di Alice Bellini
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
Lo strano fiore
In una campagna baciata dal sole e accarezzata dal vento, fatta di grandi vallate e dolci colline, dove tutti gli abitanti si sentivano al sicuro e pensavano nessun orrore potesse mai toccarli, c’era un grande campo di spighe di grano, belle e dorate, che lievi danzavano nella brezza che con loro giocava. Indisturbate, vivevano insieme i loro giorni, piantate nel loro campo, attorniate da spighe come loro.
Un giorno, portato dal vento, arrivò nel campo un seme, stremato e moribondo, che finalmente lì si fermò e, cercando di non dare troppo nell’occhio, si scavò finalmente un giaciglio sotto terra e si addormentò.
Alla vista di quel semino, le spighe lì vicino cominciarono a borbottare.
Avevano paura che quel seme, unico di fronte alla loro tanta moltitudine, potesse rubargli l’acqua e la terra e che potesse così farle seccare.
E non c’era verso che qualche passerotto che passava di lì, nel sentirle, riuscisse a farle ragionare.
“Se c’è qualcosa che vi farà seccare, sarà il padrone del campo quando vi taglierà per far di voi farina. E se c’è qualcosa che vi toglierà terra e acqua, sarà la siccità che, vi piaccia o meno, sempre più s’avvicina. Oppure, prima ancora, tutti quei concimi vi spruzzavano addosso dicendovi che è per il vostro bene e che invece finiranno per avvelenare il vostro prezioso campo”.
Ma quelle non lo volevano ascoltare e continuavano ad alimentarsi a vicenda, convincendosi l’un l’altra che quel seme fosse la reale minaccia. E il giorno arrivò che il seme, finalmente riprese le energie, si schiuse e crebbe in un fiore alto e bello, dalla corolla dai grandi petali gialli.
Il fiore sorrise alle spighe, salutandole con garbo, ma quelle, vedendolo così diverso da ciò a cui erano abituate, lo cominciarono a prendere a male parole, cercando in ogni modo di mandarlo via da lì.
Ogni qual volta qualcosa di brutto accadeva nel campo, le spighe accusavano il fiore di esserne la causa. E nel mentre, così intente com’erano a concentrarsi sul fiore, perdevano di vista ciò che stava succedendo intorno a loro.
Ma il fiore, nonostante tutto, continuava a guardare alto verso il sole e a non perderlo mai di vista.
Ricordava la miseria da cui era venuto e la distruzione che aveva sopraffatto il suo campo e trascinato via lui e i suoi fratelli, che altrimenti sarebbero periti lì. Guardava il sole e si sentiva comunque fortunato, a modo suo.
E qualunque movimento quella grande stella facesse, lui ligio lo seguiva, senza mai perdersi d’animo, senza mai abbassare la corolla di fronte agli insulti e i maltrattamenti delle povere e ottuse spighe. Così, i passerotti cominciarono a chiamarlo Girasole.
E provarono in tutti i modi a spiegare alle spighe che quel fiore avrebbe potuto arricchire il loro campo, che aveva bellezza da vendere e semi preziosi da far fruttare.
Ma loro ostinate non volevano ascoltare e quasi non gli pareva vero di aver qualcuno da incolpare per tutti quei loro problemi e quelle loro paure – ma ovviamente questo non lo avrebbero mai ammesso. Per non parlare delle spighe più grandi, che finalmente avevano trovato un modo per farsi ascoltare da quelle più piccole e tenerle sotto scacco.
Così, non ci fu nulla da fare quando il giorno arrivò che il campo era ormai diventato così arido e così avvelenato che tutte le spighe lentamente morirono, soffocate da coloro che pensavano le stessero nutrendo.
E non ci è dato sapere se le spighe si resero mai conto che il problema non era il Girasole, ma alcune di loro decisero di lasciare i loro semi al vento, così che questi li portasse lontani, in una terra dove forse ci sarebbe stata fortuna, vita e una piccola speranza.
Racconto europeo
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