Mafia in Africa

di Lorenzo Bagnoli

Le mafie italiane si prendono l’Africa. La prima investigazione del centro di giornalismo Irpi su 13 Paesi del continente dove i potenti hanno approfittato dell’assenza di regole

 

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La terra promessa delle mafie italiane è l’Africa. E non da oggi: la colonizzazione mafiosa è cominciata negli anni Ottanta. In alcuni Paesi del continente, le organizzazioni si sono legate a doppio filo con potentati corrotti, corporation che hanno messo le mani sulle risorse naturali oppure a politici sensibili alla mazzetta.

Mafia in Africa è l’inchiesta transnazionale condotta dal centro per il giornalismo investigativo Irpi insieme a Quattrogatti.info, Ancir (African Network of Centers for Investigative Reporting) e Correctiv (Centro per il giornalismo investigativo tedesco) che racconta la penetrazione della criminalità organizzata nostrana in 13 Paesi dell’Africa

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E questa è solo la prima puntata di un lavoro d’inchiesta che durerà molto più a lungo. L ricerca è stata sostenuta dal Journalism grant, dallo Euorpean journalism fund e dalla Bill and Melinda foundation.

L’infiltrazione è capillare: dal Marocco al Sudafrica, dal Senegal al Kenya. Non c’è settore che ne sia escluso. In Zimbabwe, nel gennaio 2011 il boss mafioso di Villabate Antonino Messicati Vitale sigla un accordo con i Ferrante, famiglia d’imprenditori legata a Cosa Nostra da una parentela alla lontana. Nessuno però ha mai dimostrato che siano affiliati. L’accordo commerciale tra i due riguarda l’acquisto di 200 chili di diamanti che usciranno dal Paese segretamente.

Cosa Nostra ricicla i proventi del narcotraffico così, con i preziosi: non perdono valore nel mercato, a differenza del denaro.

Ma i Ferrante non si sono limitati a questo: si sono presi anche un’importante licenza per l’estrazione in Repubblica democratica del Congo. Più ricchezza per le mafie significa più povertà per le popolazioni: le mafie non hanno fatto altro che riempire di soldi le tasche già traboccanti dei potenti di turno. E non solo in Sudafrica.

In Kenya, a Nairobi, dieci anni fa la società Price Water House ha denunciato un enorme caso di riciclaggio di denaro sporco che coinvolge un istituto di credito poi chiuso dalla Banca centrale  del Kenya: la Charter House Bank. Socio occulto della banca era John Harun Mwau, secondo gli americani uno dei maggiori narcotrafficanti del mondo.

<h6>E dove sono transitati i soldi di questo riciclaggio da quasi 100 milioni di dollari </h6>

Il suo avvocato nega di conoscere la storia, eppure il suo profilo da riciclatore pare perfetto. Nessuno conosce per chi lavora. Quello che si sa da rapporti dell’ambasciata americana desecretati da Wikileaks nel 2011 è che Mwau basa i suoi traffici su una “It7alian connection”, una rete di trafficanti di droga che dall’Italia arriva a Malindi e che ancora non ha nome.

In Senegal la cosca ‘ndranghetista guidata da Giuseppe Pensabene ha tentato due volte di creare una filiale per il traffico di oro contraffatto. In Costa d’Avorio il clan camorrista di Mondragone aveva costruito una cordata d’imprenditori per investire in un panificio. In Tunisia, il boss della ‘ndrangheta Salvatore Strangio ha incaricato il capo della locale di Erba Pasquale Varca di smerciare mezzi per il movimento terra rimasti inutilizzati in Lombardia.

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Proprio la Tunisia è stata l’origine di tutta l’inchiesta, in un ozioso pomeriggio a Londra. Il fondatore di Quattrogatti.info Stafano Gurgiullo spulciando la relazione semestrale della Direzione nazionale antimafia scopre il nome del Paese del Nord Africa. E da qui nasce la domanda sulla portata dell’infiltrazione oltremediterraneo dei mafiosi, attraverso abili intermediari senza volto. E l’avventura è solo all’inizio.

LEGGI LE STORIE IN INGLESE: https://correctiv.org/en/investigations/mafia-africa/