testo e foto di Cristina Mastrandrea
Una parte dell’Italia, quella che ci piace vedere, ha riscoperto l’accoglienza. Da Milano a Roma, molti cittadini si sono mobilitati per portare aiuti nei centri che, a ridosso delle stazioni ferroviarie, danno ospitalità a centinaia di migranti in transito verso il Nord Europa per lo più eritrei, somali ed etiopi.
A Roma, quasi 800 profughi, di cui più di 100 bambini, sono ospitati nella struttura di accoglienza Baobab di Via Cupa, vicino a Stazione Tiburtina.
La struttura può accogliere circa 220 migranti ma in questi giorni sta affrontando una vera e propria emergenza, soprattutto dopo lo sgombero dell’accampamento di stazione Tiburtina e la chiusura delle frontiere.
Sono migranti in transito, vogliono varcare i confini e raggiungere altri paesi europei. Con la sospensione di Schengen, e quindi il blocco delle frontiere, restano nelle stazioni, in strutture al collasso o alle frontiere stesse, spesso senza alcun coordinamento.
Il portavoce dell’Unicef Italia, Andrea Iacomini, chiede un aiuto immediato alle istituzioni e alle associazioni, che hanno mandato operativo in Italia, a prendersi carico di questa situazione, in particolare dei bambini. “Questi bambini fuggono da guerre, terrore, povertà, miseria e morte, abbiamo il dovere di accoglierli, non possono stare in queste condizioni”.
Iacomini inoltra sottolinea che ci sono circa 13mila bambini arrivati non accompagnati nel nostro Paese, 9mila di questi sono nei centri di accoglienza e più di 3mila sono spariti. “Non si sa che fine abbiano fatto. Preoccupiamoci di censire questi bambini, alcuni sono accompagnati altri no, comunque vanno protetti e non abbandonati al loro destino.” E rivolge un appello a chi vuole respingere questa umanità, “siete padri e madri mettevi una mano sulla coscienza”.
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Al Centro Baobab c’è un via vai continuo di cittadini romani con buste di pasta, biscotti, latte, cassette di frutta e verdura.
Cittadini comuni che entrano nel centro lasciano quello che possono, molti portano anche giochi, vestiti e scarpette per i più piccoli.
Domenica mattina un gruppo di clown ha intrattenuto i centinaia di bambini presenti con palloncini e bolle di sapone.
La Croce Rossa con il Comune di Roma, da sabato sera ha allestito una tendopoli sul lato est della stazione Tiburtina. Una struttura provvisoria con circa 9 tende, un presidio medico e una sala mensa. Circa 70 migranti sono stati trasferiti alla tendopoli ma tutti gli altri sono rimasti al centro Baobab che continua a contare quasi 800 persone.
Per Daniel Zagghay, coordinatore del centro di via Cupa, quella che poteva chiamarsi emergenza in questi giorni sta diventando normalità. “Speriamo che con l’allestimento delle tende dietro alla stazione Tiburtina, si possa tornare a “respirare” .
Da domani, con la fine della sospensine di Schengen, molti saranno in partenza per raggiungere la loro destinazione, fuori dall’Italia. Siamo molto sorpresi dalla solidarietà straordinaria dei cittadini romani che continuano ad arrivare e portare cibo, aiuti e dare una mano”.
A contribuire sin dall’inizio alla distribuzione di generi di prima necessità, Il Circolo SeL e gruppi di acquisto solidale della zona.
La situazione all’interno del centro è ancora critica a causa del sovraffollamento ma non drammatica. Gli ospiti hanno a disposizione letti, brandine, materassi, docce, una lavanderia e anche 3 parrucchieri. Fuori dalla struttura, su Via Tiburtina, sono stati allestiti 4 bagni chimici. La Croce Rossa, con ambulatori mobili, effettua controlli sanitari e assiste chi ne ha bisogno.
Daniel ci spiega che il Baobab è l’unico centro in Europa autogestito da migranti e da circa un mese lavorano con i transitanti che stanno nel centro mediamente da 3 a 8 giorni massimo.
“Adesso la situazione è particolarmente critica a causa della sospensione di Schengen. In questo momento abbiamo eritrei, etiopi e alcuni sudanesi e somali. Qui c’è un flusso continuo di gente che arriva e se ne va per raggiungere altri paesi europei. Non vogliono rimanere in Italia.”
Fuori dal centro incontro un ragazzo eritreo, non vuole dire il suo nome e si tiene nascosto dalle telecamere. Racconta che è arrivato in Italia circa due settimane fa.
“Sono partito dall’Eritrea e ho pagato circa 4 mila dollari per attraversare il deserto, ho fatto quasi tremila e cinquecento chilometri per arrivare in Libia. Da Zuara, ho pagato 2mila dollari e sono salito sul barcone. Ci ha salvato una grande nave italiana di colore bianco”.
Non ricorda la città dove è sbarcato in Italia, da li ha preso il treno per Roma. Anche lui è in transito, come tutti qui al centro, vogliono raggiungere il nord Europa dove spesso hanno amici o si ricongiungono con le famiglie.
Mentre la politica lancia moniti all’Europa e piani B sconosciuti, la cittadinanza si mobilita. A Ventimiglia, al confine con la nostra cara Europa (quella senza confini), centinaia di migranti, chiusi tra terra e mare, dormono sugli scogli sotto teli argentati. Un’immagine che alla luce dell’alba ha del surreale e che riporta il pensiero ad altri corpi avvolti nei teli e venuti dal mare. Qualcuno, dal nome sconosciuto, scrive su un cartello «Grazie Italia ma vogliamo andarcene».
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