Il dirigente di Polizia, i suoi 160 allievi e il film Diaz

tratto da Vita.it

Gianpaolo Trevisi, direttore della scuola per poliziotti di Peschiera del Garda, scrive un’intensa nota parlando di quella nefasta notte per cui di recente l’Italia è stata condannata per tortura dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E lo fa chiedendo scusa e pubblicando una foto testa a testa con il leader dei movimenti Vittorio Agnoletto proprio nei momenti successivi all’irruzione nell’edificio scolastico genovese

Il poliziotto Gianpaolo Trevisi era là, fuori dalla scuola Diaz, quella cupa notte del 21 luglio del 2001 in cui, durante il G8 di Genova, si consumò la violenza inaudita di tanti uomini in divisa verso manifestanti inermi che si preparavano a dormire nelle aule dopo la già tumultuosa giornata genovese. La foto lo dimostra: a sinistra, con il casco d’ordinanza, fronteggia il leader dei movimenti sociali Vittorio Agnoletto con cui stava discutendo sull’irruzione appena avvenuta all’interno dell’edificio scolastico.

Trevisi, che non faceva parte dei gruppi speciali che entrarono in azione, non aveva trovato risposte sul perché di quello che era successo dentro la scuola. Ma oggi, 14 anni dopo, e soprattutto alla luce della condanna dell’Unione europea per tortura allo Stato italiano proprio a causa dei pestaggi di quella notte, quello che oggi è Primo dirigente di Polizia e direttore della Scuola di Polizia di Peschiera del Garda (con un passato come Vice Questore dell’Ufficio immigrazione di Verona, su cui ha scritto anche un libro di racconti, Fogli di Via, Emi 2014) ha fatto un passo senza precedenti: si è messo davanti a uno schermo con i propri 160 allievi e qualche giorno fa ha visto con loro il film Diaz, che racconta, attraverso le verità processuali, i momenti di una notte che Amnesty international definì “la più grande sospensione dei diritti democratici, in un paese occidentale, dalla fine della seconda guerra mondiale”.

Il giorno successivo alla visione del film, Trevisi ha scritto una nota sul suo profilo facebook che ha fatto il giro del web (proprio come lo sta facendo in queste ore quella di un suo collega, che invece era uno degli 80 agenti protagonisti dell’assalto e che ora, incredibilmente, lo rivendica) e nella quale spicca la parola “scusate”, argomentata in modo profondo.

Dal suo post si è acceso un dibattito molto interessante tra persone che in quei giorni manifestavano, suoi colleghi poliziotti e tanta gente di ogni parte d’Italia, a testimonianza di quanto ancora oggi i fatti di Genova, in particolare la “macelleria messicana” della Diaz, siano ancora oggi una ferita aperta per buona parte del popoli italiano e il suo rapporto con le forze dell’ordine e la politica. Qui di seguito la lettera integrale scritta da Trevisi.

“Diversi anni, capelli e sogni fa, ero davanti alla scuola Diaz, come si vede in foto, a discutere con Agnoletto; ad alcuni sembrerà strano che io non abbia detto nulla in questi giorni, dopo la sentenza della Corte europea, su quella nerissima notte e su tutto quello che è successo e non è successo dopo, ma in questa occasione, ancora più che in altre, ho pensato che era meglio fare, piuttosto che dire. Il giorno dopo la notizia, infatti, dopo aver parlato con loro, per circa un’ora, del mio G8 di Genova, ho fatto vedere ai 160 allievi, molti dei quali nel 2001 avevano 9/10 anni, il film Diaz. Aspetto la prossima settimana per discuterne insieme, perché so bene, avendolo visto più volte, che subito dopo l’ultima scena, i titoli di coda ti stringono il collo, ti lasciano senza fiato e senza parole; rimani in silenzio e immobile sulla poltrona, ben sapendo che, nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell’unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati. Proprio per questo, soprattutto tra di noi, se ne deve parlare e si deve litigare e discutere e domandare e rispondere, se si può. Proprio perché amo la mia Polizia sino al midollo, non voglio dimenticare quella notte e la voglio ricordare a chi la sta scordando e descriverla a chi non la conosce. Sono certo, infatti, che anche per la Polizia, come per noi tutti essere umani, valga il fatto che si possa crescere, migliorare e cambiare proprio riconoscendo i gravi errori e studiando gli insuccessi e i fallimenti. Certo restano sempre aperte le ferite di chi quella notte, dentro un sacco a pelo, stava inseguendo dei sogni, magari anche macchiati di utopia, e si ritrova, ancora oggi, a convivere con un incubo sporco di sangue. Anche davanti a loro resto senza parole, dopo averne pronunciata solo una: scusate. Alle volte, comunque, alcuni silenzi dicono tante di quelle cose da diventare assordanti o da trasformarsi in musica da far sentire a chi non sa ballare…”

 

LEGGI ANCHE:

– Fu tortura, una sentenza per una verità che è già storica

– Uno stato che permette la tortura non può dirsi democratico

 

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1

.