Un regime di assassini con il passaporto diplomatico

Bisogna rompere le relazioni diplomatiche con l’Eritrea

di Raffaele Masto

Ora l’Europa, e l’Italia in primo luogo, non hanno più scuse. Bisogna rompere le relazioni diplomatiche con l’Eritrea, varare sanzioni contro quel regime, considerare persone indesiderate nel nostro paese il presidente e tutto il suo entourage, bloccare i loro conti nelle nostre banche, concedere d’ufficio l’asilo politico agli eritrei che fuggono da quel paese.

Ora c’è una commissione d’inchiesta dell’Onu che accusa l’Eritrea, il suo presidente e i suoi generali di crimini contro l’umanità. La commissione d’inchiesta ha prodotto un rapporto di quasi cinquecento pagine dopo un anno di indagini e la raccolta di centinaia di prove e testimonianze e la conclusione è che ci sono sistematiche, diffuse, e palesi violazioni dei diritti umani. Si parla di massacri, diffuso ricorso alla tortura, riduzione in schiavitù sessuale e lavori forzati.

I realisti della politica diranno che le misure drastiche richieste in apertura di questo articolo rischiano di rivelarsi un boomerang e colpire gli stessi cittadini eritrei.

Rispondo che il popolo eritreo è già alla fame, che il regime usa il desiderio di fuga dei giovani per arricchirsi: se paghi puoi fuggire dal paese e vieni consegnato a bande di trafficanti che fanno buoni affari con generali e politici del regime che ricevono denari anche da chi prende in carico i fuggiaschi. In Eritrea non ci sono più scuole, se non quelle primarie che funzionano, che funzionano con insegnanti non pagati, e non c’è sanità, medicine, assistenza di nessun tipo.

Il regime che compie tutti questi misfatti in compenso si mantiene grazie anche al riconoscimento diplomatico. Il giorno della strage di Lampedusa, aprile 2013, l’Italia è riuscita ad invitare l’ambasciatore eritreo ai funerali dei circa trecento eritrei annegati il quale ha mostrato il suo volto afflitto alle telecamere. Quell’ambasciatore avremmo dovuto chiamarlo alla Farnesina è chiedergli spiegazioni della fuga in massa dal suo paese invece di offrirgli un palcoscenico. Avremmo dovuto comunicargli che il comportamento del suo governo produce danni al nostro paese, oltre che naturalmente al suo popolo.

Bene. Grazie all’Onu ora non abbiamo più scuse. Speriamo.