di Marco Schiaffino
Mangeremmo un pollo lavato con la varichina? Compreremmo carne di manzo imbottita di antibiotici e ormoni per la crescita? Apriremmo all’uso di OGM in tutti gli alimenti? Sono queste le domande che rimbalzano tra le piazze europee in vista del 18 aprile, la giornata transatlantica contro il TTIP. Il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) è il tema più “caldo” sul tavolo della Commissione Europea. Nelle intenzioni di USA e UE, il trattato dovrebbe dare una spinta all’economia. Per il momento ha già ottenuto un grande risultato: dare il via a una mobilitazione di opposizione dal basso che ha pochissimi precedenti. In tutta Europa migliaia di associazioni, partiti e singoli cittadini stanno dando vita alla campagna che si vuole opporre al più grande furto di democrazia mai architettato dalle lobbies finanziarie.
L’obiettivo del TTIP
Nonostante i nostri governanti (sia a livello nazionale che europeo) cerchino di far passare il TTIP come un semplice “trattato di libero commercio”, l’accordo bilaterale tra Stati Uniti e Unione Europea ha ben poco a che fare con i dazi doganali. Tra i due continenti, infatti, i dazi sono già ai minimi storici e non rappresentano un significativo “ostacolo al commercio”. Ciò che infastidisce i fan del libero mercato sono invece le regole. Leggi nazionali e regolamenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei consumatori, nell’ottica di chi vuole fare business tra i due continenti rappresentano soltanto un’inutile complicazione. L’obiettivo del TTIP è quello di ridurle, in modo che permettano la libera circolazione di tutti i prodotti. Un obiettivo di fronte al quale viene considerato lecito (o addirittura doveroso) disintegrare lo stato sociale e sovvertire lo stesso rapporto tra democrazia e mercato.
Trattative segrete
Tutti gli attori sanno benissimo che un processo del genere, se reso pubblico, avrebbe provocato l’immediata reazione dell’opinione pubblica. Ecco perché la negoziazione del TTIP è stata portata avanti (e viene tuttora portata avanti) in maniera “riservata”. Al tavolo siedono i negoziatori del governo USA e quelli della Commissione Europea presieduta da Jean Claude Juncker, l’ex premier lussemburghese recentemente accusato di aver favorito l’evasione fiscale di decine di multinazionali attraverso accordi stipulati con il suo governo. Insieme a loro, oltre 600 consulenti delegati dalle maggiori multinazionali che operano nei due continenti. I documenti relativi alle trattative non sono pubblici e anche i parlamentari nazionali o europei che volessero consultarli, dovrebbero recarsi in un’ambasciata statunitense e leggere la documentazione mentre sono controllati a vista, senza la possibilità di fare fotocopie o scattare fotografie. Per fortuna nell’era di Internet e della comunicazione globalizzata tenere un segreto è molto difficile. Grazie ai vari “leak” e all’impegno della società civile, il quadro complessivo del TTIP è ormai di dominio pubblico.
Come funziona
Attraverso il TTIP, USA e UE si impegnano a collaborare per abbattere le barriere al libero commercio intervenendo sulle leggi. Visto che nella maggior parte dei casi l’UE ha norme più severe degli USA, l’intervento è quasi a senso unico: un abbassamento degli standard che permette ai prodotti americani, oggi considerati “inadeguati”, di varcare i confini e arrivare sul mercato europeo. Il fatto che tutto ciò sia previsto in un trattato internazionale lo rende vincolante per tutti i membri dell’unione e ogni singolo paese, anche in futuro, dovrà attenersi alle disposizioni del trattato. In pratica, il TTIP segna la linea politica di tutti i paesi dell’Unione Europea per il futuro, impedendo che eventuali maggioranze politiche “alternative” possano cambiare rotta rispetto a quanto deciso. Il risultato si ottiene attraverso due strumenti principali: la cosiddetta “armonizzazione normativa” e il controverso (e perverso) sistema di risoluzione delle dispute tra investitori e stati (ISDS).
L’armonizzazione normativa
Il trattato prevede la formazione di una commissione che dovrà valutare le normative nazionali e continentali nell’ottica di “renderle compatibili” con quelle statunitensi. L’obiettivo è quello di avere le stesse regole per consentire ai prodotti di viaggiare liberamente tra i due continenti. A oggi, però, le differenze sono molte e alcune delle aperture previste porterebbero alla disintegrazione di leggi e regolamenti che la UE ha prodotto negli ultimi decenni per tutelare la salute e i diritti. Il problema più evidente è quello legato agli OGM. Nei supermercati USA, infatti, circa il 70% dei prodotti in vendita contiene organismi geneticamente modificati. L’apertura ai prodotti statunitensi rappresenterebbe quindi un’apertura ai prodotti OGM. Le differenze in ambito alimentare coinvolgono anche le tecniche di allevamento. La legge degli Stati Uniti, infatti, permette di utilizzare ormoni della crescita e antibiotici negli allevamenti, tecniche proibite in Unione Europea. Negli USA è anche pratica comune quella di lavare le carcasse di pollo con il cloro, le cui tracce rimangono nelle carni.
Il principio di precauzione
Una differenza fondamentale tra i due sistemi, per esempio, è l’adozione del cosiddetto “principio di precauzione”. In Unione Europea questo si applica a qualsiasi prodotto e il meccanismo di funzionamento è evidente quando si parla, per esempio, di farmaci o pesticidi. Nella UE, infatti, è il produttore a dover dimostrare la “non nocività” di un prodotto al momento della messa in commercio. In caso successivamente sorgano dei dubbi, ad esempio per la denuncia di un privato o di un’associazione di consumatori, sta sempre al produttore dimostrare che il prodotto è sicuro. Negli USA vige il principio contrario: tutto è lecito finché non si dimostra il contrario. Se sorgono dei dubbi, è il privato o l’associazione a dover eseguire gli studi necessari e dimostrare che il prodotto è nocivo o pericoloso.
ISDS: gli stati sotto accusa
Il secondo strumento, chiamato “sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e stati” o ISDS, rappresenta il punto più controverso (sigh!) del trattato. L’accordo permette infatti a una qualsiasi società straniera di fare causa a un governo quando ritiene che una legge o un regolamento la danneggino. Non è una novità: si tratta di un meccanismo utilizzato già in molti accordi bilaterali di libero scambio e ha effetti spesso paradossali. Qualche esempio di cronaca spiega meglio il suo funzionamento.
La legge anti-fumo adottata dall’Uruguay ha portato a ottimi risultati. Attraverso l’imposizione dell’obbligo di stampare fotografie shock sui pacchetti e una massiccia campagna di informazione, il governo sudamericano ha ridotto drasticamente il numero di fumatori. Quanto basta per portare la Philip Morris a citare in giudizio il governo uruguayano appellandosi all’ISDS, chiedendo un risarcimento miliardario.
Il meccanismo dell’ISDS, però, non risparmia nemmeno i paesi europei. La scelta della Germania di abbandonare il nucleare in seguito all’incidente di Fukushima, per esempio, è stata accolta con gioia dagli ambientalisti e dai cittadini tedeschi. Un po’ meno dalla Vattenfall, una società svedese che gestisce due centrali nucleari nel nord del paese. Sulla base di un accordo di libero scambio a livello europeo (la Carta dell’Energia) la Vattenfalll ha chiesto al governo tedesco di risarcire i mancati guadagni, quantificati in 2,7 miliardi di euro. La causa è ancora in corso.
Le cause arbitrali basate sull’ISDS vengono tenute in seno alla Banca Mondiale, dove stati e multinazionali sono rappresentati da membri della Banca Mondiale stessa. Le udienze si tengono a porte chiuse e, in caso di condanna, i governi hanno due alternative: risarcire il danno o annullare l’atto (legge, regolamento o decreto che sia) oggetto del contendere. Insomma: con l’ISDS il profitto delle multinazionali viene anteposto ai diritti dei cittadini mettendo a rischio il diritto alla salute, l’ambiente, i diritti dei lavoratori e il modello di welfare europeo.
Il mercato prima dei diritti
Le norme previste nel TTIP segnerebbero una vera cessione di sovranità da parte degli stati in favore del cosiddetto “libero mercato”. Per questo motivo, oltre un milione e mezzo di persone in Europa hanno firmato una petizione online per chiedere il blocco delle negoziazioni e l’abbandono del progetto TTIP. Le lobbies delle multinazionali, però, continuano a premere per proseguire sulla via intrapresa. Gli unici strumenti a disposizione per fermare il TTIP sono nelle mani dei cittadini, come singoli o come associazioni. La controinformazione, qualsiasi forma di protesta e l’opposizione netta al trattato sono l’unica arma che l’Europa ha oggi a disposizione per evitare la svendita della democrazia in nome del profitto. Oggi queste migliaia di individui dimostreranno la loro opposizione al progetto TTIP manifestando in più di 300 città in Europa e negli Stati Uniti. Ci vediamo in piazza.