di Francesca Tomasso
Un uomo di scienza, ma soprattutto un uomo di concretezza e umanismo, il professor Chafik Chraïbi. Lo incontro nel suo ex-ufficio nel reparto di maternità dell’ospedale degli Orangers, a Rabat. Ha voglia di parlare il professore, classe ’56, una carriera brillante come medico ginecologo-ostetrico, ma forse è per il suo impegno nel sociale che verrà ricordato. Nominato uomo dell’anno sia dall’Huffington Post che da Jeune Afrique nel 2014, nonché tra i 20 uomini che faranno il Marocco, nel 2008 ha fondato l’Associazione Marocchina per la Lotta contro l’Aborto Clandestino. Ad oggi attende di essere reinserito nell’organico dell’ospedale dopo essere stato sospeso per le sue dichiarazioni sugli aborti clandestini nel corso di un reportage per il canale francese France 2.
Dove è nato il suo interesse per la difesa di una causa come quella della lotta contro l’aborto clandestino?
Lavoro all’ospedale ormai da 30 anni e da sempre, da quando ero un giovane medico, vedo arrivare praticamente tutti i giorni delle donne con complicazioni legate a un aborto clandestino. Sia che l’aborto sia stato fatto da un medico, sia che sia stato fatto con metodi tradizionali. Ero anche molto toccato dal numero di neonati abbandonati, o da altre notizie che leggevo sui giornali, dai suicidi, dai neonati lasciati in strada o uccisi. Mi sono detto che non si può far finta di non vedere tutto questo, è un problema grave. Ho cominciato a reagire a tutto questo quando ero giovane, con il mio superiore, il primario del reparto, e con la direzione della prefettura medica.
Da qui quindi l’idea di fondare un’associazione?
Sì, niente veniva fatto e allora ho deciso di fondare un’associazione. Si chiama AMLAC (Association Marocaine pour la Lutte Contre l’Avortement Clandestin n.d.r.). Era il 2008 e mi sono detto «ora inizio a parlarne non come medico, ma come militante di associazione, sarò ascoltato di più dai giornali, dai media». Mi sono rivoltato contro delle situazioni che si vedono tutti i giorni e sulle quali chiudiamo gli occhi. Detesto le cose nascoste, detesto l’opacità e amo la trasparenza. Viviamo un problema, bisogna risolverlo. Non è un problema solo del Marocco, è un problema che esiste in tutte le società del mondo. Alcune società hanno risolto il problema legalizzando l’aborto e non perché in quelle società sono dei pazzi, non è perché sono senza etica, senza religione o senza deontologia. Le società dove l’aborto è stato legalizzato hanno tutto ciò, ma hanno anche capito che c’è un problema e che bisogna risolverlo. Ed è a questo punto che mi sono detto che bisogna militare in questa direzione per arrivare a risolverlo.
Lei dice: c’è un problema. Di che dati stiamo parlando? Quanto è vasto questo “problema”?
In uno studio non ufficiale abbiamo stimato che ci sono 600, forse 800 aborti al giorno, ma non possiamo avere cifre esatte. Credo sia una grossa ipocrisia. Io non chiedo una liberalizzazione totale dell’aborto perché la società marocchina non sarebbe pronta, sarebbe già molto se si arrivasse a legalizzare in alcune situazioni. Quello che io chiedo è la salute della donna, non voglio vedere donne morire per le complicazioni legate a un aborto clandestino, non voglio vedere donne uccise per i crimini d’onore, non voglio vedere donne morte suicide, non voglio vedere medici andare in prigione perché praticavano aborti clandestinamente e non voglio vedere neonati abbandonati o uccisi, o che vivono in strada, ecco quello che non voglio. Ed è per questo che mi sono detto che bisogna assolutamente agire.
Ascoltando quello che dice mi sorgono due domande. La prima è in relazione alla sua associazione, che nel nome e nello scopo ha le parole “lotta contro l’aborto clandestino” e non, per esempio, “per la legalizzazione dell’aborto”. Questa del nome è stata una scelta politica?
Se avessi scelto «per la legalizzazione dell’aborto», nel 2008, tutti si sarebbero alzati e avrebbero detto «cos’è questo?». Lottare contro l’aborto clandestino significa legalizzarlo. Avrei anche potuto chiamarla “associazione per lotta contro l’aborto a rischio” ma ho pensato che mettere “contro l’aborto clandestino” sia meglio perché tutti gli aborti sono clandestini, e tutto quello che è clandestino è a rischio, e tutto quello che è clandestino ha delle conseguenze. Cosa vuol dire clandestino? Innanzitutto vuol dire che non sarà eseguito in buone condizioni sanitarie, che sarà eseguito di nascosto. In seconda analisi, vuol dire che porterà delle complicazioni e infine vuol dire che sarà costoso, tutto quello che è clandestino costa molto. Non ci sono che ricadute negative. Quando una donna, una giovane donna decide che non vuole tenere una gravidanza, non la terrà. Si è provato a dirle “non abortire” ma lo farà comunque, se è una sua decisione in qualche maniera lo farà.
La seconda domanda che mi sorge è che durante il dibattito pubblico sulla questione non c’era nessuno o quasi nessuno che auspicava la legalizzazione dell’aborto in virtù del diritto della donna di scegliere, di gestire il proprio corpo, di scegliere se avere una gravidanza o no. Che cosa pensa di queste posizioni?
Queste posizioni sono un diritto. Alcuni dicono «sì, è un diritto della donna, se è lei che ha una gravidanza e vuole abortire, perché deve essere una terza persona che le dice se abortire o no?». Ma la società marocchina non è pronta a queste posizioni e io non voglio provocare la società. Forse tra 20 anni la società sarà diversa, la mentalità sarà diversa. La mentalità è già cambiata negli ultimi 10 anni: quando parlavo di aborto 10 anni fa, tutti mi dicevano “ooh ma non è possibile!”; oggi è accettato parlarne.
C’è stato un grande dibattito, c’è stata una riforma del codice penale e ora l’aborto vuole essere depenalizzato secondo alcune condizioni, e cioè in caso di stupro, di incesto, di malformazioni fetali, in aggiunta a quello che prevedeva già la legge, cioè al grave rischio di salute per la madre. Questa risposta che lo stato ha dato la soddisfa?
No, ma va bene. Non è sufficiente, ma ho speranza. Una legge già esiste, la 453 del codice penale, che dà diritto all’aborto quando la vita o la salute della madre sono a rischio, e ritorneremo sulla parola “salute”. Questa legge regola appena il 10% delle situazioni reali. Ora, dopo questo grande dibattito, dopo che il re in persona ha preso in mano il dossier, l’aborto è autorizzato in tre altre situazioni: lo stupro, incesto e malformazione fetale. Se ci teniamo fedeli a queste tre indicazioni aggiuntive, il problema non è affatto risolto. Con queste tre indicazioni copriamo un altro 10% dei casi che aggiunti al 10% di prima, fanno il 20% dei casi legalizzati. Rimane l’80% dei casi che ricorreranno ancora all’aborto clandestino e il problema sarà ancora là, intero. Allora dov’è che risiede la mia speranza? Risiede nella possibilità di allargare queste tre indicazioni, per esempio una minore di 12 o 13 anni che ha una gravidanza potrebbe rientrare nella categoria dello stupro. Ed ecco che torniamo alla parola “salute”, la cosa più importante e la cosa che vogliamo da sempre: prendere come parametro la salute nella definizione che ne dà l’Organizzazione Mondiale della Sanità, vale a dire la salute fisica, psichica e sociale della persona. Se teniamo conto di questa definizione avremo vinto la battaglia. Le religioni non possono dire nulla, nessuno può dire nulla perché si parla della salute. Le autorità religiose dicono “noi ci posizioniamo dietro la scienza, se la scienza dice che c’è un pericolo per la salute, noi non abbiamo nient’altro da dire”. Quando una donna andrà da un religioso per chiedergli se deve fare o no il digiuno per il Ramadan, il religioso dirà “signora, non sono io che devo dirle questo, è il suo medico.”. Quindi quello in cui spero è l’allargamento del significato della parola “salute” e della parola “stupro” e così avremo vinto la battaglia: sarà una buona legge, anche per le generazioni a venire.
Nel caso in cui l’ampliamento dei termini venisse approvato, o in qualche modo reso possibile, e quindi per esempio sia il termine salute che il termine stupro venissero interpretati nell’accezione estensiva, chi è che dovrà provare che c’è stato effettivamente uno stupro e come si farà ad evitare che provarlo richieda mesi (e che quindi sia poi troppo tardi per un’eventuale interruzione di gravidanza)?
Spiegherò tutto nel rapporto che dovrò inviare a breve al ministro della salute: è necessario che, nel caso in cui una donna abbia subito uno stupro, questa non si presenti al commissariato, né alle autorità di polizia, ma all’ospedale. Un medico dovrà attestare che c’è stata violenza e agire rapidamente, ma l’indagine penale sarà fatta a posteriori. Se la persona avesse mentito, sarà perseguibile; se non ha mentito, sarà il responsabile della violenza ad essere perseguito. Ma l’importante sarà il criterio d’urgenza, perché se dovessimo attendere che la donna deponga una denuncia alla polizia (consideriamo che è in stato di choc), poi attendere che la polizia accetti la sua denuncia – perché potrebbero benissimo dirle “no, guardi, è la sua maniera di essere vestita, lei fa la prostituta, etc ..” – poi attendere che la denuncia sia accettata dal procuratore, e solo in seguito all’ospedale, non sarebbe possibile fare nulla.
Ha pensato all’obiezione di coscienza?
Abbiamo pensato anche all’obiezione di coscienza. Se il medico non vuole effettuare l’aborto, deve riferire il caso a un collega che non sia obiettore. È necessaria una sensibilizzazione e una formazione per i medici. Non solo per i ginecologi, ma anche dei medici generici sull’aborto medicalmente assistito. Oggi l’80% dei paesi non effettuano più l’aborto con l’aspirazione, ma attraverso la pillola abortiva. Bisogna che il Marocco la introduca e che lo faccia in fretta. Bisogna anche agire sulla prevenzione, sulla diffusione dei metodi contraccettivi, sull’introduzione negli ospitali della pillola del giorno dopo che ancora non è disponibile, bisogna che il ministero dell’educazione investa sull’educazione sessuale nelle scuole, nei licei. La prevenzione è importante.
Dopo il reportage di France2 lei ha anche perso il suo lavoro per un periodo…
Non per un periodo, ad oggi non sono stato reinserito.
Non è stato ancora reinserito?
No, anche se tutti pensano il contrario.
La stampa ha dato la notizia del suo reinserimento…
Sì, ma se lei va su Facebook, ci sono degli articoli che dicono che il Professor Chraïbi non ha ripreso il suo posto e se non verrà reinserito nei prossimi 15 giorni, darà le dimissioni.
Allora visto tutto quello che è successo, rifarebbe la stessa cosa, rilascerebbe la stessa intervista, le stesse riprese in ospedale?
Non faccio fare più riprese in ospedale, faccio fare riprese a casa mia. Ho anche cambiato l’indirizzo dell’associazione che non ha più sede alla maternità des Orangers, ma altrove. Il ministro mi ha detto più volte che sarò reinserito, ma non è ancora stato fatto. Aspetto ancora un po’, se sarò reinserito, bene. Altrimenti non è un problema, me ne vado.
Lavorerà nel privato?
Sì.
Torniamo un po’ indietro. C’è stato anche un reportage sullo stesso tema nel 2010, mandato in onda da una trasmissione marocchina ma che non scatenò altrettante polemiche. Lei pensa che la differenza di reazioni sia dovuta al fatto che tra il 2010 e il 2014 ci sono state le primavere arabe, c’è stato il movimento 20 febbraio, che sia cambiato il rapporto tra stato e cittadini?
Non c’è stato solo un reportage nel 2010, ne abbiamo fatti decine e decine sia per la televisione marocchina che per delle televisioni straniere. Se ne è occupata France 24 diverse volte, France 2, Télé 5, mai c’erano state tante polemiche. Non so perché questa trasmissione abbia avuto tanta eco, forse perché è una trasmissione importante, forse perché è seguita un po’ da tutti. Il mio scopo non era quello di mostrare una cattiva immagine del Marocco, né dell’ospedale. Il mio scopo era quello di far vedere una realtà che tutti devono conoscere. Ma forse quello che è stato più importante è la società civile e i social network. Dopo il reportage sono stato sollevato dalle mie funzioni, tutti si sono sollevati perché trovavano fosse un’ingiustizia, tutti avevano capito che il mio interesse è la salute della donna e del bambino. In due settimane avevo raccolto 25.000 adesioni (sulla pagina Facebook, n.d.r.), tutti i giornali ne parlavano e tutti ne scrivevano sui media sociali. Anche Sua Maestà era al corrente di questa storia e ha dovuto prendere la situazione in mano. Quindi il nuovo modo di governare non viene più dal legislatore, viene dalla strada. Quando la strada si solleva, si è obbligati ad agire. Come è stato per l’articolo 475 del codice penale, sul matrimonio tra il violentatore e la vittima (abrogato nel 2014, prevedeva la non perseguibilità del violentatore se si ricorreva al matrimonio, o solo dopo l’annullazione dello stesso n.d.r.), è stata la società civile a volere il cambiamento. Il re ha sempre capito che bisogna agire in fretta, come quando ci furono le proteste, ha cambiato immediatamente la costituzione. Nel caso del dibattito sull’aborto, c’era una specie di effervescenza sui social network; il re ha preso la questione nelle sue mani e questo ha calmato gli animi. Trovo che sia stato molto intelligente.
Già nel reportage del 2010 si vedono i deputati del PAM (Parti Authenticité et Modernité) e del PJD (Parti de Justice et Dévelopement) che parlano di un progetto di legge esattamente come quello che c’è ora…
Sì, nel reportage si dice «i giorni a venire saranno decisivi».
Quindi ci voleva la società civile, è questo che dice?
Sì, ci voleva la società civile e ci voleva che il ministro prendesse in carica la cosa. C’è una trasmissione che avevo fatto con il ministro della sanità nel 2012, era appena stato eletto, dove dice “sì, mi occuperò del problema dell’aborto”. Ma dal 2012 al 2015 non è successo niente. Ma ora le cose sono evolute in modo straordinario.
Che cosa risponde a quelli che affermano che se l’aborto venisse legalizzato, andrebbe ad incoraggiare il sesso fuori dal matrimonio?
Innanzitutto non si può negare che esiste il sesso fuori dal matrimonio. Siamo in una società aperta e il sesso fuori dal matrimonio esiste ovunque nel mondo. Vero, bisogna agire per cercare di prevenire il fenomeno, ma in ogni caso continuerà ad esistere. Ci tengo a dire che non è legalizzando che aumenterà, ma è educando che diminuirà. Non è certo perché esiste un medicinale contro una malattia che si sceglie di ammalarsi, non è certo perché esiste il Doliprane che le persone si mettono davanti la finestra aperta in inverno per prendere un’influenza. È il contrario, cioè in caso prendessi freddo e mi venisse l’influenza, prenderò una medicina, così come nel caso in cui avessi una gravidanza indesiderata, invece di andare verso la clandestinità ed esporre la mia vita e la mia salute al pericolo, potrò fare una scelta nelle buone condizioni mediche.
C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?
Sì. Attraverso l’azione che sto portando avanti, non si deve credere che io stia ricercando la dissolutezza o il libertinaggio, lontano da tutto ciò. Io sono contrario all’aborto a rischio, o anche detto clandestino. Sono per un aborto senza rischi, che sia fatto nelle migliori condizioni sanitarie e che sia legale. Se è una cosa legale, non ci sono che ricadute positive: si riducono i rischi per la salute e si diventa trasparenti verso il mondo. Un paese deve dimostrare la propria credibilità, non si può dire “quel paese è credibile” quando dice “qui non ci sono aborti” e poi ce ne sono centinaia al giorno. La credibilità è una cosa importante. Senza contare la riduzione della mortalità materna e neonatale e la riduzione dei costi per la sanità pubblica, perché le complicazioni a seguito di un aborto clandestino hanno un prezzo per la sanità.
Un’ultima domanda. Lei si definisce femminista?
Assolutamente, al 1000 per mille. Al 1000 per mille sono femminista e al 1000 per mille ho sempre militato per i diritti della donna, perché credo che siamo in un paese dove la donna non abbia i suoi diritti garantiti. Siamo un paese musulmano che tiene all’islam, che tiene alla religione e tutto quello che è nella sfera della religione è classificato come “da non toccare”. Prenda l’esempio dell’eredità: la donna eredita la metà dell’uomo, questo è quello che è scritto nel Corano e non c’è niente da fare. Ma io milito perché la donna abbia il diritto all’eredità, perché per esempio nelle zone rurali del paese la donna non prende nemmeno la metà: quando il padre muore i fratelli si dividono l’eredità e a lei non tocca niente. Sono sempre stato definito un femminista, e infatti lo sono. Non è per caso che ho preso una specializzazione in ginecologia ed ostetricia, non è per caso che la stragrande maggioranza delle mie amicizie siano donne e non è per caso che mi batto contro gli aborti clandestini. Spero che alla fine avrò fatto qualcosa per le donne.
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