di Chiara Daneo
Ti siedi accanto a me sul tram. Hai poco più della mia età, i jeans, i capelli lisci come i miei. Parli al telefono con tuo padre e io ti ascolto, nella tendenza tutta umana e incolpevole di non poter fare a meno di ascoltare i fatti degli altri, quando vengono raccontati a 20 centimentri da noi.
Racconti che da quando “il collega” ha scritto quelle cose su facebook, la vostra vita di poliziotti è diventata difficile, perchè, anche a Milano, basta un “mi piace” e si viene trasferiti d’ufficio, spostati, ripresi. Che insomma è uno scandalo che ora ci voglia un avvocato per capire se si può mettere un innocuo “mi piace” su facebook, e che solo perchè uno ha la divisa non possa esprimere quello che pensa.
Cioè che sulla Diaz, parola a cui il cuore mi sobbalza, siete in tanti a pensare che i vostri colleghi poliziotti abbiano fatto bene, e che in molti lo rifarebbero. Liberi questi pensieri dalla tua faccia pulita, come fossero acqua che scorre, e il cuore mi batte all’impazzata, la nausea sale fortissima, mi sudano le mani.
Vorrei spostarmi, vorrei urlarti contro quello che sei e che siete, criminali, invece non faccio nulla, incasso, respiro, mi controllo, pensando agli amici con cui sarei potuta essere in quella scuola, come Antonio, Francesca, Andrea. Faccio silenzio dentro di me ma l’autocontrollo ha un grande prezzo: scoppio a piangere, come una bambina. Ma tu nemmeno lo vedi, perchè scendi dal tram e nemmeno mi guardi. Che siate maledetti.