di Flavia Zarba, tratto da IRPI
L’immigrazione è un tema con cui ci si scontra e confronta sempre più nel panorama nazionale ed europeo davanti alla massiccia crescita di flussi migratori che hanno portato persone provenienti da situazioni culturali molto diverse. Ci sono molte implicazioni sul piano penale che riguardano questo argomento a partire dalla terminologia.
“La definizione etnicamente qualificata di ‘cultura’ designa una comunità intergenerazionale, più o meno compiuta dal punto di vista istituzionale, che occupa un determinato territorio e condivide una lingua e una storia distinte” così Kymlicka definisce la cultura multietnica nel suo scritto multicultural citizenship (Oxford, 1995)”
Ma che cosa sono i reati culturalmente orientati?
Da qualche decennio la dottrina penalistica ha cominciato a confrontarsi con la pluralità culturale delle società contemporanee, elaborando, a tal proposito, i concetti di ‘cultural defense’ (difesa culturale) e del ‘reato culturalmente orientato’.
Si tratta di tutte le condotte lesive dei beni fondamentali della persona ma approvate dalla cultura di provenienza. Per comprendere l’importanza del dibattito basti pensare alla, tristemente nota, prassi delle “mutilazioni genitali femminili” che, seppur approvata da culture diverse dalla nostra, ha portato in Italia, l’introduzione di una specifica incriminazione nel reato di cui all’art. 583 bis codice penale.
Di fronte a un reato ‘culturalmente motivato’, commesso dall’immigrato, come deve reagire il diritto penale?
Sono stati innumerevoli, negli anni, i tentativi di dare risposta al quesito, cercando di bilanciare le esigenze di repressione con quelle di tolleranza della cultura d’origine. Una situazione di conflitto normativo-culturale che non ha trovato una esplicita risposta.
La mancanza di una norma generale…
In nessun codice penale europeo compare, infatti, una disposizione di parte generale che dia esplicito rilievo ai ‘reati culturalmente motivati’ commessi dagli immigrati. Non è dunque prevista alcuna normativa sul trattamento per l’imputato-immigrato che abbia commesso il reato in conformità ad una norma culturale del suo gruppo etnico di provenienza.
Negli Stati Uniti… è in corso un acceso dibattito sull’opportunità di una previsione legislativa della ‘cultural defense’ , attraverso la quale le corti dei paesi di common law spesso valutano determinate situazioni di conflitto normativo-culturale in ‘favor rei’.
Si tratterebbe di un compromesso tra l’esigenza di repressione di condotte penalmente rilevanti e la valorizzazione delle differenze culturali.
Ma è giusto ‘tollerare’ comportamenti disumani?
Il paradigma della ‘cultural defense’ sembrerebbe coerente con un diritto penale orientato ad uno Stato multiculturale eppure potrebbe costituire, al tempo stesso, uno spietato strumento legislativo per legittimare e trattare con indulgenza pratiche culturali disumane perpetrate, in particolar modo, nei confronti di soggetti deboli (donne e bambini) appartenenti al gruppo etnico dell’autore del reato. Proprio per evitare che il riconoscimento della diversità culturale si traduca in una sorta di legittimazione e di attenuazione del disvalore della violazione dei diritti umani, occorre procedere con la massima cautela, senza dimenticare la parola “integrazione” che è fondamentale in uno Stato multietnico.
Tra le sostenitrici dell’integrazione c’è il medico chirurgo Silvana Mazzocchi, autrice del libro “Il gatto dagli occhi d’oro” (Fanucci editore) che da anni si è schierata contro il multiculturalismo e la tolleranza di atroci pratiche disumane come l’infibulazione sostenendo, al contrario, la necessità di una forte integrazione all’interno di uno Stato di diritto.
“La tolleranza è un’idea giuridicamente ignobile basata sul razzismo. La persona nata in un’altra civiltá viene considerata un sub umano, non in grado di adattare il suo comportamento a regole diverse. Il concetto è eticamente delirante perché presuppone più tipi di giustizia e nessuna Nazione é in grado di sopravvivere se applica regole diverse” dichiara all’huffingtonpost.
La legislazione in atto in Italia.
L’art. 42 del Testo Unico sull’Immigrazione attribuisce allo Stato, alle Regioni e alle autonomie locali il compito di favorire “la conoscenza e la valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia” e l’art. 43, del medesimo testo unico “vieta ogni discriminazione diretta o indiretta a danno degli immigrati”. Il nostro Stato sembra essere orientato al modello multiculturalista, offrendo “alle donne, agli uomini, ai giovani immigrati l’Italia, un cammino di integrazione rispettoso delle identità di ciascuno, e che porti coloro che scelgono di stabilirsi nel nostro Paese a partecipare attivamente alla vita sociale”.
Eppure, attualmente, non è presente alcuna norma di parte generale che, in qualche modo, dia specifico rilievo alle integrazioni e regolarizzi le modalità di intervento in situazioni di conflitto normativo-culturale. E spesso, cosa sia giusto o cosa non lo sia è rimesso alla sola coscienza collettiva.