Parolario giuridico: oblio

Il diritto all’oblio in rete rappresenta
una garanzia per i cittadini o una censura per i giornalisti?

di Flavia Zarba,
tratto da IRPI

Jeff Jarvis, scrittore e docente di giornalismo alla City University di New York, ha definito il diritto all’oblio come un attacco al ‘diritto alla parola’ sostenendo che «la corte di giustizia dell’Unione europea ha calpestato la libertà d’espressione non solo di Google, ma anche dei siti e degli autori a cui rimandano i suoi link».

Che cos’è il diritto all’oblio?
Si tratta di un diritto alla salvaguardia dell’identità personale nella sua proiezione sociale. Qualora il nome del soggetto richiedente compaia negli archivi on-line, nonostante la notizia non sia più attuale e non ci siano nuovi aggiornamenti utili per l’interesse pubblico, l’interessato può chiedere di essere dimenticato e quindi – nel concreto – che la notizia che lo riguarda venga censurata.

Quando nasce?
Il diritto in questione trova attuazione, per la prima volta, grazie alla sentenza del 13 maggio 2014 quando (a seguito del ricorso presentato dal cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzales) la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che i motori di ricerca on-line (in particolare Google) dovessero provvedere alla de-indicizzazione dei contenuti, non più rilevanti, presenti sul web. La sentenza ha trovato da subito applicazione in tutta Europa. Sulla scia del caso Gonzales, in Italia, il Garante della Privacy ha stabilito che, decorso un congruo periodo di tempo, non possano più costituire oggetto di indicizzazioni le informazioni relative a condanne e sanzioni.

Che cos’è la de-indicizzazione?
Le informazioni restano in internet ma vengono in qualche modo ‘nascoste’, registrate come ‘non importanti’ e quindi difficili da rintracciare da parte dell’utenza media. Chi sa fare ricerche avanzate sul web, però, può comunque accedere all’informazione originaria. Una precisazione: Google procede a de-indicizzare solo se il fattore temporale è più rilevante dell’interesse pubblico.

Perché si parla di de-indicizzazione e non di cancellazione?
La soppressione dei link dall’elenco-risultati potrebbe avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di internet potenzialmente interessati. Occorre, pertanto, la ricerca di un giusto equilibrio tra questo e il suo, contrapposto, interesse alla privacy che ha portato a preferire al ‘delete definitivo’ , una mera ‘de-indicizzazione’.

L’Unione Europea propone…
Viviane Reding, commissaria UE per la giustizia e i diritti, ha formulato una proposta di legge che deve trovare attuazione negli Stati Membri, entro il corrente anno, sulla «possibilità di chiedere che i dati personali siano cancellati o trasferiti altrove e non siano più processati laddove non siano più necessari in relazione alla finalità per cui erano stati raccolti». In altri termini, i fornitori di servizi on-line sono obbligati a passare dalla regola dell’opt-out, secondo cui i dati di ciascun utente appartengono al fornitore, alla regola dell’opt-in, in base alla quale i dati invece appartengono solo allo user, ovvero l’utente, che diventa quindi l’unico a potere decidere la divulgazione propri dati.

Com’è cambiato il modo di fare giornalismo dalla sentenza?
In molti son stati gli avvocati che si sono già appellati alla sentenza Europea per limitare la parola di alcuni giornalisti, inclusi quelli di IRPI diffidati dal pubblicare su qualsiasi fonte stampa, inclusa quella cartacea, un rilevante nominativo in nome del ‘diritto all’oblio’. Non sempre è facile capire quando debba prevalere il diritto di cronaca e quando, invece, il diritto del soggetto a pretendere che le proprie vicende personali non vengano pubblicamente rievocate a distanza di anni. Il rischio e’ che i giornalisti evitino, per evitare beghe legali, di nominare i soggetti che si appellano a questo diritto in anticipo, cadendo così in una sorta di ‘auto-censura preventiva’.

Quando, dunque, il diritto di cronaca può prevalere sul diritto all’oblio?
Se sussiste un interesse effettivo e attuale alla diffusione della notizia e cioè se ciò che è recentemente accaduto trova diretto collegamento con vicende passate e ne rinnova l’attualità prevarrà il diritto di cronaca e la tutela del pubblico interesse a essere informati. Se, invece, la notizia passata costituisce un collegamento improprio poichè non pertinente con l’attualità avviene la lesione del diritto alla riservatezza.

Come si possono cancellare i dati ‘fastidiosi’ dal web?
Per ora solo Google ha predisposto un modulo tramite cui potere indicare la notizia da rimuovere e il motivo.

Chi sceglie i criteri di valutazione?
I criteri sono quelli stabiliti da Google che deve bilanciare il diritto all’oblio e quello all’informazione. Dopo un anno di implementazione del ‘diritto all’oblio’, ci si continua a chiedere se il giudizio di prevalenza, tra i due diritti contrapposti, possa essere demandato al noto gestore web o se sia necessario che, ad individuare dei criteri imparziali di riferimento, sia invece l’Autorità Garante della Privacy.

Quante sono le richieste di oblio mandate dagli Stati Europei a Google in questo anno?
L’Italia non pare essere molto interessata alla reputazione digitale visto che le domande presentate sono state meno di 20mila. Negli altri Paesi europei spiccano i francesi con oltre 50mila richieste e i tedeschi con oltre 43mila richieste. Tra i siti più colpiti dall’oblio c’è Facebook con 6.805 link rimossi.

In conclusione, osserva ancora Jeff Jarvis, «se i contenuti bloccati in Europa resteranno accessibili nel resto del mondo, dove la Corte Europea non ha alcuna autorità le altre persone potranno accedere ai risultati delle ricerche… Questo non contribuirà a rendere più visibili le informazioni oscurate?»

 

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1