Il bello della democrazia è che, magari dopo dodici anni, un documento d’intelligence viene declassificato e reso pubblico. Arriva alla stampa e l’opinione pubblica lo può leggere e formarsi un’opinione. Il brutto della democrazia è che, anche di fronte alla deliberata menzogna, nessuno pagherà.
Perché questo è stato. Nel 2003, senza se e senza ma, l’amministrazione Usa, nelle figure del Presidente George W. Bush , del Vice Presidente Dick Cheney, del Segretario della Difesa Donald Rumsfeld, del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleeza Rice e del Segretario di Stato Colin Powell ha mentito consapevolmente ai cittadini statunitensi e all’opinione pubblica mondiale.
Ad oggi, questo, poteva essere considerato in vari modi: una congettura, un parere, un’affermazione sempre più – man mano che passavano gli anni – supportata da prove e fatti. Oggi, dopo che è stato reso pubblico il Nie (National Intelligence Estimate), un documento di 93 pagine che nel periodo precedente l’attacco all’Iraq iniziato il 20 marzo 2003 doveva informare il governo di Washington sulla situazione, è ufficialmente una certezza.
Hanno mentito, e mentre lo facevano sapevano di farlo. Perché tutto il teorema che stava alla base dell’invasione dell’Iraq, seconda parte (senza soluzione di continuità) dell’attacco all’Afghanistan del 2001 post attacchi terroristici dell’11 settembre, si basava su tre pilastri:
1 – il regime di Saddam Hussein era in possesso di WMD (Weapons of Mass Destruction), armi di distruzione di massa, intese come armamenti d’attacco nucleari, biologici e chimiche. Bisognava disarmarlo e distruggere questi arsenali.
2 – il regime di Saddam Hussein, sponsor del terrorismo, aveva chiari rapporti con al-Qaeda che sosteneva e alla quale offriva un retrovia sicuro. Bisognava per questo rovesciare il regime di Baghdad.
3 – il rovesciamento del regime iracheno era una necessità militare, per rompere il legame con al-Qaeda e renderne inoffensiva la minaccia militare, e una necessità etico-morale, per liberare il popolo iracheno dal giogo di un dittatore sanguinario.
L’INFORMATIVA
Iraq October 2002 NIE on WMDs (unedacted version)
Nessuno di questi obiettivi, a eccezione del terzo, ben noto agli Usa e agli altri paesi che hanno aderito alla coalizione internazionale che ha attaccato l’Iraq nel 2003 dai tempi in cui Saddam Hussein era un alleato, si basava su informazioni di intelligence verificate. Anzi, il Nie dimostra esattamente il contrario.
Rispetto al punto 1, quelle delle armi, il rapporto che l’amministrazione Bush aveva in mano da tempo recita chiaramente: “Non ci sono le prove che il regime di Baghdad abbia la capacità di produrre o che possegga armi non convenzionali”. Un errore di valutazione? No, un reale depistaggio. Perché nonostante quello che recitava l’informativa, la Rice dichiara che una partita di tubi di alluminio intercettata in viaggio verso l’Iraq era – a suo dire – la prova inconfutabile che “l’Iraq si attrezzava per arricchire l’uranio, operazione necessaria alla produzione di armi atomiche”.
Lo stesso Bush, a conoscenza dei risultati dell’intelligence, mentiva ai suoi cittadini il 7 novembre 2002, a Cincinnati, Ohio, dichiarando pubblicamente: “L’Iraq possiede e produce armi chimiche e biologiche e abbiamo le prove che lo dimostrano. Come abbiamo la certezza che Saddam sta lavorando per costituire un arsenale nucleare”. Colin Powell, pur a conoscenza dei risultati dell’informativa, si presentava davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il 5 febbraio 2003, agitando una fialetta e mentendo consapevolmente al mondo rispetto alle armi chimiche del regime iracheno.
Rispetto al punto 2, quello dei rapporti con al-Qaeda, il documento non lascia spazio a dubbi: “No operational tie between Saddam and al-Qaeda”, ma non solo, dice anche che la confessione estorta sotto tortura a Ibn al-Shaykh al-Libi, estremista che gestiva il campo di addestramento a Khalden in Afghanistan, passato per Baghdad e finito nelle mani della Cia, non aveva alcun valore.
Perché, “torturato pesantemente al-Libi ha solo detto quello che volevamo sentirci dire” e “Saddam non ha la stessa agenda di al-Qaeda, anzi, è sospettoso verso gli islamisti”. Anzi, racconta l’informativa, al-Libi ha dovuto lasciare l’Afghanistian proprio perché ha rifiutato di mettersi agli ordini di al-Qaeda.
Per la cronaca, al-Libi è morto suicida nel 2009 nelle carceri di Gheddafi, cui era stato consegnato dagli Usa, che in quel periodo non ritenevano il Colonnello un terrorista, ma un partner della guerra al terrore.
Queste informazioni, non hanno impedito a Donald Rumsfeld, settembre 2002, di dichiarare: “Abbiamo le prove dei legami tra Saddam e al-Qaeda”.
Secondo Paul Piller, all’epoca uomo Cia, non più di un pugno di deputati e senatori Usa si è preso la briga di leggere l’informativa, o comunque di andare oltre l’introduzione. Preferendo ascoltare personaggi come Ahmed Chalabi, rifugiato in Usa da anni e senza alcun contatto reale in Iraq, che a pagamento veniva offerto ai media come ‘leader’ dell’opposizione. Il rapporto, con chiarezza, definisce Chalabi “inattenbilie”.
Questo è stato e oggi non ci si può più illudere che si possa essere trattato di un errore di valutazione. Il limite, però, resta che nessuno risponderà di queste decisioni che hanno causato la morte di oltre 200mila civili in Iraq e di almeno 4000 militari Usa, un costo di oltre 800 miliardi di dollari, gli orrori di Guantanamo, Abu Ghraib e delle renditions illegali (vedi al-Libi consegnato alla Libia per torturarlo in appalto).
Elementi che hanno rafforzato oltremisura l’integralismo, che proprio dalla guerra la terrore ha tratto gran parte della sua narrazione di odio e vendetta. Che ha oggi messo la chiave confessionale (usata per dividere e conquistare l’Iraq) al centro delle strumentalizzazioni nel Medio Oriente, che vede l’avanzata di un gruppo come Isis che non trova alcuna resistenza in un Iraq lacerato e corrotto. E nessuno pagherà, per tutto questo.
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