Citizens science: l’homo e la catastrofe

La crisi del rapporto uomo – natura, il un mondo in crisi globale

di Bruno Giorgini

L’umanità intera è attenagliata da tre grandi crisi planetarie.
La crisi economico sociale con le sue ormai mostruose diseguaglianze, la crisi geopolitica con l’aura di guerra mondiale a pezzetti che si respira ogni giorno di più, la crisi del rapporto uomo natura esemplificata a tutto tondo dal cambiamento climatico e/o riscaldamento globale.
Ognuna di queste crisi ne genera a cascata altre.

Alla rinfusa ne elenchiamo alcune: quella dell’acqua potabile e irrigua, quella dell’acidificazione dei mari e delle piogge, quella delle fonti energetiche, quella delle materie prime, quella demografica e delle grandi migrazioni, quella della democrazia, quella degli stati nazionali, quella della legalità internazionale, quella dell’inquinamento di aria acqua e terra, quella del consumo del suolo, quella dei tornado e tifoni ricorrenti, quella di ondate di caldo con siccità impreviste e fuori scala, quelle umanitarie sempre più frequenti e potremmo continuare.

Le tre crisi maggiori si alimentano a vicenda in un intrico di problemi, con catastrofi più o meno annunciate, che si stringono come un nodo scorsoio attorno l’intera civiltà umana, rischiando di strangolarla.

A fronte una tentazione sempre presente, quella di ballare bevendo champagne mentre il Titanic continua la sua rotta di collisione con l’iceberg che gli sarà fatale: non si può far niente, tanto vale godersi gli ultimi scampoli di vita, in attesa di tempi migliori, se mai verranno. E’ un atteggiamento molto diffuso, spesso inconscio, frutto della sensazione di impotenza dell’individuo faccia a faccia con questioni enormi che s’accatastano l’una sull’altra.

Impotenza sia cognitiva, l’impossibilità spesso di conoscere come stanno sul serio le cose, che fattuale, l’impossibilità di metterci mano talmente appaiono fuori scala, tanto che gli stessi stati nazionali e le organizzazioni sovranazionali, ONU UE G7 G8 G20 ecc..si mostrano deboli frantumate inefficaci.

Un secondo atteggiamento consiste nel comporre un repertorio quanto più completo possibile delle varie crisi e problemi, attivando poi gli esperti nei vari campi: economia ingegneria informatica urbanistica ecologia politica (policy) matematica sociologia governance e tutti gli altri, quasi l’intera enciclopedia dello scibile umano.

Ognuno cercherà di descrivere, capire, spiegare la crisi di sua competenza specifica, disegnando lo spettro delle possibili soluzioni specifiche. In genere la fase conoscitiva e applicativa per le soluzioni si sviluppano secondo protocolli internazionali quasi sempre ben stabiliti, sottesi da paradigmi di risconosciuta validità nel campo disciplinare d’interesse. In questo schema gnoseologico e operativo ogni cacciatore insegue la sua preda individuandone le tracce, così uno riconosce il percorso della lepre, un altro quelle della volpe, un altro ancora il cammino del lupo e un quarto quello della lince.

Ma se le tracce delle diverse selvaggine si sovrappongono, intramescolano, confondono, se poi addirittura compaiono tracce che non corrispondono a alcun animale noto, battendo sentieri fin qui ignorati o perchè prima non esistevano o perchè nessuno li aveva visti, il metodo precedente diventa zoppicante se non fallimentare.

In altri termini ogni crisi interagisce con tutte le altre, una frattura in un campo si propaga negli altri, una soluzione qui può produrre un danno là, un economista si trova improvvisamente di fronte a un problema di psicologia sperimentale, un esperto di finanza deve vedersela con un fenomeno di rivolta, un governante si scontra con azioni di disobbedienza, là dove c’era il deserto insorge un nuovo inatteso stato magari totalitario, mentre dove esisteva uno stato s’avanzano le antiche tribù, e così via.

Siamo finiti in un mondo dove le dinamiche per lo più sono non lineari, per cui piccole cause possono produrre grandi imprevedibili effetti, la somma delle cause niente ha a che vedere con la somma degli effetti, e non vale il principio newtoniano secondo il quale a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

A questo punto tentiamo di andare oltre le tre grandi crisi economica, ambientale, geopolitica facendo l’ipotesi che esse siano generate da un unico rizoma, il paradigma evolutivo degli umani.
Molto in sintesi: la specie homo sapiens è sul piano della complessità genetica, intesa come lunghezza della stringa genetica, di media/piccola taglia. Se assumiamo la lunghezza dell’Escherichia Coli – un batterio che vive anche nel nostro intestino – uguale a 1 (uno), la lunghezza della stringa genetica umana vale circa 30 – 31.000 (trentunmila), mentre quella del Lilium, il giglio ben noto, è uguale a circa 70.000 (settantamila).

Il che significa per l’homo una variabilità limitata, cioè una bassa capacità d’addattamento, per cui, stando al vademecum dell’evoluzione, la nostra specie era destinata a scomparire in tempi brevi (rispetto ai tempi geologici). Però insorse uno sviluppo del cervello molto pronunciato, con due assi nella manica: l’interazione mani cervello e il linguaggio. La prima fa sì che l’homo possa inventare e dotarsi di strumenti “tecnologici”atti a costruire manufatti.

Il linguaggio, più generalmente la proprietà di rappresentare il mondo tramite simboli e segni, permette che i componenti della specie possano comunicare tra loro con trasferimenti d’informazione. Si costituisce così la base per la cooperazione tra gli individui, il punto di forza degli umani rispetto per esempio all’enorme tigre dai denti a sciabola, e gli altri grandi predatori che popolano la terra.

L’homo sapiens, in principio poco adattabile, può quindi cambiare il mondo (o sue parti) adattandolo a sè. Più precisamente può costruire un habitat, una seconda natura dove vivere e prosperare, tipicamente gli agglomerati che culminano nelle città. Egli così da oggetto naturale sottoposto all’evoluzione, diventa soggetto agente dell’evoluzione, interagendo con le leggi naturali, non semplicemente subendole.

Questo paradigma evolutivo propriamente umano basa la sua forza nel dominio dell’uomo sulla natura. Diciamolo così: il dominio dell’uomo sulla natura è la nervatura fondamentale del paradigma che ha permesso l’evoluzione della specie fino a oggi. Tutte le forme politiche, economiche , sociali dall’alba dell’homo a oggi sono sottese da questo.

Si è trattato di un dominio feroce. Elizabeth Kolbert in un libro molto bello e interessante “La Sesta Estinzione “, su cui torneremo, scrive, citando Paul Martin autore di Prehistoric Overkill “la comparsa dell’uomo emerge quale unica spiegazione ragionevole” per la scomparsa della megafauna. Un altro gruppo di ricercatori nel campo delle estinzioni di specie viventi afferma che “l’unica spiegazione che combaciasse con i dati ottenuti fosse la cosidetta teoria dell’overkill, o sterminio di massa”.

Per mano umana. Gli esempi proposti da Kolbert sono molteplici tra cui l’estinzione dei Neanderthal – a proposito ognuno di noi europei ha nel suo codice genetico tra l’1 e il 4% di DNA ereditato dai Neanderthal – per concludere che “in questo istante siamo nel pieno della Sesta Estinzione, questa volta causata esclusivamente dalla trasformazione del paesaggio ecologico a opera dell’uomo (..)pur essendosi liberati dai vincoli evolutivi, gli uomini rimangono in una posizione di dipendenza dai sistemi biologici e geologici del pianeta. Sbilanciando questi sistemi (..) stiamo mettendo in pericolo la nostra stessa sopravvivenza (..)l’Homo sapiens è sul punto di causare una fondamentale crisi biologica, un’estinzione di massa, la sesta negli ultimi cinquecento milioni di anni. E anche noi, Homo sapiens, potremmo essere tra i morti viventi. (..) Portando all’estinzione le altre specie, il genere umano sta recidendo il ramo su cui esso stesso si posa.”

Stando così le cose è evidente che la forza propulsiva del paradigma evolutivo fondato sul dominio dell’uomo sulla natura non solo sta esaurendosi, ma più gravemente rischia di mutare di segno, trasformandosi nel vettore di una possibile catastrofe globale verso l’estinzione. Siamo insomma obbligati a inventare un nuovo percorso evolutivo, una nuova forma di civiltà liberata dal postulato del dominio, modellata invece su un contratto d’equità tra esseri umani, comunità dei viventi e natura. Proposizione facile a dirsi, difficile a farsi: una vera e propria rivoluzione del paradigma evolutivo gigantesca e sul serio epocale.

Ma questa è la discussione necessaria tra gli umani tutti ben oltre gli specialisti, le elites, i governanti, per costruire una scienza dei cittadini, una citizens science che permetta a ciascuno di capire, scegliere, operare e anche per far fronte alle tre crisi di cui all’inizio, nell’ottica di un destino, di una missione, di una civiltà comune e condivisa.