di Alice Bellini
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
Le due anfore
Un contadino aveva due anfore, che ogni giorno appendeva al dorso del suo mulo per andare a prender l’acqua alla sorgente vicino al villaggio.
Le due anfore erano simili in forma, ma diverse tra loro. Una era di fabbricazione più recente, ancora nel pieno della sua efficienza, capace di trasportare acqua senza perderne nemmeno una goccia. L’altra, invece, era vecchia e piena di fessure e, benché avesse compiuto per anni il suo dovere in maniera egregia, ora cominciava a perdere colpi e a non essere più in grado di portare tutta l’acqua a destinazione.
E l’anfora più giovane non perdeva mai occasione di rinfacciare a quella vecchia quanto fosse più capace di lei, di quanto fosse migliore, di quanto fosse più bella e più valida.
Ad angustiarla con tutto quello che lei riusciva a fare e la povera altra no, a perseguitarla facendo sfoggio delle sue doti, così da far sentire l’altra sempre in difetto.
Triste e sempre più angosciata, la vecchia anfora un giorno si confidò con il padrone. Mentre camminavano per andare alla sorgente, mesta gli disse: “Sai, so perfettamente che ho dei limiti e che se tu mi vorrai sostituire con un’anfora più nuova, hai tutte le giuste ragioni per farlo. Io ormai sono diventata per te uno spreco di tempo, di fatica e lavoro. Non riesco più ad aiutarti come una volta e ogni volta che arriviamo al villaggio sono mezza vuota e tutta grondante. Sappi solo che per me è stato un onore portare l’acqua per te e che mi dispiace di non poterlo fare più come una volta. Spero tu possa perdonarmi”.
Il padrone, per quanto commosso, non rispose.
E l’anfora non fece che sentirsi ancora più inutile e sconfitta e incapace di vedere il futuro in modo positivo.
S’immaginava gettata in un angolo buio di un magazzino, mentre il mondo fuori pullulava di anfore presuntuose che un giorno non avrebbero saputo affrontare le difficoltà del tempo.
Si sentiva incapace di dare una sferzata positiva agli eventi, di cambiare le cose in meglio, di dare una mano.
Ma il giorno dopo venne, che sulla strada per la fonte, il padrone finalmente le parlò: “Anfora bella, guarda il bordo della strada”.
L’anfora guardò e i suoi occhi s’illuminarono: “Che bello! È tutto fiorito, pieno di profumi e di colori!”
“Ed è grazie a te se è così!”, le rispose il padrone sorridente. “Sei tu che ogni giorno, passando di qui, annaffi tutta questa bellezza e le permetti d’esistere.
Quando mi sono accorto che perdevi acqua, infatti, ho comprato un pacchetto di semi e li ho gettati là dove tu passi al ritorno. E per nulla al mondo darei via un’anfora che permette tutto questo, perché lo capisci bene anche tu che questi fiori sono utili e importanti tanto quanto l’acqua che trasportate!”
L’altra anfora, ascoltando il discorso, s’imbronciò, sentendosi sminuita di rimando. Allora il padrone, parlando a entrambe, le rappacificò:
“Ma guardatevi, lì a far la lotta a chi è migliore, senza rendervi conto che nessuna anfora è migliore dell’altra, non solo tra di voi, ma in tutto il mondo.
E se una riesce a far nascere i fiori, è solo perché l’altra porta l’acqua anche per lei – e viceversa.
Tutti possiamo avere un apporto positivo se lo vogliamo, tutti possiamo compiere anche solo un gesto, ogni giorno, per dar vita a una piccola grande meraviglia. Non è tutto perduto, non se si coopera.
E se tutti ci aiuteremo a compiere piccole meraviglie a vicenda, allora fiori e acqua non mancheranno mai”.
Racconto europeo
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