Anatomia di una non emergenza

Le migliaia di persone ferme nelle stazioni delle città italiane sono le conseguenze di un problema che sta a monte. Un problema politico

di Lorenzo Bagnoli

Ventimiglia, Tarvisio, Bolzano, Roma, Milano. A leggere i giornali, sembrano queste le nuove frontiere dell’Italia. E invece no: l’apparenza inganna. L'”emergenza” di oggi è una bolla, che esploderà così come si è gonfiata. Senza che cambi alcunché: perché tanto l’immigrazione è sempre uguale a se stessa. Chi si è messo in testa di poterla fermare a suon di circolari, è solo un pazzo visionario. L’immigrazione si può solo gestire: bene o male, dipende da chi decide.

Le migliaia di persone ferme nelle stazioni delle città italiane sono le conseguenze di un problema che sta a monte. Un problema politico. Sono l’effetto delle scelte di chi fa finta di non vedere le cose per quello che sono.

Il 14 giugno abbiamo festeggiato – chi più, chi meno – il trentesimo compleanno del Trattato di Schengen, quel documento che lascia che le merci circolino liberamente, qualunque sia la loro origine, mentre stabilisce per le persone che il principio vale solamente se sono nate nei 26 Paesi aderenti. In sostanza, Schengen dice solo che i controlli tra i 26 saranno più superficiali, perché tanto si è tutti parte di una stessa area. Sciogliere le procedure avrà un effetto positivo per le economie della zona. Sempre lo stesso Trattato, però, può essere ristretto quando monta la “paura” che qualcuno di indesiderato si muova. La Germania ha utilizzato l’infiltrazione di black bloc al G7 di Monaco per ordinare la sospensione del Trattato, il governatore lombardo Roberto Maroni ci ha provato invocando l’eccezionalità di Expo.

Senza Schengen, i controlli tedeschi sono diventati sistematici e allora il non possedere un titolo di viaggio valido per la Germania è stato sanzionato come un reato. Non che prima non lo fosse: semplicemente prima era più difficile che le autorità se ne accorgessero. Risultato? I migranti che cercano di raggiungere il Paese sono respinti in quantità maggiore. Alcuni se ne tornano in Austria, ma la maggior parte è rispedita al Brennero. Assurdo: il reato c’era prima e c’è adesso. Cambia solo la percezione: quando si lasciano passare i migranti, la loro violazione non è poi tanto grave, quando invece si fanno i controlli a tappeto allora il loro passaggio di confine senza documenti è un reato pericolosissimo.

Ma la regola che mette tutti all’angolo è la Convenzione di Dublino, testo fondamentale che obbliga il primo Paese europeo d’arrivo di un profugo a prendersi carico di lui in caso di richiesta di protezione. Perché entri in funzione, serve che un migrante sia registrato nel sistema Eurodac, l’archivio di tutte le impronte digitali degli irregolari. Per superare il problema l’Italia fino al settembre 2014 aveva arbitrariamente deciso che parte delle impronte non sarebbero state prese. Poi, il 10 settembre, arriva la classica circolare del Viminale che impone un giro di vite: “Ce lo chiede l’Europa”. E di nuovo il sistema che aveva naturalmente trovato una soluzione perché il flusso scorresse senza troppi intoppi, ha un nuovo ostacolo da aggirare.

In questi giorni a spendersi per bloccare il transito ci sono soprattutto quattro politici. Cari Salvini, Maroni, Toti, Zaia: non sappiamo più come dirvelo.

Potete anche costituirlo, il vostro asse del male, che toglie i trasferimenti ai Comuni che osano accogliere (peraltro, trasferimenti che servirebbero per pagare altri servizi ai cittadini): ma il mondo andrà avanti come ha sempre fatto. Se ne disinteresserà lui e se ne disinteresseranno i 52 milioni di suoi abitanti che cercano altrove condizioni di vita migliori di quelle in cui sono costretti.Il vostro contributo, in ogni caso, è (e sempre sarà) zero. Siete solo un fastidioso rumore di sottofondo alle storie delle persone che accolgono e che sono accolte. Non siete voi che “proteggerete” (?!?) la manodopera italiana, i conti dei Comuni che accolgono, la sicurezza delle città. Sono le comunità straniere radicatesi negli anni in Europa, capaci di offrire con le loro risorse un corrispettivo al nostro welfare familiare: aiuti economici, consigli per rendersi indipendenti, un tetto sotto cui dormire. Sono loro che semplificano il passaggio. Voi siete dannosi, non solo inutili: i vostri interventi non “libereranno” certo le spiagge di Ventimiglia o le vie delle cittadine venete dai migranti. Anzi. Obbligheranno le persone a perdere maggiore tempo. E ora guardiamo le “frontiere”.

Partiamo da Milano, la “Lampedusa di terra”, il luogo dove a causa degli immigrati, ci sarebbe un clima interminabile, un pericolo costante di contagio e chissà quale altra minaccia. E partiamo con il cambiare il nomignolo della città (usato colpevolmente anche dal sottoscritto): Milano non è Lampedusa. Milano è un luogo dove dall’ottobre 2013 sono transitate 64 mila persone (e se ne sono fermate 200). In Sicilia, solo in cinque mesi del 2015, sono sbarcate 38.243 persone.

Milano è un posto dove, per Expo, l’amministrazione ha cercato di chiudere il mezzanino della Centrale, naturale luogo di ritrovo di profughi spaesati. E che il naturale proseguire degli eventi ha costretto prima a riaprire, poi a trasferire in uno spazio ancora più ampio. Milano è un posto dove Grandi Stazioni, la società del Gruppo FS, ha il coraggio di scrivere in un comunicato stampa che annuncia l’apertura di uno spazio per i profughi in via Sammartini, di essere sempre stata disponibile per aiutare i profughi. Solo che la prima richiesta del Comune di Milano risale all’ottobre 2013 e da allora ad oggi Grandi Stazioni non ha fatto nulla per i profughi.

Almeno Milano ha costruito un sistema per facilitare il transito, con centri di accoglienza molto leggeri che offrono un pasto, vestiti e un posto dove dormire. Nelle altre “frontiere” non c’è nemmeno questo.

Ventimiglia s’è svegliata da un giorno all’altro con la gendarmeria francese che cacciava i migranti indietro e con un presidente di Regione che pensa che i marò in India siano tre. Così la città di frontiera è costretta a inseguire l’emergenza, a trovare una soluzione in qualche modo. Quello che prima era il flusso normale, oggi pare enorme solo perché c’è un tappo che impedisce il corso. E in più c’è l’handicap del presidente neo eletto: non proprio preparato…

Al Brennero fino al termine di giugno i passaggi di frontiera saranno molto complicati, per le cause già dette. In Friuli, il Comune di Trieste ha saputo mettere in campo un'”accoglienza diffusa”, con tanti centri con pochi posti a disposizione e maggiore facilità d’inserimento. A Gorizia, invece, porta d’ingresso in Italia dalla rotta balcanica, continuano a formarsi baraccopoli ogni volta che il flusso cresce.

Su questo solco è anche l’accoglienza alla romana. Solo che nella capitale non si va per il sottile e dopo poco si sgombera: lo si è fatto nei campi rom, lo si fa a Ponte Mammolo. Il Comune non contribuisce minimamente al coordinamento degli aiuti, anzi. E poi proprio dagli uffici del Campidoglio la cupola mafiosa di Buzzi e Odevaine controllava il business che tanto interessava al gruppo di Mafia Capitale. L’effetto più tragico di quell’importante operazione è proprio questo: ora ogni volta che si farà accoglienza ci sarà il sospetto che qualche organizzazione criminale ne tragga vantaggio. A Roma soprattutto, ma non solo. E questo diventerà un argomento per lo stuolo di inutili di turno: i crociati dell’anti-immigrazione. Quelli che le frontiere, quelle vere, dove i disperati arrivano, non le hanno viste nemmeno con un binocolo.