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Parlamento europeo e diritti civili: famiglie omosessuali e omogenitoriali

di Flavia Zarba, tratto da IRPI

Dopo aver definito, solo qualche mese fa, il matrimonio tra persone dello stesso sesso come “diritto umano”, il Parlamento europeo torna a pronunciarsi sulla famiglia gay. A fare chiarezza questa volta è l’approvazione, a larga maggioranza in Europa, della relazione sull’uguaglianza di genere. Una presa di coscienza ‘dell’evolversi della definizione di famiglia’ che in Italia continua ad essere un tabù. Facciamo chiarezza sulla situazione italiana.

Che cos’è la famiglia di fatto?

Per famiglia di fatto si intende un’unione stabile che comprende la comunione materiale e spirituale tra due persone, non fondata su un vincolo giuridico, ovvero non legata attraverso l’istituto del matrimonio. Le unioni di fatto non sono riconosciute dall’ordinamento giuridico italiano che fornisce tutela solo alla famiglia fondata sul matrimonio.

La famiglia di fatto quindi non è tutelata?

Non esattamente. Nonostante manchi infatti l’atto formale (il matrimonio) con cui poter qualificare giuridicamente il rapporto, la famiglia di fatto viene ricompresa in quelle “formazioni sociali” tutelate dall’art. 2 della Costituzione “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Pertanto, pur non esistendo un regime giuridico unitario esistono i ‘negozi giuridici’, strumenti di regolamentazione dei rapporti tra privati con i quali si disciplinano, di volta in volta, alcuni aspetti della convivenza dandole rilevanza giuridica.

Si può parlare di famiglia di fatto con riferimento a persone dello stesso sesso che convivono?

No. Una delle condizioni affinchè si possa parlare, in Italia, di ‘famiglia di fatto’ oltre alla mancanza di un matrimonio e alla coabitazione è proprio la diversità di sesso dei membri della coppia.

“E il principio di uguaglianza?” replicherà qualcuno, “Pare passare in secondo piano” gli risponderà qualcun altro perchè che il nostro Stato non tiene conto di quanto affermato dal Parlamento Europeo che, ribadendo il principio di non discriminazione, ha accettato la definizione “allargata” di famiglia.

Che cosa sono i Pacs?

La parola ‘Pacs’ nasce in Francia, dopo anni di battaglie e polemiche, e definisce il ‘patto civile di solidarietà’ inteso come contratto tra due persone maggiorenni di sesso diverso o dello stesso sesso che vogliono organizzare la comunanza di vita. Un contratto che, analogamente al matrimonio, è registrato al tribunale del luogo di residenza comune e suggella regole di convivenza per definirne una certa stabilità, anche al di fuori del matrimonio.

La legge che non c’è

Purtroppo in Italia ‘il patto civile di solidarietà’ non esiste e pertanto le unioni di fatto tra persone dello stesso sesso non possono avere tutela legale. Negli anni non sono mancate le formulazioni legislative volte ad introdurre in Italia i ‘pacs’ proposte che non hanno mai trovato la loro cristallizzazione in una legge. Ciononostante è stata recentemente approvata dalla Camera una mozione con riferimento alla trascrizione nelle anagrafi dei Comuni italiani delle nozze gay celebrate all’estero.

Un testo che trova il suo punto di forza “alla luce del quadro giurisprudenziale e della disomogenea interpretazione della normativa vigente in materia di registro dello stato civile, ad adottare le misure necessarie per garantire un eguale trattamento delle medesime situaizoni su tutto il territorio nazionale” in altre parole chi si sposa all’estero può vedersi registrato il matrimonio nelle anagrafi italiane (forse).

Chi sarà chiamato a decidere sulla validità delle trascrizioni?

A questo proposito è recentemente intervenuto il TAR del Lazio che ha stabilito che l’annullamento delle trascrizioni nei registri comunali dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria (quindi da un tribunale civile) e non dal ministro dell’Interno o dal prefetto, così come avvenuto nei mesi scorsi a Roma.
Piccole vittorie a colpi di sentenza dunque, ed un’unica incrollabile certezza la battaglia in tema di riconoscimento della coppia omosessuale in Italia è ancora molto lunga.