di Sergio Della Ca’ di Dio, Parada Italia Onlus
“Allora? Quando andiamo all’asilo?”.
Quante volte me lo sono sentito ripetere in questi mesi.
Sempre la stessa storia: il gioco o il pennarello che stava usando buttati sul tavolo o per terra, l’attività su cui si stava concentrando interrotta a metà, la corsa incontro con le braccia al vento.
E quella domanda. Ossessiva. Insistente. Speranzosa. Ingenua.
P. è la mascotte del centro diurno. Lo è da quando sono arrivato qui, quasi tre anni fa. Lo è, credo, da quando è nata.
6 anni. Passati tutti in canale.
La mamma consumatrice di eroina, dentro e fuori da Gara de Nord. Il papà, quello vero, fisso a Gara de Nord, consuma tutto ciò che capita: qualsiasi tipo di droga, qualsiasi tipo di alcoolico. Il papà ufficiale, quello messo sul certificato di nascita, scomparso anni fa, non si sa dove.
Il papà ufficiale è fratello di quello vero. Sei fratelli in tutto, cui si aggiungono C. e F., 18 e 19 anni, consumatrici (eroina e colla), una a Gara de Nord a prostituirsi “per una dose” e una in canale a passare da un fidanzato all’altro, incapace di rimanere sola e di badare a se stessa.
C., 16 anni, per lei solo colla. E un bambino in arrivo, frutto di una relazione con un altro minore nell’ambiente promiscuo del canale.
E R. 15 anni, talento vero per il circo, per ora nessun “consumo pericoloso” e nessun bimbo in arrivo: “solo” qualche furto e un dossier aperto alla polizia. E poca voglia di andare a scuola.
P. è cresciuta con la nonna, che ha 42 anni e vuole bene ai 6 figli, anche se l’educazione che gli ha regalato non ha dato i risultati sperati.
A occhio e croce, poche speranze di uscire da un percorso già scritto, fatto di droghe, abusi, violenza.
Ma a settembre scorso, la speranza si accende: la nonna, dopo l’ennesimo problema di C., la figlia più piccola, chiede di aiutarla a mettere P. all’asilo: “Divento vecchia…sono stanca di seguirla e non voglio che finisca anche lei a gara de Nord”.
“E poi sono stanca di rimboccarle le coperte in canale, tra topi e scarafaggi. Voglio lasciarla tutta settimana a dormire all’asilo e riprenderla solo il week end!”.
Ci attiviamo immediatamente, è un segnale importante, non possiamo lasciarcelo sfuggire così: una famiglia collaborativa è il primo passo per un intervento sociale efficace.
Inoltre P. ha 6 anni, ha subito degli shock gravi, ma è ancora recuperabilissima. Gli asili però costano. Soprattutto quelli che tengono i bambini a dormire durante la settimana. Contattiamo J. C., il prete spagnolo che gestisce una casa famiglia di 40 bambini (non uno di più, perché i bambini “vanno seguiti come si deve: servono almeno 3 educatori ogni 10 bambini, e assistenti sociali di giorno e di notte, e tutti devono andare a scuola”) nel settore 6 di Bucarest: è il centro per bambini più serio che si possa trovare, lontano anni luce dai centri gestiti dal comune, dove regnano menefreghismo e violenza.
Noi li conosciamo bene: metà dei loro ragazzi partecipano a Inter Campus, uno dei loro educatori è un allenatore del programma. I bambini vengono agli allenamenti un solo giorno a settimana e non due come gli altri, perché gli allenamenti del lunedì pomeriggio sono concomitanti alla scuola: e giustamente “Il calcio è importante ma la scuola di più”.
“E poi io tifo Barcellona, l’Inter mi è simpatica ma una volta alla settimana con la maglia nerazzurra è più che sufficiente, se apri un Barcellona Campus prometto che ci penso a lasciarteli due volte alla settimana”. J.C. è uno di quei preti col gusto della battuta: il suo rumeno è uno spagnolo mascherato, faccio fatica a seguirlo, ma è talmente espressivo e pieno di vita che in qualche modo ci si riesce sempre a capire.
A scuola i piccoli del centro di J. C ci vanno sempre: sono in pari col programma, hanno una vita lineare, nonostante un punto di partenza simile o uguale a quello di P.
Convincere la nonna non è facile: si parla di affido, la bambina passa sotto la responsabilità della casa famiglia. La famiglia non ha più diritti a livello legislativo.
Ma J.C. è netto anche su questo: “Per noi la famiglia è fondamentale: noi vogliamo che loro rimangano sempre accanto ai bambini e il week end li facciamo andare a casa.”
“Purtroppo,” aggiunge, “spesso sono le famiglie che rinunciano. Quanti bambini ho visto passare il sabato e la domenica ad aspettare i papà e le mamme che avevano promesso di passare a trovarli…”.
La nonna accetta. Si fa giurare e spergiurare che potrà prendersi P. anche in canale. J.C: dà la sua parola.
Settembre è mese di speranze. Speriamo di chiudere in fretta. Ma la burocrazia romena ci impedisce di effettuare l’affido. E la casa famiglia non può prendere P. in modo non ufficiale. Padre e madre senza documenti, in stazione, poco partecipi. La parola della nonna non conta.
Servono documenti. E la collaborazione della madre.
Seguono un nuovo inverno in canale. Per fortuna non freddissimo, ma sempre con l’assurda situazione di un bambino di 6 anni che vive sottoterra, dormendo accanto ai tubi dell’acqua calda per riscaldarsi. Sono passati tre anni da quando sono arrivato a Bucarest e ancora non riesco a considerarla una cosa normale.
A novembre va a fuoco un canale: proprio quello di P. La maggior parte del gruppo che sta in canale è composto da beneficiari di Parada: se sono tutti salvi devono ringraziare i riflessi di S., che avvisa tutto il gruppo per tempo. Muore un ragazzo di 25 anni: G. Non lo conosco, è uno nuovo e non è mai stato a Parada. Magra consolazione.
A febbraio riusciamo a sbloccare i documenti. Poi segue l’inchiesta sociale della Protezione Bambini. E finalmente a inizio aprile P. sbarca nella sua nuova casa.
Lei piange, impaurita. La nonna piange, triste e speranzosa. Nel dubbio piango pure io, perché so che saranno mesi di difficile adattamento, ma alla fine la bimba ci guadagnerà.
Il primo venerdì accompagno la nonna a riprendere la piccola: emozione, tutta la strada in silenzio.
Mentre attendiamo in cortile ci avvicina M. 18 anni, ragazza ospite del centro da quando aveva 7 anni, che sta iniziando a ragionare su quale università fare una volta finite le scuole superiori: “Anche io vengo da una famiglia povera. Non abbiate paura: si sta bene qui”.
La nonna si rilassa. “Università” ripete a bassa voce. Io ce la vedo P. all’università. M. continua: “E poi P. è intelligentissima. Ed è già una piccola artista!”. Io e la nonna ci guardiamo e non capiamo: “In che senso?”. “E’ una settimana che fa vedere a tutti come usa gli hula hoop: ne usa due insieme. Li fa girare con una facilità incredibile. E poi continua a fare “i ponti e le spaccate”…”. Ridiamo. In effetti P. ha passato una vita a Parada e ha sempre dimostrato un talento interessante. Spero riesca a portarlo avanti. Tra una lezione scolastica e l’altra.
Arriva mano nella mano con l’educatrice: una ragazza giovane, molto dolce. La bacia e le da appuntamento al lunedì. L’abbraccio con la nonna è lungo e commovente. A me chiede se le ho portato il cioccolato. Ci fermeremo a prenderlo strada facendo. Ci mancherà al centro diurno. Ci mancheranno i suoi sguardi furbi e le sue corse a perdifiato su e giù dalla scala ripida (quante volte abbiamo preso paura vedendola correre come una pazza). Ma ci consoleremo pensando che, la sera, dormirà col suo nuovo orsacchiotto di peluche. “Me lo ha regalato A.!”. L’educatrice.
Dormirà in un letto. Inizierà presto l’asilo. E forse avrà una chance in più nella vita.
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