Diritto negato

di Francesca Tomasso

In Marocco si praticano 800 aborti clandestini al giorno. La legge considera reato l’interruzione della gravidanza e una riforma del codice penale è ancora lontana

Il caso

Nel dicembre scorso un documentario di France2 fa scoppiare il caso “aborti clandestini” in Marocco, affermando che nel paese si eseguono tra i 600 e gli 800 aborti illegali al giorno; un medico intervistato nel corso del documentario parla troppo e ci rimette la carriera ma l’effetto sul dibattito pubblico è dirompente. La questione dell’interruzione volontaria di gravidanza balza sulle prima pagine dei giornali e in questi giorni si discute del nuovo codice penale che la vuole depenalizzare.

Andiamo con ordine

È l’11 dicembre e il canale France2 manda in onda un documentario girato pochi giorni prima dai giornalisti Anouk Burel e Mathieu Birden a Rabat, la capitale del Marocco. Quello che esce fuori dalla mezz’ora di reportage è uno scenario sconsolato di come una legge – la 453 del codice penale marocchino sul divieto di interruzione volontaria di gravidanza, con pene fino a 10 anni di carcere per il medico che lo esegue e a 2 per la donna – possa avere conseguenze tragiche. Aborti clandestini nell’ordine di diverse centinaia al giorno – e la storia di come siano pericolosi la conosciamo già –, donne che provano ad abortire illegalmente al sesto mese ma il bambino sopravvive e nasce prematuro, madri single come i nuovi paria della società, donne che partoriscono e abbandonano, per una media di 24 nuovi nati non riconosciuti al giorno. Un medico, il professore Chafik Chraibi, all’epoca direttore del reparto di maternità dell’ospedale di Rabat, alla fine del documentario confessa che nel suo reparto vengono eseguiti aborti in casi di estrema gravità ed eccezionalità, di comune accordo con tutta l’equipe medica: dopo poco questa dichiarazione verrà destituito dal suo incarico, ma diventa il presidente dell’Associazione Marocchina per la Lotta Contro gli Aborti Clandestini.

Il nuovo codice penale

Il re Mohammed VI, tempestivamente, propone una riforma del codice penale e il 16 marzo scorso esce la prima bozza. Il nuovo codice penale è consultabile sul sito del ministero della Giustizia e delle Libertà e riguardo l’interruzione volontaria di gravidanza, ancora si “attendono le deliberazioni riguardanti l’argomento”, anche se – sembra – tutto è partito da là. La pena di morte rimane in vigore, ma “solo” per 11 reati, invece di 31 (tra cui attentare alla vita del re, dei membri della famiglia reale, alla sicurezza dello Stato). Viene introdotto l’obbligo di filmare gli interrogatori presso i locali della polizia giudiziaria, così come l’introduzione dei lavori socialmente utili in alternativa alla detenzione.
La risposta della società civile: il nuovo codice penale non piace a tutti. All’Associazione Marocchina per la Difesa del Diritto alla Vita non piace un’eventuale depenalizzazione dell’aborto: gli attivisti denunciano un aumento del rischio di tumore all’utero dopo un aborto, e temono un aumento delle pratiche sessuali fuori dal matrimonio.
All’altro lato della società civile, il Movimento Anfass democratico, l’Istituto Prometeo per la Democrazia e i Diritti Umani, invece, non piace che rimanga in vigore la pena di morte, anche se per un numero minore di reati, come non convince il fatto che vengano introdotte delle pene pecuniarie per i colpevoli di molestie sessuali. Viene contestato il fatto che saranno previste delle attenuanti per il crimine contro il coniuge scoperto in flagranza di adulterio – una sorta di crimine d’onore –, che rimane il crimine di offesa allo Stato, e che sia ancora punibile la rottura del digiuno durante il Ramadan.

Cosa non convince

Due ordini di fattori lasciano tanti interrogativi aperti. Il primo è di natura formale: non è la prima volta infatti che il re ed il governo concedono riforme e diritti a seguito di un’irrequietezza della società civile. Era successo nel 2011 con la promulgazione della nuova costituzione dopo l’equivalente marocchino delle “primavere arabe”, era successo con il ritiro del Codice numerico (un disegno di legge sul controllo delle comunicazioni online, ndr). Succede di nuovo ora, dopo che un documentario fa scandalo e che il dibattito pubblico sembra infiammarsi. A voler essere maliziosi – e a vedere come i fatti stanno evolvendosi da marzo ad oggi, o meglio come non lo stanno facendo – questa strategia sa tanto di appeasement, una prevenzione e un deterrente, prima che la situazione e le rivendicazioni si facciano radicali.
Altre perplessità riguardano i contenuti del nuovo codice penale, per esempio le motivazioni dietro l’eventuale depenalizzazione dell’aborto, che rimarrebbe comunque una misura estrema e soggetta a condizionalità. A guardare il tutto con gli occhi non di un giurista ma di chi milita per un’uguaglianza di genere, la cosa più disarmante è che le espressioni “autodeterminazione del corpo” o “diritto di scelta” non sfiorano nemmeno il dibattito pubblico. L’aborto come libera scelta della donna di gestire la propria capacità riproduttiva è fuori dall’arena del pensabile e il tema dell’interruzione di gravidanza, per trovare uno spazio nel dibattito pubblico e quindi politico, deve ricorrere ad altre giustificazioni ideologiche: la gravidanza deve essere frutto di uno stupro, di un incesto, o il feto deve avere gravi malformazioni.
La stessa assenza dal dibattito pubblico, al contrario, si ritrova per tutto un altro genere di reati: i crimini di “vacillamento della fede musulmana” per esempio, o per il crimine d’onore, o ancora per la rottura del digiuno nel periodo del ramadan, della cui re-iscrizione nel codice penale forse non se ne sentiva l’esigenza. Nessuno tocca il divieto di vendere e consumare alcolici per i musulmani, così come il reato di concubinato (cioè la convivenza tra uomo e donna fuori dal matrimonio, fosse anche in un appartamento studenti), nessuno tocca i crimini di adulterio e di omosessualità, quando in realtà questi sono comportamenti sociali largamente diffusi e in via di depenalizzazione morale. Per la monarchia, legalizzare tali pratiche diventa inattuabile quando è alla religione che deve la sua legittimità e alla società civile islamista deve sostegno (la dinastia alawide che governa il Marocco, lo fa anche reclamando una discendenza niente di meno che da Maometto). In questo modo, però, il divario tra società reale e apparato legislativo diventa smisurato e una sola legge arriva a governare su tutte, tra la gente: “fallo, ma di nascosto”.
Certo è impossibile scrivere un codice penale che lasci tutti soddisfatti, quello che resta da capire – e da sperare – è se questo nuovo progetto sia stato pensato per rispondere alle istanze di una società in cambiamento o se non le stia invece aggirando.

Guarda il documentario di France2

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