Immagini metaforiche e piene di colore quelle che si trovano sui muri della striscia di Gaza. Gli autori sono i giovani palestinesi che cercano di mandare un messaggio di pace
testo e foto di Sara Creta, da Gaza City
Grigio. E ancora Grigio. Tra l’asfalto della strada che conduce dal valico di Erez – unica porta d’entrata e uscita pedonale con Israele, e le case ai lati della carreggiata, la monotonia del colore è la stessa. Un’economia al collasso per questo pezzo di terra lungo 42 kilometri incastrato tra Israele e l’Egitto.
Le case, così come vengono costruire rimango per anni, semplici case grigie, senza colore. La strada scorre verso Gaza City, le persone sul ciglio della strada e i carretti trascinati da asini passano ai lati. L’impressione non cambia. La città è grigia. Incompleta. A causa dell’assedio israeliano che imprigiona i palestinesi, anche il settore delle costruzioni è in crisi, e molte famiglie non riescono a completare le abitazioni, e a causa del sovraffollamento sono costrette a vivere in case incomplete.
Gaza è completamente grigia, per questo la prima comparsa di colore sembra una liberazione. I muri di Gaza urlano di verde, rosso, e giallo: guardaci! Leggici! Gaza è un libro e le sue pagine sono scritte sul cemento. Muri puliti velocemente solo per essere riadornati con pubblicità e numeri di telefono di taxisti, e vicino una formazione islamica proclama la nuova brigata.
I graffiti a Gaza sono comparsi con la lotta contro l’occupazione israeliana. Durante la prima intifada nel dicembre del 1987, Israele controllava radio, tv e giornali. A Gaza non esisteva un singolo giornale e quelli in arrivo da Gerusalemme venivano boicottati. I muri sono diventati automaticamente un canale di comunicazione. Non c’era internet, non c’era facebook.
I graffiti erano il solo un mezzo per annunciare scioperi e appuntamenti. E durante l’intifada i graffiti sono diventati parte della resistenza palestinese. Durante il periodo degli accordi di Oslo, c’è stato un tentativo di pulire i muri della striscia e cancellare i messaggi, poiché considerati troppo politici.
Dopo i sei lunghi anni d’intifada, nel 1993 a Washington Israele e il PLO hanno firmato gli accordi di pace e i territori palestinesi si preparavano a ricevere la leadership e gli slogan di Yasser Arafat: immediatamente i muri dovevano essere puliti dalla vecchia narrativa per fare spazio alla nuova campagna politica del carismatico leader.
I muri nudi di Gaza non potevano resistere a lungo. Graffiti felici e pieni di speranza hanno caratterizzato i primi anni degli accordi di pace. Ma anche graffiti di felicità per i nuovi sposi di Gaza hanno invaso i muri bianchi della striscia. Un matrimonio, la morte, l’haji, il pellegrinaggio. Poi i ritratti dei leader, i martiri, quelli che hanno dato la vita alla resistenza palestinese. E infine i colori: il verde per Hamas, il rosso per i partiti di sinistra, il nero per Fatah. I graffiti sono diventati parte della cultura locale. Oggi la maggior parte menzionano Hamas. Il resto è composto da annunci di lavoro e alcuni altri di natura familiare o personale.
Tra questi si possono trovare, “la speranza di Hamas scorre nelle vene della nazione”, “Il nostro motto è quello di servire gli studenti”, “La famiglia si congratula con la sposa e lo sposo”, “Possa Dio accettare il vostro pellegrinaggio, perdoni i vostri peccati e compia i vostri desideri “e” R + S = amore.
A Gaza, tra gli artisti più conosciuti c’è Naim Samsoum. Un giovane sui venticinque anni, cresciuto nell’affollato campo di Nuseirat, nel centro della Striscia, dove attualmente sono ospitati più di 66.000 rifugiati. Naim, è parte della giovane generazione di artisti della società gazawi che usa tag in lingua inglese. Free Gaza, Free Palestine. “Ho scelto l’inglese, per raccontare la nostra storia al mondo”, racconta Naim.
I suoi graffiti, lontani dai messaggi politici, ricordano lo style della street-art delle stazioni ferroviarie europee. “Vado fuori di notte, e spesso finisco nei guai con funzionari di sicurezza quando notano il barattolo di vernice in mano. Non capiscono cosa dipingo. Non esprimo nessuna opinione politica particolare, ma disegno le lettere in una forma freestyle”, ha detto Samsoum.
Nel campo di Nuseirat, dove la popolazione dipende dall’assistenza economica ed alimentare dell’UNRWA. il blocco di Gaza ha reso la vita ancora più difficile. Lo stesso Samsoum non è mai uscito dai 42 kilometri della striscia. Disegnare diventa uno sfogo per raccontare al mondo il destino di questa giovane generazione di Gaza, stanchi delle promesse politiche e lontani dai fondamentalismi, i giovani che vivono questa frustrazione, rimangono stretti nella striscia, dove non c’è più spazio, ne libertà.