Taiwan ha sete. L’isola che formalmente appartiene alla Cina ma che di fatto è nazione indipendente dal 1949, ha vissuto il peggiore anno arido della sua recente storia e dalla settimana scorsa è partita la cosiddetta terza fase del razionamento dell’acqua.
Le precipitazioni da ottobre a marzo sono state le più scarse dal 1947 e i funzionari locali accusano dell’emergenza il cambiamento climatico, che avrebbe alterato il ritmo delle pioggie nell’ex Formosa.
Taiwan è un’isola tropicale: prima il monsone estivo determinava la stagione delle piogge in maggio e giugno, poi il rischio di tifoni da luglio a settembre e un generale clima umido per tutti i cinque mesi. Oggi, piogge di maggiore intensità si concentrano in un periodo più breve e così alluvioni disastrose si alternano a fasi di siccità.
Il razionamento dell’acqua è stato deciso per alcune province nella parte nord-occidentale dell’isola, dove si trova anche Taipei, la capitale, che però ne è stata risparmiata.
Nella terza fase del razionamento, le forniture di acqua sono sospese per intere aree, a rotazione.
La prima e seconda fase comportavano invece la riduzione della pressione dell’acqua durante la notte e la limitazione dell’approvvigionamento idrico per gli spreconi, cioè i consumatori che abitualmente utilizzano più di 1000 metri cubi d’acqua al mese.
La gente è stata avvisata di raccogliere acqua per l’uso domestico, mentre circa 1400 attività imprenditoriali sono state colpite in maniera diversa dalla scarsità idrica. La produzione non ne sarebbe però al momento danneggiata perché il governo ha preso misure con largo anticipo ed esistono scorte, oppure le imprese hanno avuto tempo per programmare il lavoro.
La Taiwan Semiconductor Manufacturing, la più grande fabbrica al mondo di chip e semiconduttori (rifornisce Apple e Qualcomm, tra le altre), ha dichiarato che se la situazione dovesse peggiorare è disposta a utilizzare fino a 180 camion-cisterna per trasportare risorse idriche dalle zone ancora umide a quelle dove si trovano i suoi stabilimenti. L’impresa usa a oggi 90mila tonnellate d’acqua al giorno ma dichiara che l’87 per cento di questa è riciclata.
Ovviamente è già partita l’offensiva dei sostenitori della privatizzazione dell’acqua, sia sull’isola sia nei media internazionali. I sostenitori dell’immancabile mano invisibile del mercato (o del mercato come migliore allocatore delle risorse) strillano che a Taiwan l’acqua costa troppo poco, circa un quinto della media mondiale, e quindi lo spreco è di fatto incentivato dalle tariffe basse.
Il governo da parte sua cerca nel frattempo di offrire incentivi per il risparmio d’acqua, compresi quelli per l’acquisto di toilette a scarico controllato.
L’anno prossimo ci sono le elezioni sia legislative sia presidenziali ed è escluso che l’esecutivo voglia assumersi la responsabilità di alzare le tariffe sui consumi dell’acqua che molti taiwanesi considerano un diritto naturale. Il Guomintang, ora al potere, è favorevole a un riavvicinamento con Pechino, mentre i democratici sono più filo-indipendenza.
A questo proposito, sempre la settimana scorsa, è stato stipulato un accordo Taiwan-Cina sulla cooperazione meteorologica che – recitano i media – dovrebbe dare alle autorità di Taipei un più facile accesso ai dati meteorologici cinesi. Il che faciliterà le operazioni di cloud seeding (inseminazione delle nuvole), cioè quelle tecnologie che permettono di facilitare le precipitazioni sparando in cielo sostanze che favoriscono la condensazione delle particelle d’acqua, ioduro d’argento e biossido di carbonio congelato (ghiaccio secco) su tutte. A dirlo è il direttore generale dell’Ufficio Meteororologico Centrale di Taiwan, Shin Tzay-Chyn. Tra scienza, fantascienza e leggenda metropolitana, si dice che da anni gli scienziati cinesi siano all’avanguardia in queste tecnologie, utili a rinfrescare l’aria e ad alleviare la siccità estiva.
E così, un riavvicinamento o un allontanamento sullo stretto di Formosa potrebbe dipendere anche da quanta acqua scorre nei rubinetti dei taiwanesi: poco importa se per via naturale o sparando argento nei cieli.
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