si fanno come sono, o non si fanno per niente. Vediamo piuttosto di abbondare con le fotografie e speriamo nel dio dell’attualità. Ma non potremo permetterne più di uno, di questi strappi.
D’autorità sopprimiamo la dedica: «Ai magnifici ragazzi che hanno salvato Firenze»; c’è un limite a tutto.
Il titolo che abbiamo trovato, e che metteremo anche in occhiello, come epigrafe, spiegandone la derivazione, è un proverbio toscano:
L’ARNO NON GONFIA D’ACQUA CHIARA
col sottotitolo:
Cronaca dell’inondazione di Firenze
Stiamo d’altra parte preparando una breve nota d’introduzione che servirà da pezza giustificativa per tutti, mettendo in luce il carattere di exploit, di immediatezza, di “primo bilancio in volume” ecc.
Ma quando impareranno gli italiani, ti chiediamo dal deserto, a scrivere senza grondare melassa? Quando usciremo dall’età dell’aggettivo per entrare in quella del sostantivo?
Affettuosamente, due nuove vittime dell’alluvione
(Fruttero-Lucentini)
P.S. del 12-12:
Senti, malgrado le nostre intenzioni di non intervento, una certa ripassata abbiamo finito per dargliela. Certi errori li abbiamo corretti, le banalità o ridicolaggini più macroscopiche le abbiamo eliminate o sfumate. E poi, se pensiamo che il “Corriere della Sera”, per esempio, ha costantemente confuso – in prima pagina – Palazzo Vecchio con Palazzo Pitti («Quel gioiello che è Palazzo Pitti sotto sei metri d’acqua» annunciava un inviato) e che il raccapricciante cliché del “figlio dell’avvocato che spala manoscritti accanto a quello del ferroviere” ha fatto il giro di tutti i quotidiani italiani, il povero Gerosa è ancora al di sotto del livello di guardia.
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Il volume L’Arno non gonfia d’acqua chiara, di Guido Gerosa uscì in effetti con gran tempestività per Arnoldo Mondadori nel 1967, ma non nella collana “Presadiretta” curata da Fruttero e Lucentini, bensì in “Varie”.
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