di Christian Elia
“Ho bisogno di te. La nave? Vuoi scherzare? Prendi l’ aereo, non avrai mica paura?”.
No, Marcel non ha mai avuto paura. La sua Edith lo sa, lo prende in giro, lo provoca in un tenero gioco d’amanti, offre le sue fragilità alla generosa protezione di Marcel.
Un telegramma decide la vita di uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. Marcel Cerdan si trova a Parigi, dove prepara la rivincita con Jack La Motta. Ha perso la prima volta contro quel Toro Scatenato di un italiano immigrato negli Usa. La tecnica sopraffina del francese, che gli ha permesso di affrontare e battere pugili ben più potenti di lui, non è bastata. Ma un grande tattico come Marcel studia la rivincita nei dettagli.
Solo che a New York c’è Edith, Edith Piaf, il grande amore della sua vita. La donna per la quale ha lasciato sua moglie e i tre figli.
Edith, impegnata da un mese al Versailles, si sente sola nel suo appartamento al 136 East Lexington 77th Street. Troppo sola, troppo fragile. Ha fretta di riavere vicino il suo Marcel. E Marcel parte, nonostante la rabbia del suo entourage, che non riteneva assolutamente necessario quel viaggio. Anzi. Erano ben contenti che si preparasse lontano da un’amante inquieta come Edith.
Ma Marcel, nonostante la rivincita al Madison Square Garden con LaMotta sia stata rimandata di tre mesi, decide di andare. Il tempo di comprare il 78 giri The Riders in the Sky e di scambiare i suoi biglietti di transatlantico, tre cabine sull’ “Ile de France”, con quelli di un Constellation, il quadrimotore che in 17 ore e due scali tecnici, attraversava l’ Atlantico.
La notte del 27 ottobre del 1949, il Constellation sul quale Marcel aveva trovato posto grazie alla defezione all’ultimo minuto di due ciclisti italiani, si perse nel cielo. L’aereo toccò Picco Redonta, spigoloso sperone di roccia nel cuore dell’Atlantico, alle isole Azzorre. Mancavano cinque minuti all’atterraggio dello scalo. Solo cinque minuti. Come quando un pugile è esausto, aspetta il gong del round come una liberazione, ma prende un colpo sul finire delle ripresa e va ko. L’aereo andò in frantumi. Portandosi via per sempre il talento e la fretta di Marcel.
Perché la sua, a soli 33 anni, era stata una carriera lenta. Di quelle che il talento lo vedi subito, ma la vita è difficile, soprattutto se sei nato a Sidi Bel Abbes, nel profondo Marocco, nel 1916, da genitori coloni francesi. E poi, nel 1922, tutti in Algeria, quell’Algeria che gli resterà sempre nel cuore. Una serie impressionante di vittorie, segnate sempre da una tecnica che affascinava avversari e tifosi. Ma partendo dalle periferie coloniche della Francia, la strada per la gloria è più lunga.
Anche Edith ha fretta. Perché è una stella di fama mondiale, una delle cantanti più amate, ma la vita ha sorriso tardi. E tutti i soldi e gli applausi del mondo, non compensano una vita dura dal punto di vista degli affetti. Un po’ un pugile anche lei, che magar vince, ma gli vedi i segni del combattimento sugli occhi. Nata per strada a Belleville, cantando da bambina per l’elemosina della quale viveva suo padre, e l’alcool, le malattie, gli uomini che ti spezzano il cuore.
Avevano fretta Marcel ed Edith, di essere felici, di stare assieme. Troppa fretta, forse, oppure era solo il destino, che picchia sempre gli stessi. Edith si sentì in colpa per il resto dei suoi giorni per la morte di Marcel, per cui scrisse la struggente Hymne à l’amour. Se muori lontano da me, poco mi importa se mi ami, perché anche io morirei, avremo per noi l’eternità, nel blu di tutta l’immensità. Nel cielo non avremo più problemi, amore, riesci a credere che ci amiamo l’un l’altro? Dio riunisce coloro che si amano l’un l’altro, dice la canzone. Che il cielo l’abbia ascoltata.