di Sara Borrillo
Un uomo in tunica e barba lunga che discute in dialetto mangiando una zeppola halal. Un rapper che trova ispirazione sotto i ponti della tangenziale. Una ragazza che non mangia il maiale, ma la Nutella sì. Un militante che ha scelto la sharia come arma non violenta di giustizia.
Sono solo alcune tracce delle storie di dieci convertiti all’Islam che Ernesto Pagano racconta in Napolislam, vincitore del Biografilm Festival di Bologna 2015. Sullo sfondo, una Napoli camaleontica che tiene dentro di sé chi l’attraversa, intrisa di traiettorie individuali performate in nome di una scelta, una scoperta, un atto di fede. Una Napoli che genera disorientamento e perdita di sé, dove qualcuno – più d’uno – ritrova la strada nel Corano.
Il risultato è denso: curiosità, sorpresa, comicità, contraddizione, scetticismo, perplessità convivono nello spettatore, come con/vivono i personaggi nella quotidianità e nel racconto.
Perché l’Islam a Napoli come in molte altre periferie d’Europa stia facendo proseliti è una domanda troppo grande per trovarne risposta nel docu-film.
E Pagano non prende posizione, non giudica: e insieme a Lorenzo Cioffi, alla fotografia e alla produzione con La Doc (in collaborazione con Isola Film), e Francesco Amodeo, al sound design, semplicemente racconta una città che cambia.
“Abbiamo voluto giocare con due stereotipi, quello del napoletano-pizza-e-mandolino e quello del musulmano-barbuto-e-fondamentalista e l’effetto di metterli insieme è stato quello di abbatterli”, spiega Pagano. “Volevamo restituire profondità alle storie in alternativa all’appiattimento proposto dalla vulgata mediatica mainstream, che se affronta temi simili dimentica troppo spesso la dimensione spirituale, culturale e socio-economica, generando ignoranza e pregiudizio”.
Già col reportage “Cercavo Maradona, ho trovato Allah”, firmato con Cioffi, Pagano aveva raccontato la conversione all’Islam di due ragazzi del quartiere popolare di Porta San Gennaro, sottolineando il portato di riscatto sociale del “tornare all’Islam” in un contesto in cui il modello valoriale ed economico dominante coincide troppo spesso con la camorra. Da lì è nata l’idea di Napolislam: “Lavoriamo da un anno, dal Ramadan 2014.
All’inizio non è stato facile costruire la fiducia necessaria ad entrare nelle vite dei protagonisti, perché, nonostante la mia formazione di arabista, ho dovuto dimostrare di non essere il tipico giornalista a caccia di scoop. Inoltre, dopo l’attentato al giornale francese Charlie Hebdo è stato difficile trattare l’argomento, per cui abbiamo provato a decostruire lo stereotipo pervasivo di un Islam violento e anti-occidentale lasciando la parola a chi era direttamente coinvolto”.
Se Napolislam riesce a disinnescare paura e diffidenza, esso fa anche da spia per chi non vede il processo di islamizzazione in corso. Tuttavia “il film non ha una tesi”, spiega il produttore Cioffi, ma anzi “racconta i personaggi come non riconducibili a nient’altro che a se stessi, perché nelle persone c’è una verità che è ingiusto strumentalizzare”.
In alternativa a chi fomenta odio per l’alterità di questi tempi, una denuncia sociale: “Tutti i protagonisti cercano di colmare un vuoto, esistenziale, spirituale, politico. E allo stesso tempo mi è sembrato che avessero bisogno di ascolto, di essere rappresentati in una società in cui sono una minoranza, come se ci fosse una vera e propria emergenza di racconto”.
E così in poco più di un’ora si narra il “chi si è” senza commettere l’errore di definirlo, accostando l’individuale e il collettivo, come nelle suggestive scene di preghiera a piazza Mercato, devota alla Madonna del Carmine e alla Mecca insieme.
Insomma Dio può essere una strada maestra, un ideale, o Eric Clapton come suggerisce un passeggero nel taxi malinconico del musicista Marzouk Mejri. Sullo sfondo vi è una città porosa, come il tufo che la fonda, piena e vuota al tempo stesso: sembra non offrire mai spazio, eppure è ricca di interstizi in cui è possibile incontrare storie come quelle di Napolislam.