Tratto da QCT
di Bruno Giorgini
Città presa guerra vinta recita il titolo di un articolo comparso su QCT. Parafrasando nel caso della recente avanzata dell’esercito di daesh, il califfato, potremmo scrivere: città distrutta guerra vinta. I soldati neri che si propongono la fondazione di uno stato totalitario nel nome di Allah piombano sulle città un tempo irachene e siriane, conquistandole. Le ultime due Tadmor in quella che fu la Siria, e Ramadi in quello che fu l’Iraq, cannoneggiate bombardate squarciate, infine prese ridotte a cumuli di macerie.
Chi ha potuto è fuggito, profugo. D’altra parte non è che nella fu Siria il potere di Assad abbia rispettato le città, l’esercizio per la loro distruzione è proprio anche al dittatore siriano. Tadmor è, era, costruita vicino all’antica Palmira per il cui probabile saccheggio si strappano i capelli molti dotti commentatori, talché pare che la sorte degli abitanti la città moderna interessi poco rispetto al complesso delle rovine archeologiche.
Ma una città desertificata dei suoi cittadini cosa è. Un assemblaggio di pietre, niente di più. Intendo dire che Palmira, senza i cittadini di Tadmor sarebbe semplicemente una città morta.
Pompei esiste come storia, memoria, tessitura e nodo delle narrazioni urbane soltanto se la pensate vicina, prossima, a Napoli, cioè inscritta in un vivente consesso umano. E’ una patologia non solo linguistica scrivere e leggere soltanto di Palmira – il nome Tadmor (o anche Tadmur) è letteralmente scomparso dalle cronache – significando una distrofia del tessuto della comunicazione e informazione che, pur senza volerlo, s’accoppia alla, e accompagna la, pulsione di morte soggiacente le azioni dei soldati del terrore jihadista.
Per questo tutti i media italici si fanno quasi senza accorgersene megafoni della potenza jihadista, perché quando assumi come patrimonio dell’umanità una città morta dimenticando la città dei viventi, è thanatos – la morte – che emerge dal tuo inconscio facendosi discorso, thanatos che è anche il costituente, l’energia dei soldati neri, la benzina che pompa il sangue al cuore della loro strategia. Non è un caso se la presa di Ramadi è stata propiziata dall’incursione di trenta autobombe guidate dai kamikaze del califfo che, arrivando alle spalle delle linee di difesa delle truppe irachene, le hanno sconvolte gettando i soldati nel panico, più o meno come accade quando si gettano oggetti infuocati in un formicaio.
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