E noi gli affondiamo i barconi, così gli scafisti non li possono far partire. Alfano dixit.
Angelino Alfano, il nostro, il vostro ministro degli Interni, che ci fa in Tv mentre dovrebbe essere chiuso nelle stanze e fra telefoni e call-conference per trovare una soluzione politica e dignitosa, possibilmente razionale a un problema che ha dei termini chiari? Se parla di Libia, Alfano, sa che non c’è una autorità, che ci vuole quella che sta spasmodicamente cercando e cioè una legittimazione a usare la volenza armata e che poi ci si dovrà pur fare la domanda delle mille pistole: e tutte le persone che sono pronte a partire o che stanno attraversando chilometri per partire? Di loro che ne sarà?
Magari non periranno in mare, quindi non è affar nostro, né fa tanto rumore, né obbliga a facce contrite e soluzioni emergenziali da dare in pasto alle opinioni pubbliche.
Operazione militare per bombardare i barconi, pare si sia anche affrettato a dire ‘vuoti’, si sa mai, ma non l’ho sentito con le mie orecchie.
Il rapporto di forza, il Kratos di oggi è desolante.
Quando un comico, non Grillo, ma Crozza, riesce a dire da anni le cose di senso, mentre la politica balbetta c’è un significato evidente di che cosa sia oggi l’agire dei personaggi in vista, quelli che stanno nelle stanze che contano. Su mille parlamentari quanti contano davvero?
Ma quel giro ristretto che conta ha perso l’umanità e la dignità del fare politica, che non significa essere costantemente davanti a un microfono, o inviare un tweet o essere su Facebook. Matteo Renzi intanto era su Facebook a dire che in Europa ci stan prendendo sul serio finalmente, bontà sua che non ha capito nemmeno che non è più l’Europa che si chiede a gran voce, ma di considerare questo dramma come globale, quindi non solo europeo.
Vanno in Tv, sono sui social, hanno stuoli di comunicatori, scelgono le facce e le parole, ammiccano, parlano alla pancia, poi si fanno istituzionali e gravi e alle feste comandate ci parlano di patria, la p è minuscola non per refuso.
Il rapporto di forza è debole perché noi siamo deboli. Noi la società civile. Noi che , guardiamoci intorno, siamo mucillagine ben riuscita alla cucina del ventennio e passa berlusconiano e della moderata sinistra che si fa mangiare dal Partito della nazione (non sei d’accordo, zac, via in dieci dalla Commissione dove si vota l’Italicum. E ho detto tutto).
Noi che viviamo dentro una bolla che hanno costruito in maniera abile perché ci sentissimo smarriti: il panico urlato sui grandi giornali, le colonne destre a rimbecillire i lettori sul web, i gattini di fianco ai temi giornalistici e la lingerie insieme a quello che doveva essere il racconto di un mondo ancora più complesso, perché uscito dalla contrapposizione per blocchi e sottoposto all’escalation di guerre fatte scoppiare e arsenali da utilizzare per consumare e produrre altre guerre per poi consumare nuovamente scrivendo sui fusti dei missili parole di democrazia esportata.
Guardatevi intorno e in paese reale è sventrato nella sua cultura, dal vestire al mangiare, dal parlare al leggere, una forbice che si allarga fra parvenu arricchiti e verrebbe da dire cafoni, se non fosse per la nobile etimologia del termine di chi lavora la campagna, e ceti medi impoveriti, i più bassi disperati, i giovani senza lavoro.
Intanto le ricette di chi amministra, di chi governa sono tutte dirette alla pancia, in una campagna elettorale e in un’ansia da rielezione permanente, in ansia da visibilità nel circo, spararla grossa funziona sempre, mai che vi sia una normale selezione nel campo di chi sceglie cosa pubblicare, laddove il demente o il provocatore non possono sempre essere cercati per o fare la notizia.
Angelino Alfano, Matteo Renzi, a volte ci si deve anche ricordare chi governa e chi l’ha voluto questo governo (già, chi ‘ha voluto?).
Nel frattempo vive l’assuefazione più imbelle: ho sentito bene? Vuole andare a bombardare i barconi, così la risolve una volta per tutte? La devo leggere due volte, perché la prima mi scivola via come se fosse la boutade di un ignorante del quadro geopolitico e delle necessità.
Poi torno a capo e rileggo la riga.
E anche se avessimo dimissioni per manifesta incapacità, resta aperto l’altro rapporto di forza che ancora non trova nella mia testa una risposta.
Davanti alla scheda, quando ci lasceranno finalmente votare, che ci scrivo?
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