Evo Morales, una lezione in Bocconi

Ad accoglierlo, e a scaldare l’ambiente, non ci sono gli Arawi con il loro trascinante Somos Mas, ma un gruppo di Giovani –giovanissimi- Comunisti che abbozzano un coretto.

Testo e foto di Luca Musso
Lo spagnolo stentoreo del rettore introduce la Lectio Magistralis del Presidente –Rivoluzione Democratica Culturale in Bolivia- nell’aula magna un po’ stantia di via Gobbi e non in quella, first class, dell’adiacente e bellissimo edificio di via Roentgen.
Evo sembra stanco, un po’ teso; la voce è quella roca e lenta di chi si deve impegnare in qualcosa di cui farebbe a meno, da far fuori in fretta.
Insomma, si parte sottotono, un accenno di delusione si fa strada. E però, subito dopo, la sensazione di un appuntamento scolorito lascia il posto a quella che l’evento non sia così scontato: siamo alla Bocconi. Università libera, sì, indipendiente, certo, come ha scandito il rettore. Ma è pur sempre la Bocconi, incubatrice di generazioni di manager e professionisti che governano corazzate multinazionali o cabinati di bandiera brianzola, accomunati dagli anni di studio dei fondamentali dell’economia di mercato. Ma in questo luogo, oggi, un Evo Morales fresco degli incontri UE-Celac di Bruxelles, esordisce senza mezzi termini con la sua narrazione del sistema economico capitalistico, un sistema di saccheggio delle risorse che in Bolivia significava un’elite di governo funzionale agli interessi delle multinazionali nordamericane.
E’ una galoppata, la sua lezione, una carrellata che parte dagli anni ’50 e passa per gli anni ’70 del suo servizio militare, quando lui non si occupava di politica e però tre presidenti in 24 ore –succedutisi con altrettanti golpe- era qualcosa che proprio non gli tornava. Con gli Stati Uniti sempre dietro, a quei golpe. E poi le lotte sindacali, i campesinos, gli operai, i minatori. La protesta che a poco a poco si fa proposta. La lotta politica e la sua elezione.

Il tono si fa più grave, e il turbamento di Evo evidente, quando ricorda il terribile agosto del 2008: il revocatorio con cui è stata messa in discussione la sua legittimità, i prefetti separatisti della media luna appoggiati dagli Stati Uniti, il referendum confermativo in cui un popolo che lo aveva eletto con il 54% dei voti lo conferma con il 67% e il quasi golpe di settembre.

Il Presidente ripercorre tutte e tre le direttrici della rivoluzione democratica culturale: dopo quella politica racconta quella economica e quella sociale. I progetti contro fame, analfabetismo e abbandono scolastico. Perché la miglior ricchezza è quella di tutti e il capitalismo di pochi è un problema. E così Evo racconta della nazionalizzazione degli idrocarburi, delle risorse naturali che appartengono al popolo boliviano. Entra nei numeri dell’economia, siamo in Bocconi. Le percentuali pagate da chi sfrutta le risorse, che prima erano solo briciole lasciate ai boliviani, si alzano drasticamente: l’8% che resta alle imprese assicura loro ancora un margine di profitto, il 92% deve andare al popolo che le possiede. Le risorse impiegate in investimenti pubblici decuplicano. Snocciola numeri, e si schermisce: voi lo sapete da dove vengo io, il cocalero, il sindacalista. Non è stato facile imparare tutta questa economia, ma lo ha fatto per amore del suo popolo.

Escuchando a Evo from Luca_Musso

Chiude in crescendo, Evo: ci siamo liberati della dominazione degli Stati Uniti. Non sono più i tempi dei principi e dei re, questi sono i tempi dei popoli organizzati. E infine ricorda l’acqua (non a caso, per chi sa quel che successe a Cochabamba nel 1999): un diritto umano fondamentale che è importante venga riconosciuto come tale in tutto il mondo.
Non so quanti bocconiani ci fossero nell’aula magna comunque affollatissima e generosa di applausi, ma la sensazione è che non fossero molti. Non so quanta accademia ci fosse nelle prime file ad ascoltarlo, ma di certo sul palco era da solo con qualche membro della sua delegazione. Nessun confronto, nessuna curiosità. Peccato. Forse ha chiesto lui che fosse così, non so. Avrei voluto chiederglielo, ma ha annullato la conferenza stampa. Forse era stanco.
Chi scrive, alla Bocconi ci ha studiato, diversi anni fa; ed Evo Morales lo ha incontrato in quel terribile agosto del 2008, in Bolivia. Oggi Evo è venuto in Bocconi e in un certo senso ha chiuso un piccolo cerchio, ha annodato due fili dell’intreccio ancora disordinato che è la mia vita. Avrei voluto ringraziarlo per questo, ma ha finito la sua lezione e si è eclissato. Forse Evo era davvero stanco.