Dragonomics – Sicurezza totale

Resa nota la bozza della nuova legge di sicurezza nazionale: vi rientra un po’ tutto. Il Partito vuole più presa sulla società, sull’economia, sulla Rete e fa dipendere la tranquillità interna della Cina anche da fattori che travalicano i confini. Lo stile del testo è basato sull’indeterminatezza delle fattispecie. Vince la tradizione: pragmatismo e controllo.

di Gabriele Battaglia
tratto da ChinaFiles
Nel pentolone della sicurezza nazionale cinese ci sta un po’ tutto. E visto che tutto è materia di sicurezza, il Partito può intervenire su tutto. È questa la prima interpretazione che suggerisce la seconda bozza di legge sulla sicurezza nazionale – la prima a essere diffusa – discussa dal comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo a metà aprile e rilasciata ai media il 7 maggio. Se ne parlava da mesi. Ora, per la prima volta, si ha una chiara idea di cosa intenda Pechino per “sicurezza nazionale”.

Il termine ingloba la politica, la finanza, il settore militare, la rete, l’ambiente, la cultura, l’ideologia e la religione: un amplissimo spettro di settori che da un lato rivela l’esigenza cinese di espandere il concetto di fronte alla complessità del mondo contemporaneo, ma dall’altro suscita preoccupazioni per le possibili limitazioni delle libertà. Era stato del resto lo stesso presidente Xi Jinping a ricordare più volte che la sicurezza nazionale deve essere globale e comprendere tutti gli ambiti sopra menzionati. Li Wei, direttore del centro di ricerca anti-terrorismo presso l’Istituto Cinese di relazioni internazionali, dice ora al South China Morning Post che il progetto intende soddisfare il nuovo approccio di Xi: l’apparato di sicurezza della Cina deve adattarsi a condizioni che, sia in patria sia all’estero, sono in continua mutazione. Ci vuole sì il diritto, insomma, ma bisogna pure garantirsi mano libera.

Una delle novità sembrerebbe dunque essere l’ampliamento del concetto alla sfera internazionale. Pechino sembra far dipendere sempre più la propria sicurezza interna da circostanze che travalicano i confini: “Il mantenimento della sicurezza nazionale […] deve attivamente perseguire lo sviluppo di scambi e la cooperazione con i governi stranieri e le organizzazioni internazionali”, si legge. La mente corre sia alle collaborazioni internazionali per rimpatriare i cinesi corrotti fuggiti all’estero (l’operazione “caccia alla volpe”) sia ai pattugliamenti navali lontano dai mari di casa per proteggere le rotte lungo cui scorrono i rifornimenti energetici.

La legge enfatizza il ruolo del Partito, che centralizzerà la funzioni securitarie, ponendosi così al di sopra dello Stato. L’obiettivo è “un sistema di gestione della sicurezza nazionale centralizzato, efficiente e autorevole”, si legge. In Cina, a ogni livello del sistema politico, esistono parallele istituzioni del Partito comunista e dello Stato. Di solito, le prime sovrintendono e “guidano” le seconde, chiamate perlopiù a ratificare o ad applicare decisioni prese all’interno del PCC, la cui stanza dei bottoni è il Comitato Permanente del Politburo. Il quale, a sua volta, è composto da sette membri alla cui testa c’è il presidente-segretario Xi Jinping (la cui doppia carica sintetizza l’osmosi Partito-Stato).

Se il Partito accentra le funzioni di sicurezza, la legge non nomina però esplicitamente la apposita Commissione di Sicurezza Nazionale presieduta dallo stesso Xi Jinping, il che lascia supporre che si deciderà di volta in volta, caso per caso, quali istituzioni gestiranno la materia. Anche qui, compare una caratteristica storica del sistema cinese, cioè quell’indeterminatezza che consente di agire pragmaticamente, fornendo il sistema della necessaria flessibilità.

Di fronte a tutta questa discrezionalità lasciata al sistema – vaghezza e ampiezza dei confini assegnati alla “sicurezza” – è chiaro che l’individuo si trova smarrito. Sa che più o meno in tutti gli ambiti economico-sociali si rischia di attentare alla sicurezza nazionale; ma non comprende fin dove può osare.
William Nee, ricercatore di Amnesty International per la Cina, ha detto che la prassi internazionale nella stesura delle leggi di sicurezza nazionale è di definire “strettamente” e “con precisione” specifiche minacce. Ma la bozza cinese include parecchi concetti problematici che di solito hanno poco a che fare con la materia, come il mantenimento della “sovranità su internet” tramite censura, la promozione dei “fondamentali valori socialisti”, la difesa contro la cultura “insana” e i limiti alla libertà di religione. Tutto ciò che, di volta in volta e a discrezione (arbitrio?) delle autorità giudiziarie, può minacciare la leadership di quell’imperatore collettivo che è il Partito. In questo senso, la legge offre anche un’idea più generale di cosa si intenda per “Stato di diritto” secondo caratteristiche cinesi: la priorità non è la tutela dell’individuo, ma la conservazione dell’armonia all’interno dello Stato. Contro la costante minaccia di un supposto “disordine”.

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