di Gabriella Ballarini, da Panciu, Romania
Seduta a terra, al centro educativo Pinocchio, cittadina di Panciu (Romania), dopo cinque giorni di pensieri e di strade deserte, mi fermo ad ascoltare. A Panciu puoi sentire pochi rumori, ma chiari, si sente l’andare degli zoccoli del cavallo sull’asfalto, si intuisce l’auto che sfreccia nella strada vicina, che proprio ieri hanno dipinto a terra la riga di mezzeria e così noi ci possiamo camminare sopra e giocare a stare in equilibrio. Si sente la voce di Vasile che parla con suo figlio e gli uccellini che si preparano alla pioggia e chissà, si stanno mettendo d’accordo sul prossimo viaggio da affrontare. Io, la Romania, non me la immaginavo, e adesso so perché.
La Romania, qui a Panciu, me l’hanno portata a tavola le donne che lavorano al centro, con il pane dolce e l’uvetta, impastato la mattina presto, che lievita e poi cuoce lentamente e sopra c’è quella crosta croccante, che ti viene voglia di farti abbracciare dalla cuoca per vedere se tra le mani ha ancora quell’odore di zucchero e latte e uova e farina. C’era anche la Turchia, a tavola, con la carne avvolta nella vite, che poi ci metti il formaggio e la polenta, che in un attimo non sai più dove sei. La Romania, qui a Panciu, me l’hanno detta le ore di formazione fatte, con le educatrici, con le persone che ogni giorno lavorano in questo progetto nato per i Rom, pensato dai Rom, perché non ci fosse più bisogno di scappare dal proprio essere Rom.
Sono state ore infinite, in cui abbiamo tracciato strade, alberi e confini, per ritrovare il filo, per guardarsi negli occhi, per parlare tutte le lingue del mondo, per capire il senso e la direzione. Parole come sassi, sassi che diventano palloncini e i fili, ancora, che servono a non farli volare via.
Non si capisce cosa sto dicendo? Può essere. A volte le parole non dicono per dire di più, a volte basta un taglio di capelli nuovo per avere meno pidocchi. La Romania, nella città di Panciu, me la urlano i bambini che arrivano dalla valle per passare il pomeriggio qui, perché qualcuno si prenda cura di loro, perché a volte basta anche solo essere chiamati per nome, per esistere, per trovare un motivo per uscire dalla valle Brazi. Io, in valle, però, non ci posso andare: “mica vogliamo trasformarla in uno zoo?!” mi dicono le educatrici. “Mica siamo qui per farci guardare da voi!” continuano a ripetermi.
“Cosa pensate voi stranieri? Cosa siamo noi per voi?”. Mentre me lo dice mi guarda dritto negli occhi, Monica, me lo dice e me lo ripete. Monica ha gli occhi verdi e dopo quattro giorni mi ha detto “Grazie per essere venuta qui”.
Monica il primo giorno mi ha detto che a lei non gliene frega niente di noi, che tanto noi poi ce ne andiamo e qui chi ci rimane? Abbiamo bevuto un caffè insieme io e Monica oggi e lei, ad un certo punto, mi ha sorriso. Il secondo giorno, Monica, mi ha detto che ha già tanti problemi lei, che mica può stare dietro agli stranieri che vengono qui e vogliono conoscere, vogliono imparare. Adesso che tutti sono dentro ed io sono qui fuori seduta, attendo Monica, per darle un ultimo abbraccio prima di andare a preparare lo zaino.
La Romania, non te la può raccontare nessuno, non è un luogo mitologico, è fatta di tetti e di case e qui, d’inverno, la neve ti alza i muri e devi conquistarti il pane.
La sera, a Panciu, si sentono solo i rumori delle zampette dei cani che passeggiano per la via principale e la primavera che spunta dagli alberi è il segno certo che qualcosa può fiorire. I bambini del centro, lottano ogni giorno per essere bambini, perché a volte sarebbe fin troppo facile dimenticarlo, farsi risucchiare da una valle o da una stanza che diventa una casa o da te che mi chiami Rom ed io voltandomi posso solo aggiungere “…e sono Jimmi”.
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