Non c’è gusto

di Antonio Marafioti

Gianni Mura presenta il suo primo libro sulla gastronomia al Salone Internazionale del libro di Torino. In un duetto comico con Neri Marcorè

Non c’è solo l’ultima copertina del Venerdì di Repubblica a celebrare il senso di Gianni Mura per il cibo. C’è prima di tutto il suo lavoro: fra gli stand dell’Expo di Milano ci ha passato 21 ore su 48, nelle cucine italiane e internazionali, la gran parte della propria vita professionale. Da venticinque anni, le sue rubriche su Repubblica e sul Venerdì sono autorevoli lettere d’amore per la gastronomia, la sua storia e i suoi attori. Ristoranti e ristoratori, pietanze nuove e tradizionali e poi, soprattutto, il vino. I rossi i suoi preferiti. Guai a chiedergli se siano migliori gli italiani o i francesi. L’unica risposta: “Entrambi inarrivabili”.
Critico severo, mai spietato, dice “la giornata no può capitare a tutti i ristoratori”, Gianni Mura aveva due grandi debiti nei confronti della cucina. Il primo, che c’è ancora, è quello di non saper cucinare “nemmeno due uova al tegamino. Non so preparare neanche il caffè”. Dice di essere terrorizzato dal gas e dall’elettricità. Il secondo, quello non aver mai scritto un libro sulla gastronomia, è stato estinto pochi giorni fa, dopo venticinque anni di cene e articoli sull’argomento.

Non c’è gusto, Minimum fax, 13 euro, è, con le parole di Carlo Petrini che ha firmato la prefazione, “un metodo lento, omeopatico e intelligente per approcciare il mondo della ristorazione nei sui aspetti più apparentemente, ma solo apparentemente, laterali”.

È vero. Lo testimonia il numero di lettori che hanno assistito alla presentazione dell’opera al Salone Internazionale del Libro di Torino. Sala Rossa piena con Mura e Neri Marcorè in un duetto comico sulle abitudini nostrane nella ricerca del ristorante o dei cibi migliori. È qui che Non c’è gusto, impone una sorta di legge del contrappasso fra il Mura scrittore e il giornalista che, se per un quarto di secolo ha raccontato nei dettagli i luoghi della ristorazione in Italia, ora accompagna il lettore “poco oltre la porta”.

L’opera, dedicata a Sua Nasità, l’amico Luigi Veronelli, è un’agenda personale di consigli all’avventore per affinare la vista, l’olfatto, l’udito nella ricerca del luogo giusto in cui mangiare. Niente tatto, sistemato dal finger food.

Niente gusto. Per titolo non c’è, e comunque pretendere di fissarne uno per tutti è giudicato, già nell’introduzione, pretestuoso per una guida. Mura lo spiega con i suoi classici giochi di parole, “l’unico anagramma possibile di guida è giuda”, può tradire. Con riferimenti ad autori del passato, “l’odore subito ti dice senza sbagli quel che ti serve di sapere; non ci sono parole, né notizie più precise di quelle che riceve il naso”, Italo Calvino.
Infine, con un’esperienza sul campo, meglio dire a tavola, lunga decenni, la sua “memoria gastrica” e uno studio comparato di tutte le migliori guide culinarie. È una lezione che si svolge in poco più di un centinaio di pagine e che non pretende mai di essere tale. È sempre e solo un consiglio quello che il lettore percepisce. Se si telefona a un ristorante alle 18.30 e non risponde nessuno, non è segno di serietà. L’odore di fritto all’entrata deve portare, rapidamente, all’uscita. Una cena con gli amici si organizza in un luogo con cento coperti, quella romatica in un ristorante con meno di trenta. Altrimenti si sta umanamente scomodi. In entrambi i casi. Poi lo sguardo sui cibi veri e propri, sul significato della parola “coperto”, sugli equivoci e gli errori grammaticali dei menù, dal foie gras, scritto fois gras, che lui ammette di non mangiare più, alla chesscake, “forse un dolce a base di scacchi?”. E ancora il vitel tonné, un francese italianizzato senza senso. In francese, quello vero, vitello si scrive veau e tonno thon. “A Milano hanno perfino inventato il tonno vitellato, l’ho mangiato e devo dire che fa veramente schifo”.
A Marcorè che gli chiede perché scrivere un libro del genere proprio ora, Mura risponde “ormai tutti parlano di cucina. Io stesso ho riscontrato la difficoltà di orientarmi quando devo scegliere un ristorante. Una volta si usavano le guide, ora si sono aggiunti i siti internet che permettono a tutti di recensire, ma che non controllano, o forse foraggiano, la quantità di commenti falsi sui ristoranti”. Ce ne sono per tutti i gusti e le tasche, intendiamoci, non solo quelli che scrivono correttamente foie gras. Anzi, sul finale, la dichiarazione d’amore dell’autore è tutta per le osterie che, se gestite come una volta, sono i luoghi migliori per affinare quell’arte dell’incontro che è lo stare a tavola insieme. Per parlare, narrare storie e divertirsi.

“Neri, ti vedo molto preparato oggi, si vede che hai studiato. Io ho provato a fare Gasparri allo specchio, ma niente”. “Devi abbassare tutto, Gianni, gli occhi, la fronte, il quoziente intellettivo”.

Il duetto si chiude con una provocazione divertita dell’attore: “Hai fatto anche un accenno ai fast food. Ma è vera quella storia che durante le olimpiadi di Los Angeles, siete andati al McDonald’s a insieme a Gianni Brera?”. Mura raccoglie e parte con un aneddoto: “Brera non venne negli Stati Uniti, aveva raccontato una balla a Scalfari sostenendo che un gangster voleva fargli la pelle. Quell’episodio si è svolto a Marsiglia durante i campionati europei del 1984. La città era congestionata dal traffico e io, Brera e Damascelli del Giornale facemmo circa dieci chilometri a piedi. Non c’era un ristorante a pagarlo oro. L’unico posto aperto era un Mc Donald’s a 100 metri dall’albergo. Avevamo fame ed entrammo. Brera disse: “prefiero la muerte” e andò via”.

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