Sarà il mio tipo?

di Lucas Belvaux, con Loic Corbery ed Emilie Dequenne

di Irene Merli

Il titolo può trarre in inganno. Anche perché in Italia è stato aggiunto il punto interrogativo, questione non piccola nel caso di questo film. Che a dispetto del tentativo di distorsione, è tutt’altro che una versione d’oltralpe delle alle solite commedie romantiche americane, dove l’amore travolge ogni ostacolo.

Anzi, Sarà il mio tipo? è un solido, efficace antidoto a questo filone, e non solo perché il finale non è affatto un happy end. I dialoghi sono curatissimi e la storia affronta una spinosa questione: in amore conta l’appartenenza sociale, la differenza di “milieu”?

Clement è un giovane professore di filosofia, parigino sino al midollo e costretto dalla graduatoria a insegnare ad Arras per almeno un anno. Per lui è una tragedia personale: tutto quello che gli interessa accade nella Ville Lumiere, dove peraltro ha anche pubblicato un libro piuttosto cinico sul sesso e i sentimenti.

Nella piccola cittadina vicina al Belgio si annoia e non poco. Ma un giorno va a tagliarsi i capelli e nota Jennifer, parrucchiera e madre single bionda ossigenata, attraente, assolutamente provinciale. Dopo una lunga corte, i due si mettono insieme. Ma mentre lei poco a poco si innamora profondamente, lui prova dei sentimenti contrastanti.

Jennifer, per quanto faccia, non può essere il tipo di Clement: per definizione. Non ha studiato, legge giornali di people e romanzi rosa, adora cantare al karaoke con le amiche e vive in un appartamento che al primo sguardo del giovane professore si rivela squallido, imbarazzante.

Non per questioni economiche: il problema è che quella casa a Jennifer piace così, come gli smalti vistosi, Jennifer Aniston e mille altri dettagli che aprono un barriera tra i due, tinta di razzismo culturale. Clement si scopre profondamente condizionato dal disprezzo sociale: con Jennifer sta bene, le legge addirittura dei romanzi ad alta voce e la spinge a leggere Kant.

Non solo: prova una forte passione erotica per la piccola parrucchiera, ma di fatto quando non sono soli si vergogna di lei. Al punto da non presentarla a una raffinata collega di Parigi e al marito, durante una festa cittadina, quando ormai stanno insieme da molti mesi.

Teme persino che disprezzebbero il suo nome… Cosi sarà l’umiliata Jennifer a prendere in mano il gioco. Che non la condurrà certo a vivere con Clement e con suo figlio, ad Arras o a Parigi: niente happy end, l’avevamo detto, no?

Le scene di Sarà il mio tipo? più leggere sono in realtà le più pregnanti, perché mostrano l’abissale distanza di gusti e linguaggio tra i due, che a Jennifer non importa mentre per il borghesissimo “intello” Clement è incolmabile.

Il supponente professore, che già tanti cuori parigini ha spezzato (lo si vede bene nella scena di apertura del film) non tradisce né trascura la sua amante: semplicemente la sente “inappropriata” di pelle, prima ancora che di testa.

Tratto da un romanzo di Philippe Vilain, pubblicato in Italia da Gremese con il titolo corretto di sapore proustiano, il film di Delvaux è letteralmente illuminato da Emilie Dequenne, la splendida debuttante di “Rosetta” dei Dardenne.

Sparita dai nostri schermi da allora, e chiamata su quelli francofoni sempre per ruoli intensi e drammatici, si misura qui in un personaggio in parte comico ed è così brava che da sola varrebbe la visione del film. Ma anche Loic Colbery è perfetto, senza una sbavatura. Insomma un piccolo film molto interessante, che fa capire quanto nella vita vera, e non in quella hollywoodiana, i rapporti d’amore siano ancora infiltrati e condizionati da quelli di classe. Meditiamo, gente, meditiamo…

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