di Isidora Tesic
solo se pronunciate in lingue d’origine
Alunni del sole
Italiano
Lui ha gli occhi chiari, quanto la miseria. E la bocca vuota, quanto la sete. La Madre, quando riesce a parlare senza grida, lo dice angelo selvaggio, perché ha il volto bello ed il cuore amaro.
Seduto sul muretto, nell’arsura che lo inaridisce, aspetta. La Madre è andata al mercato, con il suo passo triste. Il Padre, lo sa, sarà seduto in qualche taverna. A bersi la morte a sorsi stretti.
Contro il cielo si asciuga la bianca e pulita resa quotidiana alla vita. Sotto, s’incagliano, grami, gli scheletri dei sogni di tutti. Perché nei vicoli di Napoli, ciascuno ha la sua croce. E se la porta, fosca, in petto. Nessuno la deve vedere. Che la felicità, Lui lo sa, nasce meglio nel dolore degli altri.
Sfugge il tempo, filato in funi sottili. Si accascia, tra le nuvole, il sole. E la Madre, ancora non viene. Lui sfrega dita e rabbia sulla calce ruvida. E sente sfuggirgli dalle tasche il peso, a poco prezzo, della sua giornata di lavoro.
Intanto, sotto il grumo del suo sguardo, passa la Vecchia, con la morte seduta sul collo, trascinandosi, a pena, la carne stanca. Torna dal mercato, con la cena che le sta in una mano. Ha gli occhi rauchi, senza indugi. E quando parla, dice solo maledizioni. Che poi, pensa Lui ridendole alle spalle, le si ritorcono contro.
Dopo la Vecchia, come in processione, se ne arriva Padre Antonio, l’anima nel breviario chiuso, il digiuno accanto al rosario. Non alza quasi mai lo sguardo, da quanta paura ha di Dio. E Dio lo segue ovunque.
Lui lo guarda passargli accanto. Padre Antonio gli segna una croce, come un saluto. E per un attimo si volge verso il cielo, la sua prossima dimora. Ma tra il colletto e il cielo, c’è la finestra di Maria. E la sua bocca, troppo viva. Così Padre Antonio si squarcia l’anima sui denti del suo sorriso e si allontana di fretta, trascinandosi vesti e pensieri impuri. E Lui, angelo selvaggio, ne ride, perché quello è un uomo a metà.
Ma intanto l’attesa lo ammala. Allora Lui si alza. Si guarda le mani. Hanno il colore dei mattoni e la pelle tutta rotta. Che a strofinare via le strade dalle scarpe degli altri, si finisce per strapparsi via pelle e illusioni.
Si china e raccoglie un ciottolo, grosso come il nodo che lo sveglia nella gola ogni mattina. Lo pesa. Lo stringe. Poi si volta verso il cane tutto infelice, che sta sempre all’inizio del vicolo. E lo getta, con una strana bile che lo preme. Che quel cane, l’ha visto, vive di carità. E ne vive un gran male. Ma non ha prezzo, la sua libertà.
Poi, sopra l’ombra vile del cane, ecco comparire la Madre, anche lei trascinando, a pena, un respiro rassegnato. La cena, in una sacca. Il Fratello, all’altra mano.
‘Onora il Padre e la Madre’ glielo ha insegnato la verga di Padre Antonio. Ha smesso di crederci però, quando ha visto che i lividi duravano poco. Così le va incontro e le prende la sacca. Ma non le domanda come sta. Che lo riconosce ormai, il suo sguardo e il suo veleno. Del Padre, invece, neppure gli importa. Lo sa che ha troppo fiele in corpo e che sputa l’anima per terra, ogni notte. Sa anche che spera in qualcuno che gli dia la grazia di liberarlo
da sé. Ma questo non accade mai. E il Padre torna, ogni mattina, il canto corroso di vino e il disprezzo dei vicini sulle scapole.
Entra in casa e posa la sacca sul tavolo. Poi prende la cassetta ed esce. ‘Non aspettarmi sveglia.’ dice solo. E chiude la porta sulla sua miseria.
Raccontano che gli alunni del sole si guadagnano un mestiere, nella strada. Non dicono, però, dei molti che non ritornano. E Lui sa che il sole lo vedono poco. Stanno spesso a testa china. Come Lui.
Per questo, uscito dai vicoli, camminando per strada, la gente lo scavalca. Dal basso, Lui vede solo gambe impazienti e tremiti di mani. Dall’alto, gli cadono voci svestite e risate comuni. Qualche volta vede, sul suo orizzonte, anche volti simili al suo. Ma sono sempre per mano a madri ben vestite. E hanno, al posto delle parole, un silenzio addomesticato. Tornano da scuola.
Tra i tumuli di persone e le grida, raggiunge finalmente piazza Carità. Cerca, con lo sguardo, il violinista che riceve soldi per non suonare. Che ha bisogno di dargli un poco di tormento, per alleggerirsi il rancore.
Ma nell’angolo, vede solo un sé tutto ombra e ossa. Gli occhi, due fosse. Sulle ginocchia, un intrico di corde. Davanti, una ciotola vuota. Si ferma. Sulla fronte un gran calore. E gli ultimi abbagli di un sole calante. La gente, attorno, non indugia. Quasi che solo lui veda quel volto racimolato in uno spazio largo un palmo di mano.
Il bambino lo guarda, infisso. Poi porta le dita alle corde. E nel rumore crudo, inizia a cantare.
La voce gli si nasconde nel sangue. Buia, come la rovina. Un lungo lamento che gli conta i respiri. Vecchia, come la tristezza. Canta il bambino, un silenzio di annegato. E racconta di tombe, scavate nel sale. Di un gelo coi denti. E di mani di acqua morta. Lui sente il corpo farsi lieve. E tutto un cielo rovente, chiuso, sotto la pelle, all’altezza del cuore. Sul fondale dei suoi occhi, raschiati alle lacrime, s’assottiglia piano, per la prima volta, un rivolo di pena.
Accanto a Lui, intanto, si ferma una ragazza. Tersa e bella, le mani indocili, le labbra arrese. Sta, anche lei sconfitta, davanti al dolore. Per un attimo solo, scosta lo sguardo. E Lui vi legge, muta, una preghiera. Poi, come è iniziato, il canto si lacera. E svaniscono, tra i flutti, i morti non salvati.
Allora Lui si avvicina. ‘Perché?’ gli domanda, la bocca aspra. Il bambino lo guarda, gli occhi anneriti. ‘Il mare, la morte, il sole.’ risponde. Si alza, gli volge la schiena e se ne va. Lui rimane. Nello sguardo, sepolte, le piccole spalle ossute del piccolo cantore, che in un angolo di mondo ha cantato una piccola morte. In strada siamo tutti uguali, sotto il sole, tutti uguali. Pensa.
Accanto gli passa una madre. ‘Che hai imparato oggi a scuola?’ la sente dire al figlio, pallido come spirito. Il sole, pensa, quello, l’ha visto solo alle grate. La risposta si perde nello stridore degli uomini.
Lui invece tiene i pugni stretti sul fondo delle tasche buche. E buco ha anche il centro del cuore. Ma non sa con cosa ricucirlo. ‘Che hai imparato oggi?’ gli domanda in eco la voce della Madre, quella d’un tempo.
‘La pietà’ risponde a stento, ‘Il sole m’ha insegnato la pietà’.
E il buco si mangia tutto quel che rimane, sotto le costole. Che la pietà, ora lo sa, è come la fame. Inguaribile.
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